martedì 6 ottobre 2015

Rimetti a noi

Tra le tante domande che mi sono sentito rivolgere dai fedeli incontrati durante la mia vita religiosa, oggi ne ricordo una che riguarda la frase del Padre Nostro così come ci era stata insegnata da bambini... “non ci indurre in tentazione”... che, presa alla lettera, lascia intendere la necessità di pregare Dio per dissuaderLo da una Sua Volontà "provocatoria" nei nostri confronti.
Ovviamente non è così, e per comprenderlo bisogna risalire al fatto che l'originaria espressione di Gesù, che parlava in aramaico, fu fissata nel testo greco del Vangelo di Matteo (Mt 6,9-13) e fu poi tradotta nella “Vulgata” con il latino “Ne nos inducas in tentationem”... e questi "passaggi", da una cultura all'altra, hanno fatto perdere di vista un aspetto fondamentale:
Nella cultura ebraica, all'interno della quale Gesù viveva, era naturale esprimersi attribuendo a Dio il controllo sul bene e sul male quale riconoscimento della sua Signoria assoluta e, in questo senso, anche l'azione tentatrice del maligno veniva simbolicamente ricondotta alla superiore Volontà di Dio, Il quale la permette, così come permette alla libertà umana di compiere il male.
Al di là di ciò, noi oggi celebriamo questa parte della preghiera pronunciando la frase “non abbandonarci alla tentazione”... come di volta in volta ho riepilogato alle persone che mi hanno sollevato la questione.
Un altro aspetto che sovente mi sono trovato a mettere in evidenza riguarda il fatto che la parola “tentazione”... in greco peirasmon... può essere intesa non solo come la "seduzione ed induzione al male", ma anche come la "tentazione-prova" che costituisce un “test” karmico per la nostra fede.
Per conseguenza, la celebrazione di questa parte della preghiera può comprendere una duplice richiesta di aiuto rivolta a Dio:
La più "tradizionale" può essere espressa così : "Padre Nostro, aiutaci a non indulgere alla tentazione... ovvero a non accondiscendere ai suggerimenti del nemico di Dio"...
Poi, l'ulteriore richiesta di aiuto può essere formulata riferendosi al significato di tentazione-prova custodito nel vocabolo peirasmon, pregando dunque anche con questa intenzione: 
"Padre Nostro, sostienici quando ci troviamo nel bel mezzo della tentazione-prova karmica... cioè quando stiamo affrontando un'esperienza che mette alla prova il nostro grado di maturità spirituale... ed aiutaci a superarla il prima possibile, fortificati nella fede".

Visto che sono in argomento... anche la frase del Padre Nostro immediatamente precedente, sollecita oggi i miei pensieri: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”... che in una traduzione in lingua francese compare anche nella forma “perdona le nostre colpe come noi le perdoniamo a quanti ci hanno offeso”.

Normalmente questa espressione viene giustamente intesa come un appello alla Misericordia di Dio affinché perdoni le nostre colpe, nella misura in cui anche noi perdoniamo quanti si sono resi colpevoli nei nostri confronti.
A ben vedere, l'espressione “rimetti a noi” - che nello specifico è evidentemente riferita alla “remissione”, cioè all'estinzione del debito da parte del Padre nostro misericordioso - può richiamare anche un significato “parallelo”, riferito al fatto che queste nostre colpe ci sono “rimesse” nel senso di “ripresentate” alla nostra libertà, la quale non deve comunque sprecare l'opportunità di fare tutto il possibile per rimediarle, agendo nel bene.
E' questo il percorso concettuale che oggi mi indirizza verso una delle sfaccettature del concetto cristiano-ramirico di karma, ossia verso la consapevolezza che il perdono concessoci da Dio per le nostre colpe non deve essere da noi inteso come se fosse un Suo incondizionato “condono”... quanto invece come la possibilità, concessaci dalla Sua divina Misericordia, di poter affrontare quelle esperienze che permettono alla nostra libertà di rimediare al male commesso, facendo concretamente il bene e “traducendo” così il nostro pentimento in una effettiva crescita interiore.
E' questo il modo in cui il Perdono divino ci aiuta a riportare il nostro piano karmico a quell'equilibrio che poi... per essere mantenuto... richiede anche il passo conseguente:
La nostra capacità di concedere al prossimo le stesse opportunità di ravvedimento che Dio concede a noi... “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.


P.S. - A quanti tra di voi sono “digiuni” di informazioni riguardo al concetto cristiano-ramirico di "karma", che fa parte del Pensiero spirituale di Anima Universale, suggerisco una "sosta" anche nei miei post "karmicamente" e "occhi sbarrati".


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