Ascoltando il Maestro

A MANI VUOTE

Alzi la mano chi non conosce il celebre passo evangelico “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”.
Io sospetto che le vostre mani siano rimaste ben ferme al loro posto, perché la parabola matteana è arcinota.
Com'è stra-conosciuto anche il versetto lucano “l'Onnipotente... ha rimandato i ricchi a mani vuote”, che evidentemente tocca anch'esso il tema della ricchezza.
“A mani vuote” è il titolo dell'insegnamento di Swami Roberto di cui vi parlo oggi (tratto dal libro “Ascoltando il Maestro”, Vol.2, pag.145), un discorso la cui lettura sarebbe particolarmente salutare per quanti, nelle svariate chiese cristiane, si limitano alla comprensione letterale dei testi evangelici, traendone superficiali generalizzazioni. Una di esse riguarda appunto le persone ricche per le quali, secondo un diffusissimo luogo comune che trae origine anche dai due passaggi evangelici sopra-citati, la porta del Paradiso è troppo stretta.
Dice Swami Roberto:

“Il denaro, come ogni altro mezzo, non ha in sé una valenza morale: può essere usato sia in bene che in male. È sempre e solo la persona che lo gestisce ad essere morale o immorale. Non sono infatti la ricchezza e il potere che rendono schiavi gli uomini, ma l’attaccamento alla ricchezza e al potere”.

Le esperienze della vita possono portare ciascuno a rendersi direttamente conto di come, a volte, si incontri la taccagneria in un povero legato avidamente al poco che possiede, e non in un ricco che condivide generosamente i suoi averi con il prossimo.
Quindi, la questione non si pone su un piano prettamente materiale ma riguarda invece il personale modo di rapportarsi alle cose del mondo, tra le quali il denaro recita un parte da protagonista.
Aggiunge Swami:

“Non bisogna mai accettare che i mezzi sostituiscano i fini per i quali ha senso vivere, altrimenti l’interiorità si dissiperà nell’esteriorità. Più l’uomo si fa valutare con il metro del denaro, meno è apprezzato con il metro dell’Amore…”

La forma di avarizia più pericolosa, perché meno riconoscibile, è quella che non riguarda necessariamente i soldi, ma silenziosamente “infetta” gli animi fino a farli chiudere in se stessi, per non dover donare nulla di sé al prossimo.
Al riguardo il Maestro aggiunge:

“chi vive solo per sé stesso, ricco o povero che sia, rifiuta di esistere per gli altri, quindi in un certo senso dichiara al prossimo di essere morto”.

In questa sorta di sepolcro molti accumulano un “patrimonio” segreto, coltivato e custodito gelosamente, per il quale non accettano alcuna intrusione.
Si tratta di quel meschino cumulo di vezzi-vizi funzionali all'appagamento dell'io egocentrico, il quale vorrebbe ricondurre al proprio vantaggio personale tutto ciò che esiste, nella pretesa di non essere disturbato da nulla e da nessuno.
Questa è la “ricchezza” che, come dice Swami, “nulla ha a che fare con i conti in banca… e in rapporto alla quale le persone povere sono veramente poche”.
Questa è l'ingombrante zavorra dalla quale è necessario liberarsi per poter entrare nel Regno dei cieli, dove si colloca... “l’inestinguibile ricchezza dello spirito”.


SCHIERARSI

L'insegnamento di Swami Roberto di cui vi parlo oggi
(“Schierarsi”, Vol.2 Ascoltando il Maestro, pag.189) è una provvidenziale lente di ingrandimento su un aspetto dell'esistenza che le umane inclinazioni trasformano spesso in un vero e proprio “terreno minato”, dove l'incolumità spirituale di molti è messa gravemente a repentaglio.
Le parole del Maestro vi aiutano a scandagliare lo spazio interiore di competenza del discernimento, una facoltà che troppe persone lasciano andare in definitivo letargo esentandola dall'esercizio delle sue funzioni decisionali.
Con la scusa di essere “moderati”, molti infatti non adempiono alla responsabilità spirituale di dissociarsi dal male, un nemico infido che non aspetta di meglio che poter approfittare di questa fatale indecisione.

« Il male – dice il Maestro - è molto ghiotto dei cibi dell’indifferenza, dell’apatia, della pigrizia e della codardia, con i quali si nutre e si fortifica assai ».

In questo elenco di “cibi” infausti, si distingue sinistramente l'indifferenza che, come sottolinea Swami... « è odio violento… che può travestirsi da tolleranza per non farsi riconoscere; a volte un indifferente può essere addirittura scambiato per un pacifista… più mascherato di così! ».

E' indubbio che il male fa più male proprio nel nascondimento, quando può agire indisturbato. Così, diventano spiritualmente deleteri una vasta gamma di comportamenti umani che, dietro il paravento di una sorta di neutrale mediazione, sono in realtà espressione di una colpevole omissione di intervento.
Se è pur vero che la capacità di mediare è generalmente un'arte molto preziosa nella vita, perché permette di coniugare opposte esigenze raggiungendo risultati che altrimenti resterebbero preclusi... è altrettanto vero che percorrere questa via di conciliazione in presenza del male equivale ad esserne suoi complici.
In questi casi, schierarsi chiaramente dalla parte della bontà e della rettitudine diventa l'impegno imprescindibile di coloro che si rifiutano di mantenere ibridamente il piede in due scarpe, e con chiarezza adempiono alle scelte imposte dalla loro dignità spirituale.

« Nel mondo dell’azione vi è la vita e la morte e al di là dei film non esistono gli zombi, quale via di mezzo… e allo stesso modo il Cristo accoglie i virtuosi e i peccatori, ma respinge i tiepidi. Quindi non lasciare che la vita ti giri intorno; tu entra dentro il mondo, affrontalo attraverso la testimonianza dell’Amore che ti porterà a lasciar da parte i “ma”, i “se”, i “forse” e ogni altro compromesso… “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” ».


SIAMO IN PACE

“Pace” è una parola sulla quale, come sappiamo, l'umanità fa convergere infinite aspirazioni, promesse e speranze.
Per aiutarvi a riflettere sulla pace, oggi vi parlo di un discorso pubblicato nel 2° volume del libro: “Ascoltando il Maestro” (“Siamo in pace?”, pag.289).
Si tratta di un insegnamento in cui Swami Roberto porta innanzitutto a riflettere su come la “pace” sia anche, troppo spesso, una parola equivocata... sovente tirata in ballo in modo egocentrico da tantissime persone che, sopra ogni altra cosa, mirano ad essere lasciate “in pace”.
Swami dice:

“Alcuni interpretano la pace come la condizione nella quale si riesce ad essere in armonia con sé stessi, ma unicamente nel senso di far star bene il proprio corpo...”

“Quasi sempre una persona pensa di essere in pace quando è in buona salute, quando si sente serena e quando vengono soddisfatte le sue necessità... e magari non desidera neppure tante cose, accontentandosi di quel poco che serve per vivere dignitosamente, pensando così di essere a posto”

Le parole del Maestro rendono evidente che la pace, nel significato spirituale della parola, non può essere associata a quello stato di quiete in cui rifugiarsi per scansare sofferenze e preoccupazioni.
Mirare alla tranquillità personale non significa ancora volere la Pace, quella vera, divina, che contraddistingue e caratterizza gli uomini e le donne di Dio.
Infatti, il Maestro parla della pace come:

“....lo stato dell'equilibrio mentale ed animico”...

e per raggiungerla, dice Swami...

“E' bene lavorare molto dentro di sé per fare esercizio al fine di raggiungere il proprio equilibrio, attraverso il quale si spalanca la porta che consente alla pace di impadronirsi di voi"...

le parole del Maestro guidano ad un concetto di Pace che coinvolge la responsabilità spirituale individuale, e che parte dall'edificazione di un equilibrio interiore senza il quale è impossibile portare nel mondo pensieri, parole ed azioni di autentica pace.
In questa prospettiva, vivono da operatori di pace solo coloro che non si accontentano di un interessato armistizio con i propri desideri egoistici (tra i quali anche quello di non essere disturbati da alcunché) ma cercano molto di più: la risposta piena alle sollecitazioni del loro Sé, che li richiama a rispettare fino in fondo la loro responsabilità di esseri spirituali, nati per amare.
Dunque, la pace – aggiunge Swami - come frutto di una precisa volontà, che rifiuta i compromessi e costruisce l'unica sua degna espressione partendo da fondamenta indispensabili: la leale battaglia interiore contro i propri limiti, per crescere nella capacità di amare il prossimo.

“La pace è beatitudine e può essere conquistata soltanto se sapete disciplinarvi nel condurre con perseveranza la vostra “guerra santa” interiore.
Sappiate che la pace di cui vi sto parlando non vi porta lontano dal mondo, non è sinonimo di evasione mentale, né tanto meno di fuga dalla realtà dei vostri doveri sociali e familiari”.

Il Maestro tratteggia i contorni della Pace... quella con la P maiuscola... e spiega come essa passi indispensabilmente attraverso la rinuncia ad un'invitante quiete personale, in favore di uno slancio altruistico verso gli altri... nella famiglia... nella società in cui si vive.
Infatti – sottolinea Swami - non è Pace quella ricercata e difesa gelosamente dagli “evasi dalla società”, ovvero da coloro che si rifugiano in una realtà ovattata, immune dai dolori, dalla sofferenza e dalle scomode richieste che il prossimo potrebbe presentar loro.
Il Maestro afferma...

“Nessuno, sapete, può dire di essere veramente in pace se al contempo non è sensibile alle esigenze del prossimo e dell'ambiente”.

“Non ripeterò mai abbastanza che l'amore per Dio non si può differenziare dall'amore verso il prossimo, altrimenti sarebbe come pensare che l'acqua nel bicchiere sia diversa dall'acqua della bottiglia che lo ha riempito”.

Swami Roberto prende per mano quanti vogliono abbeverarsi alla fonte del suo Pensiero spirituale e spiega come la Pace, quella vera, non può non pulsare altruismo, condivisione, volontà di consentire anche agli altri di beneficiare il più possibile di quei valori umani e spirituali che il mondo vuole a tutti i costi negare...
Ecco allora che la ricerca e la costruzione della Pace richiedono non la quiete, ma la lotta di chi vuole vivere con equilibrio, ma anche con fermezza, la sua vita spirituale, nella consapevolezza che l'Amore per Dio non può essere inteso come una teorica devozione da indirizzare verso un'entità astratta.
Non è vero Amore per il Signore quello che si dimentica degli esseri umani con i quali si condivide la propria esperienza di vita. Come se il Cristo, lodato ed invocato, non fosse anche presente in ognuno di quei fratelli e sorelle che costituiscono il banco di prova concreto sul quale saggiare ogni volontà di amare...
E chi ama veramente il prossimo – ci fa comprendere Swami - come può stare passivamente “in pace” di fronte al dolore, alla desolazione, alla solitudine, alla rassegnazione di molti?
La vera Pace è l'equilibrio e la presenza divina che fortificano i cuori di quanti, giorno dopo giorno, conducono una lotta non violenta, ma determinata, per edificare la concordia e la fratellanza, e per ascoltare le grida di aiuto.

“Tutti, proprio tutti, se soltanto lo volete... ed io spero che addirittura lo pretendiate... potete alleviare il fardello di qualcun altro, e questo è il primo fondamentale passo per iniziare a costruire la pace per il prossimo e per voi stessi”.

Ecco la Pace divina, l'espressione dello spirito che ama e che si dona agli altri... nonostante tutto.
Questa è la marcia della pace che ogni persona è chiamata a percorrere con azioni concrete di carità verso gli altri, nel costante sforzo di sottrarsi a quell'allettante tranquillità che è la “pace dai fastidi”... ovvero la pace di coloro che sono morti interiormente.
Solo accettando questa sfida senza quartiere al proprio egoismo, è possibile fare proprie le parole del Maestro, e pregare dicendo:

“Signore, donami la grazia di raggiungere l'equilibrio interiore, per accogliere pienamente la tua Pace, diventando uno strumento di pace per tutti”.

P.S. - Avevo da pochi giorni scritto questa riflessione, quando mi sono trovato ad ascoltare Swami Roberto pronunciare alcune parole che... mi sono accorto poi... sono la conclusione perfetta di questa mia riflessione:

“Non si potrà parlare di pace finché il mondo non avrà raggiunto un’elevata coscienza anche ecologica. Dunque non si potrà parlare di pace, se nella pace non saranno compresi i nostri fratelli animali, i quali non vivono in pace in quanto sono vittime della violenza e dell’insensibilità umana”.




EMARGINAZIONE

L'insegnamento di Swami Roberto di cui vi parlo oggi (“Emarginazione”, tratto dal libro Ascoltando il Maestro Vol.II pag.130) vi conduce ad esplorare le lande desolate di un fenomeno umano tanto ignobile quanto largamente radicato.
In molti modi diversi, rendendosene conto o meno, ai più risulta assai facile discriminare il prossimo in una deriva razzista che fondamentalmente trae origine, come dice il Maestro, dalla paura di “sentirsi inferiori verso chi non rassomiglia a se stessi... verso il cosiddetto 'straniero'...” ovvero verso colui che con la sua “diversità” minaccia di mettere in pericolo certezze e vantaggi acquisiti.
Le parole di Swami vi guidano ad una esplorazione ad ampio raggio di questa piaga sociale terribile, di cui il Maestro vi fa osservare anche gli aspetti che di norma non si è soliti contemplare, come quello descritto in una metafora molto eloquente:

“Il razzismo è proprio come un virus che può avere anche lunghissimi tempi di incubazione, nel senso che molti ne sono affetti pur senza darlo a vedere… soltanto perché non si sono ancora verificate le condizioni per manifestarlo chiaramente”.

C'è da rabbrividire al pensiero che i tragici venti di discriminazione e di odio razziale che sconvolgono tante vite e tanti popoli, non siano che la parziale manifestazione di un sommerso immensamente più grande. Eppure, seguendo le parole di Swami si giunge proprio a riflettere su questa penosa realtà, fatta di tanti animi teoricamente virtuosi... che si smentiscono non appena la presenza di un “diverso” entra concretamente nella loro vita.
Un altro insidioso risvolto di questo multiforme problema si nasconde poi in uno spazio solitamente “invisibile”; il Maestro lo mette in luce sottolineando che:

“Per quanto possano esistere delle leggi civili che giustamente condannano il razzismo, e delle leggi morali che altrettanto giustamente insegnano la tolleranza, ricordatevi che soltanto il pieno rispetto della dignità umana può sancire il trionfo della fratellanza e la definitiva sconfitta di ogni forma di segregazione”.

Esiste infatti anche una forma di razzismo difficilissima da scovare e da combattere, che si insinua nella distanza compresa tra la moralità e la spiritualità.
Aderire a dei principi morali nobili... praticandoli magari per educazione, per convenienza o anche per paura del castigo divino... non vuol dire ancora aver costruito dentro di sé una vera nobiltà d'animo, frutto di quell'interiore consapevolezza che è indispensabile ad ognuno per poter vivere pienamente il rispetto del prossimo e la fratellanza, nel loro reale significato spirituale.
Solo in questa condizione le radici del razzismo, private di ogni nutrimento, muoiono inesorabilmente.
Però, è triste constatare che questa strada è percorsa veramente da pochi, anche perché la maggior parte delle dottrine religiose contribuiscono a creare quei muri teologici e culturali che automaticamente generano discriminazione.
In fondo basterebbe comprendere che, come dice Swami:

“Il Signore è il Padre di tutti, al di sopra di ogni religione, e ai suoi occhi nessuno è più o meno importante, perché qualunque persona in qualsiasi luogo della Terra per Lui è veramente unica e irripetibile”.

Di fronte a questa verità semplice, qualcuno dirà “da bambini”, vengono smascherati tanti falsi propositi di lotta al razzismo sbandierati da coloro che da un lato predicano fratellanza e rispetto, e dall'altro insegnano che il fedele “diverso” da loro non può salvarsi.
Ben lungi da questa contraddittoria “morale double face”, fluttuante tra la tolleranza e l'intolleranza, Swami ricorda a tutti che per disinnescare la miccia sempre accesa del razzismo:

“è necessario riscoprirsi fratelli e sorelle del mondo intero, perché se veramente si è consapevoli che Dio è in ogni essere vivente, non si può insultarLo nel momento in cui Lui “indossa” i suoi vestiti neri o gialli, riconoscendoLo soltanto quando si veste di bianco”.



PerdonaTi

“PerdonaTi” è il titolo che noi Ramia abbiamo attribuito ad un discorso di Swami Roberto (Pubblicato sul libro “Ascoltando il Maestro”, vol.2°, pag.57), di cui oggi vi parlo.
Chissà quanti, nonostante la T maiuscola nell'ultima sillaba, avranno inteso questo titolo come un participio passato del verbo perdonare... e quanti invece come uno sprone a perdonarsi.
Io credo che prevalgano i primi, almeno tra quelli che ancora non conoscevano il contenuto degli insegnamenti di Swami Roberto in relazione al perdono, e lo hanno scoperto solo dopo aver letto questo suo discorso.
Dice Swami:

“In assoluto il Perdono divino è la possibilità donata a ciascuno di riconquistare l'Eternità. Il Signore Misericordioso è Giusto... e in virtù della sua Perfetta Giustizia “pretende” che tutto sia rimediato. Certo!... se non esistesse la libertà di saldare i propri debiti, non ci si potrebbe conoscere pienamente, fino in fondo. Insomma, si rimarrebbe in una condizione imperfetta a causa degli errori non compresi e quindi non recuperati mediante una crescita interiore”.

Swami parla di un concetto spirituale molto lontano dal perdono-condono cui tanti aspirano, rivolgendosi al Signore per chiederGli quell'indulgente “colpo di spugna” che metta in pari i conti torbidi del loro passato.
Se Dio fosse “comprensivo” con l'umana ignoranza spirituale, sottolinea il Maestro, i destini dell'umanità sarebbero segnati, consegnati al limite, ed aggiunge:

“Se l'Onnipotente non “costringesse” ciascuno a rimediare ai “buchi vuoti”, ovvero a tutte le mancanze di amore nei confronti di sé stessi, della vita e del prossimo, la propria individuale limitazione continuerebbe a farla da padrone”.

Swami mette in evidenza che la Misericordia di Dio non tradisce gli esseri umani attraverso una complice bonarietà che li lascerebbe in balia dei loro limiti, ma li aiuta rimettendo a ciascuno i suoi debiti. Così, secondo la perfetta Giustizia della legge karmica, ogni persona è posta nelle condizioni adatte per poter capire... ed eventualmente rimediare ad un passato sbagliato.
E' questa l'unica via che consente ai figlioli prodighi di far ritorno alla casa del Padre ponendo fine alle loro umane peregrinazioni.
Quindi, sottolinea Swami, l'aiuto divino in cui il credente può confidare non consiste in un generico “sconto di pena”, quanto invece nella possibilità di continuare ad usufruire della vita per poter affrontare le nuove esperienze di quel destino karmico, propedeutico a nuove prese di coscienza, che fondamentalmente è l'essere umano a costruirsi.

“Finché il vostro spirito non si risveglierà nella dimensione eterna dopo aver esaurito il ciclo delle nascite e morti, le esperienze karmiche sono il mezzo che consente la vostra evoluzione. E' certo che il Signore vi aiuta ad affrontare ogni prova karmica, ma il suo aiuto ci sarà solo quale conseguenza di una presa di coscienza delle vostre colpe, accompagnata da un vero pentimento che si esplica nella concreta volontà di rimediare.
Soltanto tu puoi dare una consistenza al perdono... perdonandoti... e questo accade nel momento in cui... hai recuperato il “vuoto” che hai provocato contro l'Amore. Tutto ciò avviene grazie alla Misericordia di Dio che in assoluto “ti perdona” ma, ri-sottolineo... permettendoti di perdonarti. Così potrai essere finalmente libero dal male compiuto, solo dopo averlo capito e kamicamente trasformato in bene".

Dunque le parole di Swami portano a comprendere che è riduttivo intendere il Perdono divino come un'iniziativa del Padre Misericordioso della quale l'essere umano funge semplicemente da destinatario.
Il Maestro insegna che in realtà ognuno è chiamato a diventare co-protagonista di quel Perdono che non va inteso come un atto unilaterale di Dio, ma come un momento di comunione dell'essere umano con la Divina Misericordia, che sempre Ama.

“Soltanto tu puoi dare una consistenza al perdono... perdonandoti” - dice Swami – esortando ciascuno a vivere attivamente, da protagonista, il proprio rapporto con Dio, nella volontà di annullare il male commesso attraverso una riparatrice azione di Amore, frutto di una mentalità rinnovata.
Ecco il Perdono quale azione concertata di Dio e del credente che, consapevole degli errori commessi, converge verso il Sommo Amore “perdonandosi” di fatto il male compiuto, ovvero rimediandolo attraverso il bene concretamente messo in pratica.
Swami aggiunge:

"L'Amore di Dio, così immenso da permettervi di “riscattarvi”... non soltanto attraverso un suo “condono” in risposta alla vostra sincera contrizione... ma ancor di più, ed è questa la grande meraviglia, consentendo ad ognuno di perdonare sé stesso!"

Pensate a quante persone, contemplando il concetto di un Dio che può anche essere “punitore”, si pongono l'angosciante dilemma: “Dio mi perdonerà?”.
In questo punto interrogativo si colloca di fatto un insulto alla Divina Misericordia, perché una persona che dubita di poter essere perdonata da Dio, attribuisce all'Eterno Padre un limite proprio della natura umana. Infatti, come potrebbe l'Amore perfetto del Misericordioso negarsi di fronte ad una sincera richiesta di aiuto?
In realtà nessun male umano può essere così grande da offuscare l'Amore di Dio, cui nulla e nessuno può impedire di essere ciò che Lui sempre E': Amore Eterno.
Quindi Dio perdona sempre, ovvero ama senza condizioni lasciando sempre all'essere umano la possibilità di rimediare ai propri peccati. Ma dipende solo da noi cogliere la mano tesa con cui Lui ci aiuta a risollevarci... se lo vogliamo... e solo se lo vogliamo.


BUONA VOLONTA'

Leggere il brano “Buona Volontà” (tratto dal libro “Ascoltando il Maestro", Vol.2°, pag.124), significa farsi guidare da Swami Roberto nell'esplorazione della dimensione dell'umano volere.
Il Maestro introduce così il suo insegnamento:

« Qualcuno dice: "Io ho poca volontà". Sappiate che questa affermazione non è corretta, poiché non esiste la poca o debole volontà, ma esiste soltanto la volontà. È come quando si afferma: il sole è fiacco, malato, debole… è un modo di dire, ma è inesatto, perché ovviamente dietro le nubi il sole è potente, sempre! »

Le parole di Swami fanno crollare il paravento di tante possibili giustificazioni, e mettono in luce come gli alti e bassi di tante umane volontà dipendano dai compromessi che si è disposti o meno a stipulare con i propri desideri egoistici.
Dice infatti Swami:

“L’umana volontà è forte quando si inseguono ideali che gratificano l’amor proprio, mentre invece è più debole quando occorre 'tirarla fuori' secondo i suggerimenti della coscienza, che non sempre coincidono con i propri comodi”.

Questa volubilità è sintomatica dello stato di fragilità spirituale in cui versano molte persone che, di fronte alle prove della vita, accampano infiniti alibi per giustificare difficoltà ed insuccessi, rifiutandosi di ricondurre alla responsabilità individuale le lacune di una volontà che, come sottolinea Swami, “è praticamente il carattere, la spina dorsale della tua spiritualità”.

“Voi – aggiunge il Maestro - impegnatevi a praticare la 'ginnastica' indispensabile per potenziare la buona volontà, cosicché non vi arrenderete di fronte alle difficoltà e non permetterete ai vostri istinti di rabbia o alla rassegnazione di avere il sopravvento su di voi. Se non volete chinare il capo davanti a nessuno, innanzitutto non dovete piegarvi dinanzi ai vostri vizi e alle vostre miserie interiori”.

Nella seconda parte del suo insegnamento, Swami apre uno scenario completamente diverso, nel quale illustra la scorciatoia attraverso la quale l'umano volere può nobilitarsi, instaurando una sorta di simbiosi con la Perfetta Volontà di Dio.
Si tratta di un percorso che non parte dal chiedersi “Qual è la volontà di Dio?”, ovvero dal porsi quell'abituale e spontaneo interrogativo cui la limitatezza dell'intelletto umano preclude risposte pienamente attendibili.
Dice il Maestro:

“Pensaci: tu non puoi essere mai certo di fare la Volontà di Dio perché non La conosci...”
“Come puoi pensare di imprigionare la Volontà di Dio nei tuoi limitatissimi schemi?”...
“...è bene osservare da un altro punto di vista la questione: lascia da parte il voler sapere cosa il Signore vorrà da te in futuro, ed inizia invece a lavorare nel tuo animo, per avere un cuore amorevole, costantemente pronto ad accoglierLo… ovvero a comprendere che Lui è sempre in te.
Pensa che bello: poter così essere la stessa Volontà di Dio quando sei suo strumento e mezzo, attraverso la tua 'volontà di volere' abbandonarti a Lui”.

Swami Roberto mostra così la strada per prendere “l'ascensore” grazie al quale l'umana volontà sale verso i cieli della perfezione, che si fanno vicini quando si è capaci di focalizzare i propri sforzi nell'abbattimento quotidiano di quelle barriere interiori che separano da Dio.
Allora, in comunione con il Cielo, nulla è impossibile per la Volontà umana che, uscita finalmente dal letargo, può dimostrare e dimostrarsi che... “volere è potere!”.



SAPER ASCOLTARE

L'insegnamento di Swami Roberto di cui vi parlo oggi (“Saper ascoltare”, Tratto dal libro “Ascoltando il Maestro”, vol.2°, pag.296), prende in esame uno dei principi spirituali che sono generalmente più conosciuti e meno praticati dagli esseri umani: “Non giudicare”.
In ogni persona il giudizio, inteso quale facoltà di valutare e discernere, è una caratteristica innata ed in quanto tale non va contrastata, bensì coltivata ed affinata.
Però, il problema spirituale nasce nel momento in cui questa facoltà viene usata per giudicare il prossimo con sentenze definitive ed inappellabili, che oltretutto non tengono conto della fallibilità di chi le emette.
Infatti, come evidenzia il Maestro:

«Chi giudica è schiavo delle apparenze, ed è legato in modo sbagliato alla propria ragione influenzata dalle fallibili opinioni soggettive.»

«Per quanto infatti riusciate ad essere obiettivi nelle vostre valutazioni nei confronti degli altri, non potrete mai leggere nell’animo altrui fino in fondo e quindi non possederete mai la certezza che il vostro giudizio sia assolutamente perfetto.»

E' evidente che qualsiasi persona non può che giudicare “umanamente”, ovvero in modo limitato, per cui nessuno ha il diritto di “scagliare la pietra” contro il condannato di turno, ovvero contro chi appare ai suoi occhi come un colpevole.
Inoltre, aggiunge il Maestro:

«il “non giudicare” comporta anche la capacità di saper accogliere la verità da qualsiasi parte essa provenga, magari proprio da una persona che potrebbe essere considerata peggiore di altri.»

«se Dio vuole, la verità potete impararla persino da un malvivente… certo, proprio da tutti, per estremo anche da un carcerato che “ne ha combinate di tutti i colori”.
Imponetevi di guardare sempre alla sostanza di quanto vi viene detto a prescindere dalla reputazione che avete verso chi ve lo dice…»

Ascoltare e mettere in pratica queste parole di Swami è difficile per tutti, ma soprattutto per i tanti perbenisti che trovano indigesta l'idea che anche una persona “malfamata” sia in grado di esprimere una verità, e dunque di insegnare qualcosa a qualcuno.
Eppure, proprio la vita reale ci mostra tantissimi esempi di persone che hanno vissuto grandi difficoltà nella vita, sbagliando molto, e poi maturando al punto di poter donare qualcosa di importante agli altri, proprio grazie alle brutte esperienze vissute. Non a caso, questo è il soggetto delle trame commoventi di numerosi film che toccano i cuori degli spettatori seduti in poltrona; ma quando lo spettacolo finisce, quegli stessi cuori rifiutano l'idea che anche a loro possa capitare di incontrare la verità in quella forma, ovvero attraverso una persona marchiata in malomodo dalla società.

«Voi continua Swami - mantenete sempre la mente aperta ed elastica… siate capaci di riconoscere la verità in qualsiasi forma essa vi si presenti e non cadrete mai vittime del pregiudizio. Imparate ad analizzare il contenuto del messaggio, invece di badare tanto a come vi viene detto, per cui sovente vi offendete. Fate tesoro della verità, sempre… anche se è annunciata da chi non vi “va a genio”. Amate la libertà e rammentate che lo Spirito Santo può farvi giungere la Verità anche attraverso gli ultimi, quelli considerati ignoranti o non degni… insomma nella maniera o per mezzo di chi meno vi aspettate»

Oramai bisogna essere proprio dei marziani per guardare alla sostanza delle cose, invece che alle etichette. La società-marketing in cui viviamo non ammette infatti eccezioni alle sue regole asfissianti: ogni cosa vale solo quando ha l'appeal giusto.
Così, tantissimi vanno in crisi di fronte agli “scherzi” della verità, che a volte ama travestirsi presentandosi in forme difficilmente riconoscibili, proprio per insegnare la capacità di riconoscerla al di là delle fuorvianti apparenze. Ed è proprio questa la scuola divina che aiuta a diventare come quei fini intenditori che sono capaci di riconoscere l'opera di pregio anche quando si confonde in mezzo a mille cianfrusaglie.
In ogni caso, le insidie celate tra le pieghe del pregiudizio sono veramente tante, e le parole di Swami guidano a scoprirne un'altra veramente pericolosa:

«Spesso si commette un gravissimo errore, ovvero quello di giudicare qualcuno per come lo si era conosciuto in passato, senza considerare i suoi eventuali cambiamenti».

Chi è abituato a giudicare le persone, cataloga tante di esse alla voce “pre-giudicati”, ovvero “giudicati a priori” come dei poco di buono, a prescindere da come effettivamente si comportano. Con questo filtro è impossibile accorgersi di qualsiasi cambiamento, e così si rimane ancorati a ciò che è stato, annullando invece il significato di ciò che è, o che potrà essere.
Chi imbocca questa via finisce col vivere un'esistenza falsata, cristallizzata su preconcetti lontanissimi dalla realtà, in una spirale che porta inevitabilmente a “mummificare” la vita propria... e anche quella degli altri.
Oltretutto, come sottolinea il Maestro:

«Sovente proprio coloro che sono spensieratamente incoerenti nell’attuazione dei propri buoni propositi, si rivelano invece addirittura intransigenti nell’essere a tutti i costi “coerenti” con i propri precedenti pregiudizi».


E' proprio questa la beffa perpetrata ai danni della fedeltà: i più non riescono a praticare la virtù spirituale della coerenza ai valori dell'esistenza, ma invece non fanno alcuna fatica a mostrarsi “fedeli” ai vizi ed in generale agli aspetti meno nobili della loro umanità.
A causa di ciò, i pregiudizi proliferano in molte persone che... semplicemente... preferiscono “immortalare” il prossimo così come l'hanno conosciuto... e giudicato... senza dover star lì a rimettere tutto in discussione.
Infatti, è una gran fatica affrontare a viso aperto la realtà, per constatare, per accogliere i cambiamenti, e per vivere con pienezza l'esistenza nella costante capacità di rinnovarsi, e di ravvedersi quando necessario.
Ma, come sottolinea Swami:

«Chi si vota alla verità non ha mai paura del confronto, delle domande, del rinnovamento… né teme di manifestare il proprio ripensamento di fronte ad una realtà che muta, o di cui ha una migliore comprensione. Quanti non sono capaci di “aggiornare” le proprie convinzioni di fronte al dinamico procedere della vita, che è una continua novità con il suo incessante cambiamento, dimostrano che hanno scelto di limitarsi a “sopravvivere”… anziché di immergersi appieno, attivamente, nella perpetua trasformazione della vita stessa. Questo vale anche in relazione ad alcune situazioni del proprio passato, che per molti sono motivo di angoscia a causa di laceranti sensi di colpa che impediscono di “girare pagina” e di affrontare con rinnovata fiducia il domani».

«Accogliete sempre in voi il vento del rinnovamento, che fa lievitare la vita interiore, rendendo più bella la vostra giornata… e insieme, pregando con devozione, chiedete al Signore che vi aiuti a realizzare le parole di questo canto: “Tu, che fai nuove tutte le cose, fa che oggi diventiamo nuovi come Te. …E, quando mi sento un fallito, dammi di ricominciare, donami un cuore nuovo che sia capace d’amare".»



DALL'IRREALE AL REALE

Tutti sanno, almeno per sentito dire, che non bisogna lasciarsi irretire dall'apparenza delle cose ma bisogna fare tutto il possibile per cercare l'essenza... della propria vita e di tutto ciò che ne fa parte.
Nel discorso di cui vi parlo oggi (Dall'Irreale al Reale, Vol II "Ascoltando il Maestro", pag.302), Swami Roberto illustra aspetti e trabocchetti di questa sfida esistenziale che per molti è veramente ostica.

“Ricordatevi sempredice il Maestro - che quando celebrate la preghiera: “Conducimi Signore dall’irreale al Reale”, pronunciate delle parole che in pratica significano: Signore, aiutami ad entrare nell’essenza, anziché rimanere fermo all’apparenza”.

Si tratta di una contesa che coinvolge tutti gli aspetti della vita umana, ma che assume particolare importanza sul piano dell'individuale esperienza religiosa. Qui l'apparenza propone una grande varietà di insidiose trappole, nella forma di percorsi illusori che promettono agevoli conquiste da ottenere attraverso maldestre imitazioni della devozione.
Così l'irrealtà riesce a catturare frotte di credenti poco propensi alla coerenza e al coraggio richiesti dalla spiritualità vera.

“Molti fedelidice il Maestrochiedono solamente di essere aiutati nei loro problemi e si aspettano di ottenere una grazia. Poi però si fermano lì, non sempre vanno oltre, non raggiungono piani di consapevolezza e mete spirituali superiori... e così rischiano, se non ottenessero da Dio le grazie sperate, di perdere quella che loro reputavano fede”.

Questi credenti per così dire “pragmatici” hanno una concezione utilitaristica di Dio, in funzione della quale interpretano la loro vita religiosa come se fosse una polizza di assicurazione contro rischi ed infermità. E' questa una delle vie maestre attraverso le quali tante forme distorte di fede si radicano negli animi incapaci di resistere alle lusinghe dell'opportunismo, subdolo ispiratore dell'illusione collettiva dell'apparenza.
Per far svanire questa sorta di incantesimo, occorre disporsi ad accogliere la scomoda Voce della Realtà, che denuncia ogni forma di ignoranza spirituale frantumando contraddizioni, compromessi e luoghi comuni.
Questa Voce suona “familiare” a quanti amano frequentare i Centri di Anima Universale, le scuole dello spirito nelle quali le parole del Maestro impediscono all'irreale apparenza di usurpare il Regno della Verità interiore.
"Il Maestro spirituale - sottolinea Swami Roberto -  è indispensabile ed è autentico solo quando ti insegna la Conoscenza, ovvero la Via che ti permette di camminare con le tue gambe, senza dipendere dal guru… per dipendere invece da una matura fede in Dio e dalla tua coscienza finalmente adulta, elevata”.
Questo accade a quanti, in Anima Universale, imparano ad abbeverarsi alla Sorgente della Realtà.





LAVORI IN CORSO

Durante la mia giovinezza io interpretavo l'umiltà come una sorta di concetto del "basso profilo" da tenere in tante situazioni in cui mi sembrava opportuno evitare di mettermi in mostra, per non apparire orgoglioso e superbo.
Poi, la scuola spirituale di Swami Roberto mi ha permesso di demolire il rassicurante cliché di umiltà che mi ero costruito fino ad allora.
Spesso mi tornano in mente alcune parti degli insegnamenti di Swami che  hanno accompagnato i miei "lavori in corso", ed oggi le rileggo insieme a voi.

« Pregate così: “Signore, allontana da me lo spirito della falsa umiltà”.
Vi chiederete quale sia questa umiltà non autentica...
Fate attenzione, perché come spesso avviene, anche in questo caso le apparenze ingannano... e molto!
Forse confondete l’umiltà con la soggezione, o con una modestia sociale da manuale di galateo...
Ritenete che il mettervi all’ultimo posto sia un gesto umile?
Non potrebbe essere invece, il più delle volte, una scelta di comodo per non assumervi alcuna responsabilità?
Potreste anche pensare che sia umile chi appare vestito con semplicità, con abiti vecchi e rattoppati… e magari avete a che fare con un miliardario gravemente ammalato di avarizia.
Vedete... purtroppo moltissime persone sono state indottrinate a credere che l’umiltà sia come un “vestito di circostanza”, la condotta esteriore “nei confronti di…”, piuttosto che un modo di essere che scaturisce dall’interiorità.
Allora la vostra non sia mai più un’umiltà di facciata, che alla fine vi porterebbe solo a pensare egoisticamente a voi stessi, o in altri casi ad autocommiserarvi.
Siate autenticamente umili, incominciando col non sentirvi dei “padreterni”, piuttosto che “fare i dimessi” ed ostentare poi la presunzione di avere sempre ragione.
Chi è veramente umile non sa di esserlo...
Perciò non è mai umile chi si atteggia in questa parte per svariati motivi, anche psicologici…
Né lo è generalmente chi si definisce tale.
L’umiltà consiste nell’essere veri.
Tutto il resto è recita. »
(Tratto dal libro « Ascoltando il Maestro, vol 1, p.199)

« Ti chiedo: è più facile essere umili perché si mortifica il proprio io così esteriormente per cui tutti possano giudicarti servizievole, affabile, povero e quindi umile...
oppure potrebbe essere veramente umile chi invece non avendo necessariamente questi requisiti standard è disposto a guardarsi così nel profondo della coscienza al punto di scoprire la propria immondizia per combatterla, morendo giorno dopo giorno alla sua comodità interiore (che sono proprio le sue opinioni e convinzioni di sé, ben più radicate delle comodità materiali) in silenzio, non applaudito da nessuno e capace di trasformarsi facendo nascere dentro di sé l’uomo nuovo?
Non è umile chi, pur ammettendo di essere peccatore, non fa nulla per affrontare sé stesso interiormente, ma preferisce scaricare la propria coscienza magari confessando ad un altro i propri peccati o preferisce andare scalzo piuttosto che cambiare sé stesso.
Ricordati che guardarsi allo specchio della propria coscienza fa veramente tremare! »
(Tratto dal libro « Ascoltando il Maestro, vol 1, p.259)


« L’umiltà, quale aspetto della devozione che vi eleva a Dio, consiste nell’avere rispetto per gli altri… per gli anziani, per i saggi, per quelli che ne sanno più di voi e non solo.
Così facendo siete umili anche se vi mostrate vestiti d’oro, mentre se non rispettate il prossimo potete anche essere vestiti di stracci o viaggiare a piedi nudi, ma comunque siete un nulla.
Pertanto la prima regola dell’umiltà è proprio quella di avere comprensione per tutti, e nutrire molto rispetto per gli altri.
Poi, elevandosi, ci si accorge che per umiltà si intende avere innanzitutto rispetto per sé stessi… altrimenti ci si fa del male da soli e conseguentemente non si può neppure avere rispetto per coloro che ci sono accanto.»
(Tratto dal libro « Ascoltando il Maestro, vol 2, p.265)

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