Autoscatti sulla mia fede

Come potete intuire dal titolo, in questa pagina del mio diario racconterò alcune tappe del mio ultimo ventennio di vita interiore.
Non trattandosi di una pubblicazione con finalità didattiche, non mi preoccuperò di esporre in modo organico i vari temi che vanno a toccare il pensiero spirituale della mia Chiesa (per chi vuole approfondire ci sono le sedi ed i contesti opportuni), ma lascerò carta bianca al mio cuore perché mi porti qua e là, a rivisitare alcune esperienze e riflessioni che sono scaturite in vari momenti del mio percorso.

MISE LA SUA TENDA
IN MEZZO A NOI

Durante il mese di dicembre del 1996 mi trasferii stabilmente nel monastero di Leini' e cominciai a vivere nella comunità dei Ramia, che peraltro già conoscevo assai bene.
Infatti, era da un po' di tempo che stavo facendo la spola in auto tra il Veneto ed il Piemonte, perché in quel periodo di profondo cambiamento sentivo la necessità "impellente" di partecipare ogni settimana alle preghiere celebrate da Swami Roberto...
Avvertivo forte il bisogno di dissetarmi a quella fonte di acqua viva, che mi sembrava sgorgasse sempre più fresca ed abbondante, e quei momenti di preghiera che trascorrevo alla presenza del Maestro erano diventati degli irrinunciabili toccasana che mi davano una grande spinta per far fronte agli ostacoli che via via mi si presentavano.
Ogni volta che mi trovavo al cospetto di Swami, si aprivano davanti a me degli inattesi orizzonti di comprensione che mi invitavano ad essere esplorati... e poi, mi sembrava come di fare il “pieno” da quell'incredibile distributore di energia che Lui dimostrava di essere.
Quando mi stabilii con continuità nel Monastero, iniziai una vita completamente diversa: ci volle ben poco per spogliarmi dei miei abiti “secolari”, perché mi trovai immerso in una realtà così straordinaria e coinvolgente, che di lì a qualche settimana già mi sembrava che quella vita da religioso mi fosse sempre appartenuta, come se un invisibile colpo di spugna avesse cancellato oltre trent'anni trascorsi a ragionare e a vivere da uomo del mondo, di tanto in tanto distrattamente interessato alla “questione Dio”.
Quei primi mesi vissuti insieme ai miei confratelli Ramia furono caratterizzati da una gioia e da un'intensità memorabili, che si innestavano in un fertile processo di trasformazione del mio universo interiore.
La consapevolezza, la fede... e anche l'emozione e lo stupore di fronte al nuovo che mi si presentava quotidianamente innanzi: tutto mi parlava di Dio, ed io non volevo altro che starLo ad ascoltare.
“Caso” volle che questo particolare contesto spirituale fosse anche accompagnato da una situazione più prettamente materiale che nella comunità dei Ramia creava tanto fermento, perché erano in corso tutta una serie di complessi adempimenti e preparativi affinché nel nostro Monastero potesse essere installato un palatenda, che si rendeva indispensabile per poter accogliere i fedeli che confluivano a Leinì per incontrare Swami Roberto.
Quella grande tenda, che arrivò sul finire di quella mia prima primavera a Leinì ed in breve fu installata sul terreno del monastero (la prima preghiera vi fu celebrata l'8 giugno del 1997), recitò una parte da protagonista nei miei primi anni di sacerdozio...
In un modo o nell'altro mi trovavo ogni giorno ad essere impegnato, insieme ad altri miei confratelli, per predisporre gli allestimenti per la preghiera, per fare piccoli lavori di sistemazione e poi di manutenzione, e soprattutto dovemmo tutti insieme vivere una lunga serie di attese... e di pratiche burocratiche... perché i Funzionari del Comune di Leinì ci concedessero di volta in volta le necessarie proroghe dell'autorizzazione temporanea al suo utilizzo.
Quel palatenda era infatti una struttura provvisoria, che prima o poi avremmo dovuto togliere, per cui ci trovavamo a vivere una situazione tutta particolare, come se fossimo "accampati" sotto quei teli.
Ora... vi sto raccontando questi fatti a distanza di 16 anni da quando sono accaduti... senonché, sulla mia scrivania c'è il “responsabile” di questo mio ricordo.
Si tratta di un versetto del celebre prologo del Vangelo di Giovanni (1,14) così tradotto in italiano:“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria”.
In realtà, al posto di "venne ad abitare" bisognerebbe scrivere "mettere la tenda", perché questo è il significato del verbo eskēnosēn che l'evangelista ha usato nel testo originale in greco. Così, nella sua versione più autentica questo versetto di Giovanni parla con precisione addirittura letterale della mia esperienza vissuta, al punto che anch'io potrei riscriverlo allo stesso modo!

Infatti, Dio è venuto ad abitare nella mia vita “installandosi” in quella grande ed indimenticabile tenda di cui vi ho appena raccontato, nella quale per 14 anni ho potuto incontrarLo insieme a tanti altri fedeli ramirici, che lì hanno riempito il loro cuore di Amore e di Speranza, in momenti di preghiera indimenticabili.
Sono stati anni per me meravigliosi, durante i quali prima ho vissuto il mio personale esodo, uscendo dall'Egitto di una vita vissuta sotto il giogo dell'ignoranza spirituale... poi ho condotto un pellegrinaggio nel deserto al riparo della tenda in cui ho adorato il Signore... ed infine sono giunto nella Terra Promessa... là dove la precarietà della tenda lascia il posto al Tempio di pietra che custodisce il Patto d'Amore stipulato da Dio con me e con tutti i fedeli ramirici.
Oggi, la Cupola del nuovo Tempio che si staglia nel cielo davanti ai miei occhi, mi fa pensare alla presenza di Dio che... espressa con la parola ebraica  "shekinà”... mi mostra la stessa radice (s... k... n) del verbo greco eskénosen.

Infatti, il nuovo Tempio ramirico ora sorge nel luogo esatto dove prima c'era la grande tenda, per cui la contiene idealmente ed energeticamente... ed è come se fosse un'immagine della shekinà (presenza di Dio) che contiene la skēnē (la tenda), non solo etimologicamente ma anche nella realtà concreta.
Così, questo versetto del Vangelo di Giovanni adesso risuona nel più profondo del mio animo: “E il Verbo si fece carne e mise la sua tenda in mezzo a noi, e noi abbiamo contemplato la sua Gloria.
A questo punto... il fatto che il mio Maestro si chiami Roberto... un nome che deriva dall'antica lingua gotica ed è formato da due termini: “hruod”, gloria e “bert”, splendente... vale a dire “Splendente di Gloria”... è solo un dettaglio “insignificante”, non vi pare?


SUONO UNICO
ED INCONFONDIBILE

La Bibbia... dal greco tà Biblìa, “i libri”: quanti pensieri, ricordi, sensazioni contrastanti provoca questa parola.
Durante la prima parte della mia vita ho avuto con le Sacre Scritture un rapporto sostanzialmente “tiepido”, soprattutto da quando è cominciato a scemare quell'entusiasmo giovanile che era stato favorito dall'educazione religiosa ricevuta prima in famiglia, e poi anche in parrocchia.

Le informazioni bibliche che ricevetti negli anni spensierati dell'infanzia avevano stimolato molto la mia immaginazione di fanciullo: Abramo ed Isacco... Giuseppe e i suoi fratelli... Mosè... e poi Gesù, la figura straordinaria del Figlio di Dio, i suoi miracoli e le parabole così calde, affascinanti, colme di significato e di bellezza...
Nel periodo dell'adolescenza tutto questo calore si raffreddò molto: quando incontrai le prime difficoltà della vita vera, l'atmosfera incantata di quei racconti svanì rapidamente, perché la realtà concreta mi si mostrava ben lontana da quei messaggi e da quei valori, che quindi mi sembravano inapplicabili.
Ascoltavo le Letture Sacre della Messa domenicale e le omelie dei sacerdoti come delle enunciazioni astratte, sempre più estranee alla mia quotidianità... e questa distanza mi portò a mettere la Bibbia “in naftalina”, perché mi sembrava che i suoi contenuti appartenessero ad un mondo remoto che non avrebbe potuto esistere più.
Neanche i frequenti incontri di catechesi che accompagnarono la mia formazione cattolica riuscivano ad attualizzarli, tant'è vero che la mia pratica religiosa divenne una formalità, e la “Parola di Dio” diventò per me come un “conoscente” emigrato in un paese lontano, con il quale intrattenevo rapporti saltuari... soltanto quando ne sentivo la necessità... ed in maniera indipendente, perché le spiegazioni dei vari intermediari che fino ad allora avevo conosciuto mi avevano lasciato irrimediabilmente indifferente.
Oltretutto, nel periodo in cui frequentavo le scuole superiori si sommarono alcuni episodi che accelerarono di molto questo processo di disaffezione, perché incontrai numerose persone... cattoliche, evangeliche, testimoni di Geova... che utilizzavano la Bibbia come una specie di oggetto contundente da scagliare contro tutti quelli che non volevano convertirsi al loro modo di interpretarla.
Ai miei occhi la “Parola di Dio” era così diventata un'arma in mano agli esagitati e agli intolleranti, per cui me ne uscii da queste assurde contese e mi ritagliai un percorso tutto mio nel quale di tanto in tanto leggevo dei passi della Bibbia cristiana, che per par condicio alternavo alla lettura dei Testi Sacri delle altre tradizioni religiose.


Come vi ho già raccontato in questo mio diario (Vedi: "Il mio incontro con Swami"), la più inattesa e dirompente delle rivoluzioni giunse nella mia vita quando incontrai il pensiero spirituale di Swami Roberto, con il conseguente sbocciare della mia vocazione religiosa. Però, quello che non ho ancora avuto modo di raccontarvi è l'evolversi di questo mio personale rapporto con la Bibbia che, nel corso degli anni, è cambiato molto fino a giungere alla sua veste attuale.
La mia inversione di rotta è coincisa con il momento in cui ho cominciato a leggere le pubblicazioni della Chiesa Anima Universale di cui ero entrato in possesso.
Siccome in quei libri si faceva spesso cenno a passi del Vangelo o dell'Antico Testamento e si nominavano anche i Testi sacri delle altre tradizioni religiose, cominciai un po' alla volta a rispolverare i miei ricordi, e l'argomento “Bibbia e affini” tornò a rivestire una sua importanza nella mia vita.
Però, il mio interesse primario non era costituito dalla Parola scritta nelle infinite pagine di quei grandi volumi che ripresi a consultare più di frequente...
Ciò che fece veramente la differenza fu l'impatto con la Parola viva, quella che... quando iniziai a partecipare al darshan del mio Maestro... sentii uscire dalla sua bocca e vibrare con tale forza da scuotere anche le corde più profonde della mia anima.
Il modo originalissimo con il quale Swami Roberto parlava dei Testi Sacri mi colpì molto.
Fino ad allora avevo ascoltato un gran numero di "interpreti" religiosi di vario ordine e grado, che estrapolavano dalla Bibbia dei brani per poi esprimere una loro interpretazione di significato...
Invece, di fronte al Maestro feci esperienza di un fatto completamente nuovo e sorprendente: fui rapito dall'inspiegabile autorità con la quale Lui pronunciò autonomamente il suo insegnamento spirituale, del quale i brani evangelici diventavano il naturale corollario.
Ora... nella mia infarinatura religiosa cristiana avevo sentito parlare molto del “Verbo che si fa carne”, e molto avevo anche letto di questo concetto dell'incarnazione del Logos divino che il prologo del vangelo di Giovanni mi aveva reso familiare... ma nei fatti della mia vita quella Voce era rimasta sempre muta.
Ebbene... durante i miei primi darshan di Swami Roberto il Verbo divino lo sentii... eccome se lo sentii... ed aveva un Suono inconfondibilmente unico!

L'immediata conseguenza fu che il mio universo interiore fu investito da un vento così impetuoso che in poco tempo sradicò tutti i baluardi sui quali si era costruita la personalità dell'uomo vecchio che ero stato, e preparò il terreno su cui finalmente potevo gettare le prime fondamenta dell'uomo nuovo che poi, nel corso degli anni, esperienza dopo esperienza, mi apprestavo a diventare.
A partire da allora, il Verbo divino ha assunto per me una forma visibile e addirittura quotidiana: dalla bocca del mio Maestro esce la Parola di Dio che mi inonda del Suo Amore e della Luce dell'Eterna Sapienza.

Per esperienza diretta, oggi posso dire che il Verbo di Dio è per me inconfondibile: Lo ascolto vibrare nella Voce del mio Maestro e Lo riconosco perché ha in Sé stesso la Verità del “così è”... mostrandomi una peculiarità che lo differenzia in modo abissale da tutte quelle forme di “verità” che sono affermate come tali perché dette da qualcuno ritenuto religiosamente autorevole, o perché scritte in un Testo Sacro (che magari è "canonico" per una Chiesa e "apocrifo" per un'altra).
Ben lungi da tutto questo, la Parola divina di Swami Roberto non ha bisogno di nessun'altra autorità se non di quella che proviene da Sé stessa, ed io La sento toccare in profondità il mio spirito superando ogni barriera... oltrepassando la coltre di maschere e “detriti” vari con i quali di norma cerco di coprire le mie “nudità interiori”... e colpendomi proprio là, nelle mie “corde” più intime, senza lasciare scampo ad ignoranza e giustificazioni... ma non solo...
Oltre ad essere un poderoso enzima spirituale che mi permette di maturare nel mio percorso interiore rischiarando i cieli della mia mente, di riflesso la Parola del Maestro
va anche a toccare le pagine della Bibbia che in varie circostanze mi ritrovo a leggere, facendo sì che il Testo Sacro si rianimi e torni a vivere, mostrandomi anche dei nuovi “passaggi segreti” che la lettura teologica cristiana tradizionale aveva lasciato inesorabilmente nascosti ai miei occhi.
Così... il Verbo di Dio che si è fatto carne riempie con pienezza ogni giorno della mia vita.


9 APRILE
DELL'ANNO 30 d.C.

In quale preciso punto della storia un credente cristiano può collocare la passione, morte e resurrezione di Gesù di Nazareth?
Fino a qualche tempo fa la risposta era ostacolata da una palese incongruenza presente all'interno dei Vangeli cosiddetti "canonici".
Infatti, mentre tutti e quattro gli evangelisti concordano sul fatto che la crocifissione del Cristo sia avvenuta di venerdì, esiste un disaccordo tra di loro in relazione alla sua contemporaneità con la Pasqua ebraica:
- il Vangelo di Giovanni dice che la crocifissione di Gesù è avvenuta il 14 del mese ebraico Nisan, cioè la vigilia della Pasqua ebraica...
- invece i sinottici (Matteo, Marco, Luca) “in coro” dicono che la crocifissione è avvenuta il 15 Nisan, cioè il giorno stesso della Pasqua.

Negli ultimi anni la "matassa" si è dipanata, al punto che oggi la questione può essere riassunta così:
i giorni della Passione di Gesù vanno collocati tra il 26 ed il 36 dopo Cristo, nel decennio in cui a Gerusalemme governava Ponzio Pilato.
(Clicca sull'immagine per ingrandirla)
In questa "finestra" decennale ci sono soltanto 3 date che rispondono ai “requisiti evangelici” attribuiti al giorno della crocifissione (ovvero essere un venerdì... 14 o 15 Nisan) e queste date sono:
- il 7 aprile del 30 ed il 3 aprile del 33 d.C. (entrambe 14 Nisan, vigilia della Pasqua ebraica, quindi compatibili con il racconto giovanneo).
- il 27 aprile del 31 d.C. (15 Nisan, giorno della Pasqua ebraica, compatibile con il racconto sinottico)...

Ormai quest'ultima opzione "sinottica" è ritenuta inverosimile dagli studiosi, che osservano come le celebrazioni della Pasqua comportassero per gli ebrei la necessità di celebrare il riposo festivo, astenendosi da ogni attività. Per conseguenza, in quel giorno solenne il processo a Gesù e la sua crocifissione non avrebbero potuto avere luogo... una grande folla con spade e bastoni non avrebbe potuto muoversi per Gerusalemme (Mt 26,47)... Simone il Cireneo non avrebbe potuto andare a lavorare (Mc 15,21)... ecc. ecc. ecc.
Alla luce di ciò, gli studi esegetici spiegano che l'Ultima Cena di Gesù con i discepoli avvenne un giovedì sera precedente la vigilia pasquale, com'è giustamente indicato nel Vangelo di Giovanni, e la crocifissione ebbe luogo il giorno seguente: un venerdì di vigilia della Pasqua ebraica, ovvero un 14 Nisan.
Pertanto, la data di crocifissione del 27/4/31 (15 nisan) desumibile dalla ricostruzione sinottica, viene scartata.

A questo punto manca però un ultimo passo: in quale delle due date possibili alla luce del Vangelo di Giovanni... ovvero il 7/4/30 e il 3/4/33... è effettivamente avvenuta la crocifissione?
Prendendo in esame le informazioni evangeliche che si interfacciano con le fonti costituite dalla storia romana ed ebraica, si può dedurre quanto segue:
Gesù iniziò la missione pubblica nel XV° anno di Tiberio (Lc 3,1),  46 anni dopo l'inizio della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme (Gv 2, 13-20)... ovvero tra il 27 ed il 29 d.C... e visto che i 4 Vangeli "canonici" concordano sul fatto che la sua vita pubblica durò circa due anni e mezzo... allora la data della sua morte è da collocare tra il 30 ed il 32 d.C.
Ne consegue che la data del 3 aprile dell'anno 33 d.C. è troppo tardiva rispetto alla "finestra temporale" così ottenuta, e pertanto rimane in piedi soltanto un'opzione valida, quella giusta: Gesù Cristo è morto il venerdì 7 aprile dell'anno 30 d.C, durante la vigilia (14 Nisan) della Pasqua ebraica.

Per conseguenza... ora "anche il mondo" dei fedeli cristiani può datare la resurrezione di Gesù, inserendola nel calendario la domenica successiva a quel 7 aprile, vale a dire il 9 aprile dell'anno 30 d.C.

Perché dico “anche il mondo”?
Perché, per quanto mi riguarda, questa non è affatto una novità, dal momento che nella storia della mia vita già da tanto tempo il 9 aprile per me trasuda di resurrezione.
Infatti, il 9 aprile 1963 è nato Swami Roberto, ed è dunque questo il giorno benedetto in cui io celebro il mio compleanno spirituale... la resurrezione della mia Fede che era morta, ed è tornata a vivere.
Sì... il 9 aprile di ogni anno io celebro la Pasqua del mio spirito risvegliato all'amore di Dio, e quindi faccio memoria dell'"irruzione" di Cristo, finalmente risorto nella mia esistenza.
Così, il 9 aprile è la ricorrenza più solenne per la mia interiorità, perché con la nascita del mio Maestro ha avuto inizio anche la storia della mia Chiesa, Anima Universale, grazie alla quale oggi posso pienamente gioire perché il Cristo, anziché restare relegato in una parentesi lontana nella storia, è tornato ad occupare gli spazi quotidiani della mia coscienza, guidandola ad amare il prossimo e la bellezza della vita.

Nelle prossime pagine di questo mio diario ritornerò a parlarvi del 9 aprile, che sta giungendo anche quest'anno a riscaldare il cuore mio e di tutti i cristiani-ramirici.


LENTE DI INGRANDIMENTO
SUL 9 APRILE

Durante la prima parte della mia vita, che scorreva tra gli argini della famiglia e del lavoro, a volte mi capitava... come può capitare a qualsiasi persona di questo mondo... di accorgermi di qualche sporadica coincidenza che faceva capolino nella mia routine quotidiana.
Fin qui nulla di strano... ma nel periodo in cui mi avvicinai a Swami Roberto per saperne un po' di più di quello strano ragazzo di cui mia madre mi decantava le doti eccezionali, questa "normalità" iniziò a cambiare e d'un tratto mi accorsi che la frequenza di apparizione delle coincidenze nella mia vita aumentò sensibilmente.
Constatai che queste inusuali combinazioni di eventi apparivano "puntualmente" in relazione a questioni importanti, “guarda caso” quelle nelle quali era coinvolto Swami Roberto, ed un po' alla volta imparai a non considerarle più delle casualità, bensì a riconoscerle come delle piccole "tracce divine" che mi "segnalavano" il giusto percorso di fiducia e di speranza.
Non appena mi consacrai Ramia, successe poi che il mio personale sentiero esistenziale si intrecciò con quello di un gran numero di persone che assai di frequente, dopo essersi rivolte a Swami per chiederGli aiuto, mi testimoniavano a loro volta la gioiosa sorpresa di fronte all'apparire di qualcuna di queste “divine combinazioni” che accompagnavano la soluzione miracolosa di problemi anche molto gravi.
Così... toccando con mano questo particolare “modo di presentarsi”  dell'Amore Divino, ho finito con l'ampliare il mio vocabolario con un nuovo termine che, in aggiunta alle “coincidenze" propriamente dette, designasse le loro “quasi gemelle” di origine soprannaturale, che da quando ho conosciuto Swami Roberto sono così “invadenti” nella mia vita.
Da ora in avanti chiamerò queste ultime “Coincidenze”... scritto in italico e con la “C” maiuscola... così anche voi potrete capirmi subito quando mi capiterà di parlarvene in questo mio diario.
L'occasione per farlo mi si presenta già adesso, perché in questo modo posso continuare il discorso che riguarda il giorno del compleanno spirituale mio e di tutti i fedeli di Anima Universale: il 9 aprile.

Già vi ho raccontato nel post precedente (9 aprile dell'anno 30 d.C.) il perché questo giorno per me "traspiri" di resurrezione, dal momento che è il giorno benedetto in cui è nato Swami Roberto e, “Coincidenza”, è anche il giorno in cui Gesù Cristo è risorto.
Però... c'è anche dell'altro...

Oltre ad essere la ricorrenza del momento storico attorno al quale ruota l'intero cristianesimo... il 9 aprile del 1963 era anche la data annuale più solenne per il mondo ebraico, ovvero il 15 del mese ebraico di Nisan, primo plenilunio di primavera, inizio delle celebrazioni del Pesach, cioè la Pasqua Mosaica.
Nella porzione di mezzo secolo che va dal 1950 al 2000, c'è soltanto un  giorno che registra in sé questa eccezionale "sovrapposizione" delle "impronte" pasquali di Antico e Nuovo Testamento: il giorno in cui è nato Swami Roberto.

Partendo da questo dato di fatto, sono obbligato ad ampliare il mio personale dizionario di termini soprannaturali con la dicitura “Coincidenza al quadrato”, ma non solo... 
Gli occhi della mia Fede mi permettono di riconoscere in questa straordinaria “doppia Combinazione” un eloquente biglietto da visita con il quale il mio Maestro si è presentato al mondo:
Sì... Swami Roberto è nato nello specialissimo giorno in cui si sono incontrate le "coordinate pasquali" dell'Ebraismo e del Cristianesimo... e ciò mi fa pensare al preannuncio del messaggio spirituale che poi Lui avrebbe dato con la sua vita e con i suoi insegnamenti.
Infatti... è grazie a Lui che il mio spirito ha potuto vivere il Pesach, cioè il passaggio dalla schiavitù della mancanza di risposte... alla libertà della Luce di Dio... ed è sempre grazie a Lui che ho potuto portare in me il significato della Resurrezione di Cristo, imparando a collocare la mia vita interiore al di sopra di ogni pratica esteriore... l'invisibile al di sopra del visibile... l'Amore del prossimo al di sopra delle eventuali differenze dottrinali.

Per oggi mi fermo qui anche perché, proprio mentre vi sto scrivendo questo articolo, avverto nell'aria una fragranza di rosa... che mi proietta verso il 9 aprile ormai imminente.
Il seguito... alla prossima puntata.

LA PRIMAVERA DELLO SPIRITO

Non so quanti tra di voi conoscono la parola  "Nazoreo", scritta nel testo greco del Vangelo di Matteo e tradotta in molte edizioni del Nuovo Testamento come "Nazareno"...
Il termine originale si trova nel versetto (Mt 2, 23) in cui l'evangelista scrive che Giuseppe, di ritorno dall'Egitto, prese il bambino e sua madre e «andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: "Sarà chiamato Nazoreo.
L'imprecisa traduzione "sarà chiamato Nazareno", in realtà maschera il dubbio che ancora oggi divide gli studiosi, ai quali non risulta chiaro da dove tragga origine la parola Nazoreo attribuita da Matteo agli antichi profeti...
Nazaret è infatti una località ignota all'Antico Testamento e nessuna profezia conosciuta ha predetto alcunché relativamente ad un Messia abitante a Nazaret.
Tra le varie ipotesi formulate fino ad oggi, alcuni collegano “Nazoreo” a Nazir, [cioè colui che faceva voto di Nazireato (Gdc 13,5.7)], ed altri a Nēser, il termine ebraico che il profeta Isaia usò in senso messianico e che significa “virgulto” (Is 11,1)... ma i pareri restano discordanti.

L'altro giorno stavo camminando nell'ashram di Leinì e, notando il primo sbocciare di germogli e fiori intorno a me, in modo naturale mi sono ritrovato a pensare al versetto di Isaia “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” (Is 11,1)...
Queste parole hanno alimentato l'immagine di primavera che ha preso corpo nella mia mente, e che mi ha fatto pensare anche alla rigogliosa forza vitale di rigenerazione spirituale che Gesù di Nazaret ha evidentemente incarnato.
In questa prospettiva la parola ebraica "Nazoreo" usata da Matteo mi è parsa in stretta relazione con l'aria rigeneratrice del primo mese primaverile (in ebraico Nisan), cioè il periodo dei germogli nitzan (bocciolo, fioritura) in cui il nēser (virgulto) cresce rigoglioso... e si è creato nei miei pensieri un contesto che mi "parla" molto bene del ruolo del Maestro spirituale: quello di essere un "nuovo inizio"... una "primavera" che risveglia gli spiriti addormentati nell'invernale letargo di una pratica religiosa abitudinaria e vuota di significati.
Non a caso, anche altri profeti (Ger 23, 5 e Zc 3,8; 6,12) oltre ad Isaia usarono il termine germoglio per designare il Messia, una parola ebraica che significa “l'unto, il consacrato” (in greco Christòs)... cioè Colui che è consacrato da Dio a compiere un'opera di profonda rigenerazione spirituale dell'umanità.

"Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse..."
Con le parole profetiche di Isaia che continuavano a "passeggiare" nella mia mente, mi sono seduto su una panca sotto il porticato, ed ho cominciato a pensare al fatto che Iesse era il padre del re Davide, dal cui "tronco" della discendenza scaturì il "germoglio"-Gesù...
D'un tratto, mi sono accorto che ciò che pensavo trovava riscontro in ciò che guardavo, perché ho visto il germoglio-Gesù sbocciato sull'imponente tronco dell'ulivo posto al centro del chiostro...

"...un virgulto germoglierà dalle sue radici"










...poi, guardando alla base, ho visto anche il virgulto, cioè l'arbusto rigoglioso, che spunta dalle radici...
A questo punto, ho esplorato ulteriormente il significato delle parole di Isaia... e la frase "le radici del tronco di Iesse" mi ha rimandato alla radice del popolo ebraico, cioè al suo capostipite: il patriarca Abramo, il cui nome è formato dalle sillabe “Ab" che significa "Padre"... e "ram” che tra l'altro significa "ariete”.
Così... la frase profetica "il virgulto che nasce dalle radici" ha cominciato a parlarmi anche dell' "ariete" che, con la freschezza rigogliosa del virgulto, ha portato una profonda rigenerazione nella mia vita interiore...
Mi riferisco ovviamente a Swami Roberto, nato nel primo plenilunio di primavera del 1963 sotto la costellazione dell'ariete..

Sì... in questo aprile particolarmente piovoso, uno spiraglio di primavera ha soffiato nei miei pensieri un ritratto messianico che ha bucato le pareti del tempo e mi si è mostrato in modo simbolico mentre guardavo il Sacro Ulivo posto al centro del monastero.
Tra pochi giorni si compiranno le mie prime 48 "primavere" anagrafiche, ed io le festeggerò nella consapevolezza che tutte insieme custodirebbero ben pochi "colori" e "profumi" spirituali... se in questa mia incarnazione non avessi incontrato il  Nēser-Virgulto che annuncia la perenne Primavera dello spirito.



L'ARIETE DISCESO DAL CIELO

La Realtà di Dio è ineffabile, ma l'anelito dell'essere umano verso l'Eterno Padre ha prodotto vari tipi di linguaggio che tentano di avvicinarsi il più possibile... a ciò che è inesprimibile.
Uno di questi linguaggi fa uso del Simbolo (dal verbo sym-ballein che significa “mettere insieme”, senza mischiare o confondere)... cioè di uno strumento che agisce come una sorta di porta "pluridimensionale" che mette in relazione coscienza ed inconscio, immanenza e trascendenza, tempo ed Eternità.
In questa prospettiva, ci sono due modi di leggere la realtà: un modo “dia-bolico”  che frammenta l'armonia e l'unità del Tutto (dal greco "dia-ballo", che significa “mettere di traverso”)... ed un modo “sim-bolico” rivolto verso lo "sguardo d'insieme" di Dio, al di là di ogni visione parziale e settaria.

Varcando la porta simbolica, mi sono addentrato in un Testo che rivela nascondendo... e nasconde rivelando: l'Apocalisse di Giovanni.
Ho percorso la rigogliosa foresta di parole ed immagini di cui il testo è ricchissimo, e sono giunto ad incontrare la figura centrale dell'Apocalisse, l'Agnello, che Giovanni presenta come immolato (Ap 5, 6) a ricordare la morte e la passione del Cristo... ma anche ritto in mezzo al trono, a significare il Signore vincitore nella gloria della resurrezione.
Fermando il mio sguardo e lasciando aperto il ponte simbolico, ho visto che questo agnello non è più propriamente un agnello, simbolo di innocenza candida e disarmante: l'ho infatti visto esercitare la sua collera... [“nascondeteci... dall'ira dell'agnello” dicono “i re della terra e i grandi, i comandanti, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo” (Ap 6, 16)]... e poi ho anche visto questo agnello combattere e riportare la vittoria contro le potenze del male (Ap 17,14).
In sostanza, l'ho visto diventare un “agnello adulto”... ed infatti Giovanni scrive che è un agnello con "le corna" (Ap 5, 6)... cioè un ariete!

Non appena ho cominciato a pensare all'agnello diventato ariete, posto sulla montagna di Sion al centro della Gerusalemme Celeste, la città che “non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina” (Ap 21,23)... lo sguardo simbolico mi ha portato a vedere "in fotocopia" la città divina descritta nella Bhagavad Gita (15,6) “Quella che né sole, né luna, né fuoco illumina”, nella quale arde l'"Agni" (che in sanscrito significa "fuoco") trasportato dall'ariete.
Ho osservato l'immagine bi-fronte della Gerusalemme Celeste rischiarata dalla Luce dell'Agnello diventato Ariete... e della divina città (Brahma-pura) rischiarata dall'Agni trasportato dall'Ariete... e questo "ponte" tra Nuovo Testamento e Bhagavad Gita mi ha condotto all'Opera divina del mio Maestro che, entrato nella storia umana sotto il segno celeste dell'Ariete, porta l'Ignis Ardens cristiano ad abbracciare l'Agni vedico che illumina l'oriente.

Questa mia visione simbolica risulterà senz'altro inaccessibile a chi applica lo sguardo del dia-bolos, colui che divide sempre...
Ma io ho scelto lo sguardo divino che unisce, cioè la via del symbolum, ed oggi gli occhi della mia anima universale mi hanno portato ancora una volta a posare lo sguardo sull'Ariete divino che ha fatto risorgere la mia vita spirituale.

Guardo i suoi occhi-arcobaleno e scorgo il ramirico "iride" universale, che contiene in sé tutti i colori ma non li mischia mai nel minestrone del sincretismo religioso...

Ascolto i suoi insegnamenti, e vedo un   cristianesimo capace di tendere le sue braccia anche alle altre vie religiose che, come i differenti raggi di una grande ruota cosmica, sono rivolte verso il Centro costituito dall'unico Dio...

Mi nutro dell'Amore di questo sguardo divino, e capisco cosa significhi rispettare per davvero le altre fedi...
Infatti, grazie a Swami io oggi so dialogare con quei "raggi" religiosi che si avvicinano l'un l'altro convergendo verso l'unico Sole di Dio... ma so anche dissociarmi dalla "confusione" di tutti quei fedeli che, "dimenticandosi" di seguire la linea retta della coerenza, "deragliano" dalla propria via e così, anziché avvicinare... "aggrovigliano" il proprio percorso con quello degli altri, perdendosi in multicolori fantasie religiose.

Per questo... in un pianeta religioso oggi popolato anche da tanti pseudo-profeti dell'“amore universale” che diffondono il "virus letale" dell'incoerenza... io amo sottolineare l'"originalità nell'universalità" della mia Chiesa ramirica, che nel suo abbraccio senza esclusioni, non mescola e non confonde, mostrando al mondo la peculiarità di uno "sguardo" cristiano che io non riconosco in nessun'altra dottrina religiosa.

Ecco perché, tra tutti i “binari” religiosi orientati verso l'Unico Dio, io ho scelto la linea ad “Alta Velocità”, quella tracciata dall'Ariete Swami Roberto...
Questa è la mia "scorciatoia" per giungere alla Luce di Dio, e da quando l'ho trovata, il mio solo intento è di percorrerla al massimo delle mie possibilità, seguendo gli insegnamenti dell'Ariete disceso dal Cielo.
E' Lui che guida il mio sguardo a svelare uno dopo l'altro i "segreti" spirituali dell'"universo" che, come dice l'etimologia della parola [unus ("uno") e versus (participio passato di "vertere", cioè "volgere")]... significa "rivolto verso l'Uno".
Sì... il mio sguardo è diventato finalmente Universale, cioè "rivolto verso l'Uno", da quando ho incontrato Swami Roberto, l'Ariete divino che mi permette di sperimentare "dal vivo" l'Apocalisse (che in greco significa "Rivelazione"), assaporando "in diretta" l'Amore di Dio.
Per oggi mi fermo qui, ma tra non molto tornerò a parlarvi di questo mio incontro con l'Ariete "dell'Apocalisse", cioè "della Rivelazione ramirica", anche perché continuo a trovare differenti "vie maestre" del testo Sacro, dall'Antico al Nuovo Testamento, che convergono "puntualmente" verso di Lui... che è l'Unico Centro della mia vita interiore.



AUTOGRAFO

Se immaginate di inviare al Padre Eterno una e-mail per chiederGli quali sono i requisiti per essere suoi buoni fedeli... e poi immaginate che Lui vi risponda... allora potete "prevedere" anche una delle Sue prioritarie indicazioni: "Accetta di essere mio alleato".
Infatti, l'Alleanza stipulata da Dio con l'umanità è la storia raccontata dalle Sacre Scritture ebraico-cristiane, a partire dalla "firma" soprannaturale dell'arcobaleno che compare in cielo alla fine del diluvio per sancire la Promessa divina che coinvolge "ogni essere vivente", compresi gli animali (Gn 9,9-10).
Leinì, 02.06.13: Il cielo sopra il Tempio...
dopo il darshan di Swami Roberto
Nella successiva "puntata" caratterizzata dalla chiamata di Abramo, Dio aggiorna i contenuti della Sua Promessa introducendo la novità del sacrificio, che da allora diventa il nuovo segno distintivo di un accordo nel quale l'essere umano partecipa attivamente all'Alleanza, mediante la risposta della Fede.
Però, la richiesta dell'Eterno Padre è "scandalosa": Abramo deve sacrificare addirittura Isacco, l'amatissimo figlio, cioè la sua unica possibilità di avere una discendenza... per cui la Volontà divina appare "insensata".
Eppure, il Patriarca ebraico da' una risposta di Fede sofferta e memorabile, portatrice di un messaggio che si riverbera ancora oggi nel presente di ogni credente ed è preludio di un epilogo “da batticuore” nel quale l'angelo del Signore interviene dicendo "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio" (Gen 22, 2-13).
Ci troviamo al centro dell'Antico Testamento, e la Fede di Abramo viene premiata da un intervento divino che suona assai "familiare" ai cristiani-ramirici:
“Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio”.
Così, il momento nevralgico della reintegrazione di Isacco alla vita, che la teologia cristiana assume a simbolo della resurrezione di Cristo... si completa con l'Ariete inviato dal cielo, che diventa a sua volta simbolo dell'intervento provvidenziale di Dio.

Nel prosieguo della storia, è ancora l'ariete ad essere protagonista:
La discendenza di Abramo approda al Sinai... là dove "Un suono fortissimo di corno” di ariete (Es 19, 16) è  la "colonna sonora" che accompagna Mosè a ricevere da Dio la Rivelazione delle Tavole della Legge...
Poi, discendendo dal Monte Sacro il profeta ha sulla fronte dei raggi, espressi dal verbo ebraico “qāran”, derivato da qeren, che oltre a “raggi” significa anche “corno" di ariete (così scrive l'edizione Vulgata della Bibbia: “il suo viso aveva corna”)... e questo è lo specifico significato che ha ispirato numerose opere di arte sacra raffiguranti Mosè con due giovani corna di ariete sulla fronte.

Dopo un bel po' di secoli... con la nascita di Gesù-Cristo nasce la "Nuova Alleanza": il Verbo si fa carne diventando Lui stesso vittima sacrificale, Agnello-divino che si immola quale garante definitivo del Patto di Dio per la salvezza dell'umanità.
Proprio nella "Legge nuova" dell'Amore costituita dal messaggio del Signore Gesù, trovano realizzazione le parole con cui il profeta Geremia aveva preannunciato la Promessa che Iahvè avrebbe rinnovato con il suo popolo (Ger 31,31-34)"Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore".
Infatti, grazie al Verbo fattosi carne la Legge mosaica avrebbe dovuto cessare di essere solamente un codice "esteriore", per diventare un'ispirazione capace di toccare il “cuore” dell'essere umano, stimolandolo a conoscere Dio nell'intimità della sua coscienza.
Avrebbe dovuto... ma invece... ... ...

Io mi sono chiesto: nei duemila anni successivi alla Nuova Alleanza sancita dall'Agnello-Gesù, in che misura il popolo dei cristiani è rimasto fedele a questo rinnovo del Patto di Amore divino?
In altre parole: per i cristiani di oggi, in che misura l'Amore di Dio vissuto in coscienza sostituisce un'applicazione soltanto esteriore della legge?
Beh... di certo non voglio mettermi al posto dei fedeli delle varie chiese cristiane: ognuno si darà la sua risposta.
Per quanto mi riguarda, io smisi di frequentare la parrocchia del paese della mia infanzia proprio perché avevo conosciuto una dottrina cattolica fatta di dogmi e precetti che avevano "pietrificato" le Parole di Gesù, tenendole lontane dal mio cuore.

Penso oggi alla mia Chiesa, Anima Universale, e penso all'ariete disceso dal cielo che ho provvidenzialmente incontrato nella mia vita... nella persona del mio Maestro.
Parafrasando le parole del profeta Geremia, penso poi al fatto che Swami Roberto "ha posto la legge nel mio animo, l'ha scritta nel mio cuore"... perché con la Rivelazione divina dei suoi insegnamenti Lui ha nuovamente vivificato il Comandamento dell'Amore di Cristo.
Senonché... pensando alla Rivelazione del Pensiero spirituale ramirico che Swami ha portato nella mia vita, mi torna in mente l'immagine di Mosè, e precisamente il momento in cui il Profeta ebraico prima sale sul Sinai (un nome che significa “monte della luna”) avvolto dal suono del corno dell'ariete... e poi ne discende con le corna di ariete sulla fronte, per portare la Rivelazione divina al popolo.

Seguendo queste tracce bibliche lasciate dall'ariete... mi ritrovo a pensare al fatto che anche l'ariete-Swami Roberto è salito sul “monte della luna”!
Si tratta della "montagna celeste" che il satellite della terra scalò per raggiungere la sua pienezza nel primo plenilunio di primavera del 1963, il 9 aprile, il giorno in cui il mio Maestro entrò nel tempo dell'umanità.
Proprio da questo "Sinai celeste" costituito dalla luna piena della sua nascita, avvenuta sotto il cielo dell'ariete, Swami discese in mezzo al popolo ramirico con la Rivelazione divina del suo Pensiero spirituale... ed è per questo che io oggi posso guardare a quel giorno benedetto come al "Sinai" dei cristiani ramirici... che riecheggia il Sinai di Mosè nonché il "Sinai" delle Beatitudini evangeliche (Mt.5,1)...
In trasparenza... questo Monte Sacro mi mostra ora il sacrificio dell'agnello-Isacco completarsi con l'Ariete inviato dal Cielo... nonché, in parallelo, l'immolazione salvifica dell'Agnello-Cristo che si attualizza nella mia vita attraverso il Verbo divino incarnato nell'Ariete-Swami Roberto.

Adesso, le "orecchie" della mia Fede risuonano della Voce del mio Maestro, ed in Essa riconosco quel Sacro Suono dell'Alleanza che ieri usciva dal corno dell'Ariete... ed oggi esce dalla sua bocca di Ariete divino, "vivo e vegeto" davanti a me.
Grazie a Lui... la Legge cristica dell'Amore non resta più una lettera morta scolpita nei codici morali di una dottrina religiosa pietrificata, ma si imprime nella mia viva coscienza.
Così, io posso ora "gustare" la mia Chiesa, Anima Universale, come il frutto presente della Nuova Alleanza... sancita dal mistero pasquale del Cristo Gesù ed oggi “rinfrescata” dalla firma di Amore che Swami Roberto ha apposto con la sua incarnazione.

La fede della mia anima universale è l'autografo che io pongo sull'Alleanza oggi rinnovata... affinché non rimanga un Impegno unilaterale di Dio.
Questa è la vita del mio spirito.
Om Aries Dei, Om.


ALLUNAGGIO RAMIRICO

Torino, la città che ha dato i natali a Swami Roberto, oggi festeggia il suo Santo patrono: S.Giovanni Battista.
Ebbene... proprio San Giovanni vi sta guardando dall'opera d'arte che vedete qui a fianco, che per me è la più cara tra quelle realizzate dal Caravaggio, in quanto sento molto vicina l'ispirazione che ha portato il celebre e geniale pittore a rappresentare San Giovanni mentre abbraccia l'Ariete, simbolo di Cristo.
Accompagnati dallo sguardo del precursore del Messia, io vi porto a conoscere un po' meglio una "figura" che, insieme a quella dell'ariete, ha avuto un ruolo da protagonista negli "autoscatti sulla mia fede" di questa mia nuova rubrica.
Mi riferisco alla luna piena, che sotto il cielo dell'ariete è presente non solo alla nascita di Swami Roberto, ma anche nei momenti cruciali dell'Ebraismo (liberazione dalla schiavitù d'Egitto) e del Cristianesimo (resurrezione di Gesù)... ed è quindi "figura" trasversale della Pasqua.
Qual è il significato della presenza tanto assidua di questo plenilunio nella storia Giudeo-cristiana del pianeta, tenendo anche conto della Rivelazione divina avvenuta sul "Sinai", un nome che significa "monte della luna"?La risposta più semplice si può ricercare nelle caratteristiche lunari che già sono note, a partire dal fatto che la luna è lo strumento di misura universale del tempo, e dunque rappresenta la periodicità...
Oppure, si può anche pensare alla sua dinamica di crescita e decrescita che, culminando in una scomparsa che non è mai definitiva, ne fa un simbolo universale di nascita e rinascita, di rinnovamento, di trasformazione... ecc. ecc. ecc.

Al di là di tutto ciò che già è conosciuto, un giorno il mio personale itinerario di fede mi ha però portato verso una faccia lunare inesplorata nella quale oggi conduco anche a voi.
Questo mio odierno “giro sulla luna” inizia dal termine ebraico Yareah, che significa appunto “luna” ed è all'origine del nome Gerico (in ebraico Yĕriḥō)... la “Città della Luna” situata non lontano dal punto in cui il Giordano sfocia nel Mar Morto.
Gerico è considerata dagli studiosi la città più antica del mondo e, come sapete, è nota per essere “protagonista” di una delle parabole più celebri del Vangelo.
Alla domanda del dottore della legge che gli chiede: “chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29), Gesù risponde con l'esempio del buon samaritano: sulla via di Gerico, che dall'altura di Gerusalemme scende verso l'avvallamento del Mar Morto... di fronte ad un viandante che era stato derubato e ridotto in fin di vita dai briganti... il sacerdote ed il levita "tirano dritto” mentre il buon samaritano si ferma e presta soccorso.
Proprio lui, che i primi due considerano un eretico, dimostra cosa significhi mettere in pratica la Carità, e così ne diventa l'esempio che passa alla storia religiosa dell'umanità.

Questa via evangelica dell'antica città di Gerico non poteva che dare un insegnamento a sua volta antico, cristianamente “primordiale”, che precorre qualsiasi altro precetto o principio: la Carità viene prima della dottrina, e spesso per praticarla bisogna “scendere da Gerusalemme”, cioè bisogna scendere dal piedistallo del culto per poter essere il prossimo di chi soffre.
Inoltre... il quesito posto dal dottore della legge: “chi è il prossimo?”... trova soluzione non nella ricerca di “un” prossimo da amare... bensì nella capacità di farsi prossimo, cioè di aprire il proprio cuore alla Carità verso chiunque abbia bisogno.
Così, la strada di Gerico diventa la strada della Carità a-confessionale, quella che è alla radice di ogni essere umano... quella che non conosce barriere e quindi va anche al di là del culto professato, per soccorrere qualsiasi essere umano che si trovi nel buio della sofferenza.

E cosa c'entra in tutto ciò la luna ? Qual è il suo ruolo?
Pensando alla “primordialità”, io penso che da quando mondo è mondo la luna riflette la luce del sole illuminando la notte... ed in fondo... per essere caritatevoli bisogna essere un po' come la luna, imparando a riflettere la Luce di Dio a beneficio di quanti vivono nell'oscurità del dolore.
E poi... la "Città della Luna" mi “parla” anche della prima fortezza conquistata dal popolo ebraico per poter entrare nella Terra Promessa: espugnare Gerico è un'impresa ardua ma, racconta la Bibbia, “Quando si suonerà il corno dell'ariete (...) allora le mura della città crolleranno e il popolo entrerà” (Giosuè, 6,5)
Ci risiamo!... la Città della Luna è conquistata grazie alla voce sacra dell'ariete... e così, in una sorta di “rimbalzo” spazio-temporale, mi ritrovo di nuovo al punto di partenza, abbracciato dalla luna e dall'ariete.

Però... dopo aver condiviso con voi questo mio personale “allunaggio”, ora posso "zoommare" ancor di più sul 9 aprile 1963, giorno della nascita di Swami Roberto, per focalizzare un ulteriore straordinario messaggio:
quella specialissima luna piena del cielo dell'ariete, il “Sinai celeste” del popolo ramirico, ha mostrato in anticipo la pienezza della Carità che il mio Maestro è venuto ad annunciare al mondo attraverso Anima Universale, la Chiesa cristiana che incarna la religione dell'Amore senza barriere, perché è una Chiesa capace di percorrere la via di Gerico soccorrendo qualsiasi essere umano sofferente si trovi sulla sua strada, senza chiedergli prima quale sia la sua appartenenza religiosa.

Guardatevi un po' intorno, e chiedetevi quante Chiese oggi riescono ad immettersi in questo viaggio, che richiede di saper scendere dalla “Gerusalemme” del proprio culto, per aiutare il prossimo liberi da qualsiasi secondo fine "religioso"...
Io ho guardato... e fuori dalla mia Anima Universale ho visto tante strade religiose (GRAZIE A DIO NON TUTTE !) vincolate ad un culto letteralmente "idolatrato", lungo le quali il soccorso ai "viandanti" percossi dalla malattia e dalla fame viene prestato al fine di convertire...
Altre volte, ho visto "fedeli cristiani" che non si fanno problemi a "tirare dritto" di fronte ai sofferenti che hanno il "torto" di professare una fede "sbagliata" perché diversa dalla loro.

Comunque... la via di Gerico è assai poco frequentata anche per un altro motivo: i passi del Buon Samaritano scendono verso la valle del mar Morto, noto per essere il punto più profondo della superficie terrestre, le cui acque sono così piene di sale che nessun pesce vi può vivere... ed infatti la strada di Gerico è la via di quella forma di umiltà che tra tutte è la più "bassa", e quindi spiritualmente la più elevata: quella che porta a "morire a se stessi" affinché tutto il proprio essere "evapori" verso Dio, in una condizione spirituale nella quale le "acque dei propri pensieri" sono pienamente "salate" di discernimento.
Proprio questo "sale" conferisce alla Carità la pienezza della sua dimensione tridimensionale che, come vi ho già raccontato in un apposito articolo ("Tridimensionalità"), è "comparsa" nel mio orizzonte spirituale come un'alba nuova portata dalle Parole divine di Swami Roberto.
E' stato grazie all'ascolto del Suono Sacro del "Corno d'ariete" ramirico che io ho visto crollare le mura della mia personale "Gerico".
Ciò è accaduto perché il mio Maestro mi ha parlato non "soltanto" della carità materiale, che è accessibile ai cuori generosi... o della carità intellettuale, appannaggio delle menti aperte che cercano il dialogo con la "diversità"...
Ancor di più, Swami Roberto mi ha fatto conoscere la Carità spirituale, quella che è accessibile unicamente ai "privilegiati" che sanno riconoscere il loro Sè divino, e poi sanno esprimerLo compiutamente.

Ora... mi viene in mente il celebre e meraviglioso inno nel quale San Paolo proclama che tutti i beni e le virtù del mondo a nulla gioverebbero, senza la Carità.
San Paolo l'ha detto... Swami Roberto, oltre a dirlo, ha anche fondato una Chiesa cristiana che insegna come metterlo in pratica.
Per questo si può proprio dire che Anima Universale "viene dalla luna": perché il mondo in cui viviamo è allergico alla Carità insegnata da Cristo, e non a caso anche oggi chi la mette pienamente in pratica rischia di passare per eretico... come era considerato eretico il samaritano sulla via di Gerico.
Sapete che vi dico? Ieri come oggi  per essere veramente discepoli di Cristo bisogna "fregarsene" del giudizio altrui... bisogna  praticare la Carità senza badare al disprezzo religioso distribuito a piene mani dagli interpreti "ufficiali" del culto... bisogna fare quello che gli odierni "dottori della legge" non si "abbassano" a fare.

Questo è il "programma" spirituale del fedele cristiano ramirico, ovvero di colui che grazie alla voce dell'Ariete divino vede crollare i muri che limitano la Carità, e così ha la possibilità e la responsabilità di conquistare la "città della luna"...
Sì, questo è l'"allunaggio" compiuto da quanti accolgono nell'intimo della loro coscienza gli insegnamenti dell'Ariete Swami Roberto, e li fanno diventare il "sale" del loro mare interiore.
Ecco... grazie al Suono Sacro del corno dell'Ariete anche voi potete adesso poggiare i vostri piedi sul pianeta della Carità divina, e la luna è piena...mente conquistata!

Om Kriòs tou Theou, Om



IMPRONTE SULLA SINDONE

Come potete facilmente immaginare, nella mia quotidianità mi trovo molto spesso a parlare del mio Maestro spirituale.
Questo accade non soltanto perché i suoi insegnamenti sono al centro delle differenti attività sacerdotali che svolgo nel corso delle mie giornate, ma anche perché a volte mi capita di incontrare delle persone che mi chiedono espressamente di Lui...
e qui il discorso si fa più complicato, perché parlare di Swami Roberto significa lambire il confine tra ciò che è descrivibile... e ciò che non lo è affatto.
Questo confine ha iniziato ad entrare nel mio raggio di azione già parecchi anni fa, nel periodo in cui ancora non conoscevo personalmente Swami, che avevo incontrato fugacemente in un'unica occasione.
Quello che sentivo raccontare di Lui, soprattutto in relazione alla guarigione di alcuni ammalati che io ben conoscevo, contribuiva ad alimentare un alone di mistero intorno alla sua figura di ragazzo solo apparentemente “normale”.
Mi rendevo infatti conto che non poteva appartenere alla normalità la vita quotidiana di quel giovane, che si era dimostrato capace di interventi spirituali che risolvevano situazioni familiari prima drammatiche... e mi chiedevo in quale modo trascorresse le sue giornate.
Di certo non poteva essere quella sorta di super-eroe costantemente "smarcato" dalle leggi di natura, che qualche fantasiosa voce di paese tendeva a dipingere...

Però, non poteva neanche essere una persona come tutte le altre, perché il suo sguardo, la sua voce, quello che diceva... e ciò che succedeva quando veniva chiamato in causa... mi impedivano di immaginarlo mentre conduceva l'abituale vita dei ragazzi della sua età.
Quando divenni Ramia e cominciai a vivere nel monastero di Leinì, le ipotesi lasciarono spazio all'esperienza diretta, e Swami entrò nella mia vita non solo con l'interezza della sua dimensione spirituale, ma anche con la pienezza di un'umanità che peraltro Lui vive in modo così vero... da essere anch'essa assolutamente fuori dal normale, sfuggente dai canoni usuali con i quali si può tentare di descriverla.

Però, per cominciare ad entrare almeno un po' in questo argomento, un primo "indizio" è costituito da una parola che io trovo si presti meglio di ogni altra al difficile scopo di far intuire alcune fondamentali caratteristiche del Maestro divino: si tratta del termine aramaico, "Talya'"... che l'evangelista Giovanni non a caso usò per raccontare il momento in cui Giovanni Battista vide Gesù venire verso di lui e disse: “Ecco l'agnello (Talya') di Dio.” (Gv. 1,29)... 
La particolarità del suono aramaico “Talya'” sta nel fatto che significa non soltanto "Agnello", ma anche "Servo"... e proprio la combinazione di questi due significati è una chiara allusione ai "connotati" del Servo Divino già preannunciata dal profeta Geremia che, parlando di sé stesso, diceva che il Servo di Dio è simile “ad un agnello mansueto che viene portato al macello” (Ger 11,19).

Nel corso degli anni, le vicende della mia vita hanno dato un'imprevedibile e concreta consistenza a queste  "coordinate", agnello-servo, che oggi posso applicare... non soltanto per fede ma anche per esperienza personalmente vissuta... al provvidenziale “piano operativo” con cui Dio va incontro agli esseri umani.

Avvolto da questi miei pensieri, guardo la copia di un manoscritto che rispolvera un ricordo parcheggiato nella mia memoria.
Mi riferisco alle toccanti parole che il notaio Carlo Vicario di Torino scrisse nel lontano 1984, qualche mese dopo aver fatto nascere l'associazione “Cristo nell'uomo”, embrione della Chiesa Anima Universale.
In riferimento a tutta una serie di attacchi mediatici che il giovane Roberto, allora poco più che ventenne, stava continuando a subire in relazione alla sua missione spirituale, il notaio Vicario così lasciò parlare il suo cuore, ferito da tanta ingiustificata cattiveria:
«Roberto è esattamente la Sindone di ciò che ognuno di noi gli ha fatto, di ciò che ogni nostra azione ha inciso su quella trasparente pagina di Cielo che vive, macchiata di noi, nella sua serena e intangibile realtà spirituale...
Sono passati gli amici della buona stagione, i nemici della cattiva stagione, i curiosi, i maldicenti, i falsari, i persecutori, la forza pubblica, gli abbandoni, i tormenti, le tentazioni: tutto è trascorso senza macchiarlo... e la sua spiritualità operante è rimasta limpida ed intatta.
Lasciamo allora fare alla Provvidenza e preghiamo e speriamo che, se il Signore dovesse toglierci da Torino o dal mondo un ragazzo di Cielo mandato a predicare il suo Verbo, il suo castigo per noi non sia tremendo».
Pochi mesi dopo che il monastero di Anima Universale a Leinì divenne la mia residenza, scoprii questo scritto rovistando tra i documenti conservati in biblioteca, senza peraltro poter comprendere appieno delle parole che si riferivano a fatti che conoscevo parzialmente, soltanto per sentito dire.
Infatti, prima di diventare Ramia sapevo che Swami era stato lungamente e fantasiosamente calunniato... ma non potevo immaginare che questo accanimento sarebbe poi continuato senza sosta... ora nella forma della "crocifissione" del macello mediatico... ora attraverso la censura “asfissiante” in cui lo stesso ha saputo trasformarsi per nuocere meglio e di più.
Negli anni, ho ormai potuto toccare con mano la precisione "scientifica" con la quale alcuni "poteri forti" cercano di far inghiottire dalle sabbie mobili dell'oscuramento l'Opera divina di Anima Universale, che peraltro ha continuato miracolosamente a crescere, nonostante tutto... e nonostante tutti.
Come ciò sia possibile, la mia ragione non lo sa... ma i piani di Dio vanno evidentemente ben al di là di quanto io posso capire, ed anche soltanto immaginare.
Proprio qui, dove si ferma ciò che mi è possibile comprendere razionalmente, inizia lo sguardo che soltanto la mia Fede mi permette di gettare verso Orizzonti trascendenti, dai quali l'Incarnazione divina del mio Maestro è entrata nella mia vita...
A partire dal giorno in cui questo "ingresso" è avvenuto, ringrazio Dio per la possibilità che mi è stata concessa, di poter vedere da vicino la pienezza di umanità con la quale Swami assume su di Sè le doglie di una sofferenza gratuitamente donata che poi, in modo per me inaccessibile, Lui trasforma nella gioia che solleva gli animi, e nella miracolosa Forza d'Amore divino... che può l'impossibile.

P.S. - Subito dopo aver scritto questo "autoscatto sulla mia fede", mi ritrovo ancora a pensare alle "sabbie mobili" della censura con la quale il mondo vorrebbe inghiottire l'Opera divina di Swami Roberto... e le vedo ingrossate anche, ahimè, da quelle persone che scelgono l'incoerenza o il silenzio per evitare problemi, eludendo la responsabilità di una sincera e corretta testimonianza della Chiesa di cui dicono di far parte.
Peggio per loro, perché chi non è fedele a Dio... dimostra di essere un autolesionista spirituale.
Al di là di ciò, il mio cuore sta con i ramirici che sanno "gridare" al mondo la loro Anima Universale, per annunciare che l'Amore di Dio è Realtà concreta nella loro vita.

Care anime universali... auguriamoci di non essere i "chiodi", bensì le impronte di resurrezione sulla Sindone che il Maestro diventa per ciascuno di noi... nella consapevolezza che la testimonianza di ciò che abbiamo visto e ricevuto, è un nostro privilegio e anche una nostra responsabilità spirituale.



STAR GATE

 “Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo” recita il Libro Qoèlet (3,1), proclamando la signoria di Dio sulla dimensione del tempo.
Più ancora dello spazio... sul quale l'essere umano può intervenire "riducendo" le distanze grazie alle scoperte scientifiche... il tempo sfugge ad ogni umana contraffazione, e perennemente si svolge secondo l'inalterabile trama divina.
Guardando alla concezione spirituale che trae il suo fondamento dalla Rivelazione biblica, si può così osservare come essa implichi il rispetto dei rapporti temporali che Dio ha posto alla base del cosmo, ai quali il fedele è tenuto ad adeguarsi.
Uno di questi rapporti emerge chiaramente nella Genesi, dove l'azione di Dio è simbolicamente divisa in cicli nei quali predomina il numero sette, a partire dal riposo divino del settimo giorno, da cui discende il riposo settimanale cui è tenuto il fedele ebreo nel giorno di Sabato, con tutti i relativi adempimenti cultuali.
Anche il cristianesimo conserva  il ciclo settenario biblico, con la traslazione del giorno sacro dal Sabato alla Domenica, a santificare il giorno della resurrezione di Gesù... e la stessa Pentecoste cristiana si "sovrappone" alla tradizione della Pentecoste ebraica, come ricorrenza della manifestazione dello Spirito Santo avvenuta il 50° giorno successivo alla Pasqua (cioè dopo “sette settimane di giorni”).
Proseguendo questa osservazione sul tempo biblico, si incontra l'anno “sabbatico”, ovvero l'anno santo conclusivo di un ciclo settennale...
e poi, andando ancora oltre, si giunge infine ad un anno assolutamente speciale, quello del Giubileo, che il Levitico (25,8) fa cadere l'anno seguente a “sette settimane di anni”, ovvero il 50° anno.
La parola “Giubileo” deriva dal termine ebraico “Jobel”, che significa “Ariete”, e designa l'anno di Grazia proclamato con il suono dello “shofar”, lo strumento ricavato dal corno di quest'animale sacro.
Per la Bibbia il Giubileo è un anno assolutamente eccezionale per il fatto che in esso il tempo raggiunge una pienezza, e ciò implica la necessità che il credente vi si adegui riportando ogni cosa alla sua origine: l'equità deve essere ripristinata... ciascuno deve ritornare alla sua terra... ogni debito è condonato... gli schiavi sono liberati.

Un mattino della scorsa primavera, nei giorni che precedevano il 50° compleanno di Swami Roberto, pensavo al fatto che insieme a Lui stava approssimandosi al 50° anno di età anche la Chiesa Anima Universale, nata anch'essa il giorno dell'incarnazione del Maestro...
Leggendo il passo del Levitico che parla del Giubileo (25, 8-9) ne ho seguito le indicazioni e, partendo dal giorno della "Genesi" del cristianesimo ramirico avvenuta il 9 aprile 1963, ho contato "sette settimane di anni” che fanno “un periodo di quarantanove anni”...
Sono così giunto al lunedì 9 aprile del 2012, che è appunto la data "spartiacque" tra la fine del 49° e l'inizio del 50° anno.

Con uno sguardo retrospettivo, ho guardato a cosa è successo nel corso del 49° anno... sabbatico in quanto conclusivo della settima "settimana" di anni della storia di Anima Universale... ed ho visto che proprio in questi 12 mesi ha avuto inizio la costruzione del nostro Tempio con la realizzazione di tutte le opere di fondazione in cemento armato...


Poi... osservando l'inizio del 50° anno avvenuto il 9 aprile 2012, ho visto che esattamente in quei giorni sono giunte in cantiere le arcate in legno lamellare che hanno permesso di cominciare ad erigere la Cupola e le altre coperture, che poi sono state completate nell'arco dei successivi dodici mesi.

Sì... nel tempo di Dio era scritto che il Tempio di tutti noi ramirici vedesse la luce nel momento che, nella prospettiva temporale biblica, è quello "più Santo" della storia della nostra Chiesa: il Biennio Sacro che capita soltanto una volta ogni mezzo secolo, costituito dall'Anno sabbatico seguito dall'Anno giubilare.

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Oggi, contemplando ciò che è avvenuto in questa cornice temporale ammantata di santità... io elevo al cielo grida di giubilo, e di gratitudine infinita.
Sì, la mia anima esulta pensando che il Cuore Sacro di Anima Universale batte nel Tempio che ha visto la luce in questa precisa parentesi biennale... portando in sé la straordinaria "firma" di Benedizione divina che proprio l'inalterabilità del tempo di Dio attesta in modo inequivocabile, al di sopra di ogni teologia o teoria umana!
Lode e gloria all'Eterno, nei secoli dei secoli. Alleluia, Alleluia, Alleluia!

Però, non è ancora tutta qui la ragione che oggi porta la mia anima ad esultare con canti di gioia...
Pensando al Giubileo, tutto il mio essere è trascinato verso un punto ben preciso del Nuovo Testamento, ed esattamente verso la pagina lucana che racconta il ritorno di Gesù nella sua "casa" terrena, il villaggio di Nazareth.
E' un sabato, ed il Signore Yeshua entra nella sinagoga... apre il rotolo del profeta Isaia e legge queste parole: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore"(Lc 4,16-30). Poi, dopo che un silenzio di attesa si impadronisce della Sinagoga, Gesù continua dicendo: "oggi si è compiuta questa Scrittura".
Ebbene... con queste precise parole, il Verbo incarnato fa riferimento al Giubileo (l'anno di grazia)... non per decretarne l'inizio temporale... ma per dire molto di più!
Gesù annuncia al mondo che a partire da quel momento sarà Lui stesso ad incarnare il Giubileo, cioè il tempo di Grazia dello Jobel-ariete.

Oggi, nella mia casa spirituale terrena dove il Tempio dello Jobel ramirico è sorto, io penso alle parole profetiche di Isaia che si sono ulteriormente compiute nel presente della mia vita...
Così, la mia anima esulta all'idea che, d'ora in avanti, il Verbo dell'Ariete divino dei cristiani ramirici potrà impersonare per ognuno di loro il tempo di Grazia... risuonando all'interno della Cupola di Anima Universale, nel Tempio che è impregnato della benedizione del tempo biblico del Giubileo.
Il mio cuore... danza senza sosta al Signore pensando a tutti coloro che, varcando la soglia di questo Luogo Sacro, potranno portare nel loro animo la grazia giubilare della liberazione dalla schiavitù opprimente dell'ignoranza spirituale, e così potranno riacquistare la loro vista interiore.

Adesso... posso finalmente alzare i miei occhi verso la vetrata della cupola che mi sovrasta, ed immaginarmela come una porta aperta verso la volta celeste.
Guardo bene quella "porta", e penso ad una Croce di resurrezione con quattro braccia:
Le prime due è come se fossero le braccia della Madonna, la Janua Cœli che nel tempo inalterabile di Dio ha "firmato" e "controfirmato" il Luogo Sacro e Santo di tutti i ramirici... perché il Permesso di Costruire il Tempio è stato "timbrato" e rilasciato dall'Autorità Comunale di Leinì il giorno 11.02.2011 (ricorrenza dell'apparizione dell'Immacolata Concezione a Lourdes)... e anche perché l'apertura al culto è avvenuta il 15 agosto, giorno a Lei consacrato.


Poi, guardando le altre due braccia di questa ramirica Croce di Resurrezione, non posso fare a meno di riconoscerle come quelle di Colui che il 9 aprile 1963 è sceso in mezzo a noi per tenere aperto lo "star gate" di Anima Universale... la porta spalancata verso "le stelle"... attraverso la quale passeranno tutti coloro che, mettendo a frutto i Suoi insegnamenti, sapranno tornare alla patria primigenia... quella eterna... e così potranno realizzare il supremo "tempo" di grazia del loro spirito.


Alleluia.
Lodate il Signore, popoli tutti,
voi tutte, nazioni, dateGli gloria;
perché forte è il Suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura in eterno.
                                                                        (Salmo 117)

AMEN ALLELUIA, ALLELUIA, ALLELUIA!



OTTO SACRO

Ancora mi sto cullando sulle ali della commozione e della gioia che hanno inciso il giorno dell'apertura del Tempio tra le pagine più belle ed indimenticabili della mia vita, ed oggi mi ritrovo a pensare al momento in cui, tanti anni fa, tutto è iniziato...
Da poco tempo noi Ramia eravamo riusciti a far  installare nel monastero di Leinì il Palatenda nel quale Swami Roberto avrebbe poi donato i suoi darshan per ben 14 anni, ma già eravamo obbligati a guardare avanti... pensando al nuovo Tempio da costruire.
Infatti quella grande tenda, "sudata" non poco attraverso un percorso amministrativo complicato dalle innumerevoli tortuosità della burocrazia, era in realtà una struttura temporanea che la legge ci imponeva di sostituire con un edificio non amovibile.
La prospettiva di costruire il Tempio di Anima Universale si presentava a tutti noi Ramia come un'impresa economicamente e progettualmente ciclopica, piena di ostacoli alti come... le montagne himalayane.
Un giorno, che ricordo come fosse adesso, entrando nella sala delle riunioni del monastero notai sul tavolo un grande foglio, sul quale vidi per la prima volta i tratti sommari che delineavano la sagoma del nuovo Tempio, che ovviamente fu progettato seguendo scrupolosamente le indicazioni di Swami.
Osservai il grande cerchio dell'aula liturgica sormontato dal cerchio più piccolo dell'altare, e vidi che formava un grande 8 appoggiato su una “base” costituita dalla zona dell'ingresso.
A partire da quel giorno... quell' 8, che campeggiava nel cuore del nostro Ashram di Leinì, divenne un grande protagonista delle giornate di noi Ramia... ed il viaggio che iniziammo in sua compagnia fu "avventuroso" e sofferto, contrassegnato da una lunga ed in gran parte “inenarrabile” serie di peripezie.
Insieme ad alcuni altri miei confratelli, io formai il gruppo "operativo" che si occupò di seguire passo passo quel percorso tortuoso, lungo il quale l'iniziale disegno fece tappa negli studi professionali di architettura e di ingegneria, negli uffici comunali, nelle sedi delle varie ditte scelte per le opere di carpenteria, per la struttura in legno lamellare, per la realizzazione delle coperture... ed in numerosi altri luoghi dove, di volta in volta, venivano aggiunti i vari dettagli realizzativi.

Tutti insieme, potemmo così assistere in presa diretta alla nascita e allo svezzamento di quel neonato 8, e lo vedemmo via via svilupparsi, irrobustirsi, e poi anche assumere i suoi connotati “adulti”, fino a diventare il Tempio che adesso si staglia nella skyline di Leinì.

Pensate un po': oggi 1° settembre 2013, esattamente 8 anni dopo quello storico 1° settembre 2005 in cui iniziarono i lavori di costruzione delle nuove strutture di culto del monastero di Leinì, mi trovo qui a raccontarvi la storia di questo Sacro "8 ramirico"... che è appena diventato "maggiorenne" e si è così inserito pienamente nella società, iniziando la sua vita pubblica.
Non a caso, nel perfetto Piano di Dio sono stati proprio 8 gli anni necessari perché tutte le strutture che oggi formano l'Ashram di Anima Universale a Leinì venissero interamente "partorite", rendendosi visibili agli occhi del mondo...

Trovandomi a riflettere sul significato della presenza di questo numero a scandire i battiti del Cuore liturgico dei cristiani ramirici, ancora una volta sono tornato a pensare alle pagine bibliche della Genesi, nelle quali l'ottavo giorno giunge dopo i sei giorni della creazione... e dopo il sabato.
Da questo punto di osservazione, poiché il numero 7 rappresenta il riposo sabbatico del 7° giorno ed è quindi il cuore della Torah... il numero 8 segna l'inizio del Nuovo Testamento, ed è dunque simbolo del messaggio cristiano.
Infatti... nel cristianesimo il battistero, cioè la costruzione sacra che contiene la fonte battesimale, ha tradizionalmente una forma ottagonale, che trae origine dal significato di trasfigurazione del numero 8... la cifra che rappresenta la morte dell'uomo vecchio che rinasce a vita nuova.
E' questo il significato custodito nel cuore della Nuova Alleanza sancita da Gesù, nella quale il numero 8 diventa così la specifica rappresentazione dell'essere umano che, trasfigurato dalla Grazia di Cristo, può andare verso il 9, che è il numero della Resurrezione e... per i cristiani ramirici... il numero della nascita di Swami Roberto.
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Oggi, pensando alla "creatura divina" del Tempio di Anima Universale, sono "riscaldato" dalla Luce che traspare da questo scrigno di significati e poi, grazie anche ad una foto che mi permette di alzarmi un po' verso il cielo, riesco a gettare uno sguardo dall'alto... e così posso soffermarmi a contemplare ancora meglio l' "8 Sacro" di Anima Universale, lo straordinario Battistero dei Cristiani ramirici aperto sul mondo.




TELESCOPIO SU ANIMA UNIVERSALE

Chi conosce la Chiesa Anima Universale sa che il sacerdozio di coscienza di noi, monaci Ramia, è dedicato alla Madre Divina... ed è proprio Lei che oggi attira a Sé in modo particolare i miei pensieri, convogliandoli ancora una volta verso la Sua Casa: il Tempio dei cristiani ramirici.
La mia visita odierna all' 8 sacro di Anima Universale parte molto da lontano, e precisamente da una parola che lo Spirito Santo ha ispirato all'evangelista Luca quasi 2000 anni fa, con un significato che però è rimasto nascosto alla lettura comune a causa di una traduzione approssimativa del testo originale greco.
Oggi ve ne parlo perché, tra tutte le espressioni riferite alla Madonna contenute nel Nuovo Testamento, il termine a cui mi riferisco... "symbàllusa"... è quello che fa giungere un'eco più forte alla mia anima, dalla quale questo attributo mariano rimbalza in “cieli” ignorati dalla teologia cristiana tradizionale.
L'autore sacro utilizza il vocabolo symbàllusa in un contesto ben preciso: a Betlemme, davanti alla mangiatoia in cui giace il Divino Infante, dopo che i pastori hanno riferito le parole ascoltate dall'angelo, tra le quali “oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore”(Lc 2,11)... l'atteggiamento della Madre di Gesù viene così descritto: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole (symbàllusa) nel suo cuore”...
Usando il termine symbàllusa, Luca attribuisce a Maria la specialissima facoltà della lettura simbolica dell'evento evangelico (Dal greco "syn-ballo", che significa “mettere insieme"  alla maniera di Dio che "vede" la totalità e l'unità della realtà, e trova opposizione nel "dia-bolos", colui che si mette di traverso per dividere e contrastare il Piano divino in favore dell'umanità).
Purtroppo, l'imprecisa traduzione "meditandole" sottrae ai lettori del Testo Sacro questa fondamentale indicazione evangelica sullo sguardo simbolico della Madre di Gesù, ovvero sulla visione d'insieme con la quale Myriam sa leggere il mistero soprannaturale che si realizza in Lei e attorno a Lei... assumendo in Sé un "riflesso" cosmico che va ben al di là dei contorni meramente storico-umani della sua figura.

In ogni caso, nonostante questa lacuna presente nelle differenti traduzioni dei testi evangelici normalmente a disposizione del grande pubblico, il significato della parola symbàllusa non suona come una novità per i cristiani ramirici, perché il 9 aprile 1963 "Qualcuno" è nato per soffiare forte e chiaro il Verbo di Dio, e dunque anche per far conoscere la "dimensione" cosmica con la quale la Madonna si fa Ancella del Signore.

Infatti, la Chiesa Anima Universale non solo è a Lei dedicata, ma già nel nome porta un chiaro riferimento al ruolo soprannaturale della Madre di Cristo, che abbraccia la totalità della Realtà oltrepassando i limiti di uno spazio e di un tempo particolari, ed inserendosi nel "respiro" eterno del Piano di Dio.
Nel corso della mia vita sacerdotale, uno tra i concetti spirituali più meravigliosamente sorprendenti che ho potuto portare sul piano della mia consapevolezza, riguarda proprio la figura della Madonna, che la Fonte di Rivelazione costituita dagli insegnamenti di Swami Roberto mi ha fatto vedere sotto una Luce assolutamente nuova.
Grazie a questi insegnamenti, io oggi posso pensare con naturalezza a Maria symbàllusa... cioè a Maria "che mette insieme"... non solo attribuendoLe, come ha fatto Luca, la comprensione simbolica di Sé stessa inserita nel piano di Salvezza di Dio... ma anche riconoscendoLa quale Realtà concreta di "Anima che magnifica il Signore" nell'ovunque di questa dimensione.
Infatti, quando io penso alla Madonna La "vedo" attuare il Suo ruolo di "trait-d'union" a tutti i livelli: sia nel microcosmo di ogni essere vivente per il quale Lei funge da anima-intermediario che "mette insieme" due "interlocutori" altrimenti non associabili quali il corpo e lo spirito... sia nel macrocosmo dove Lei è l'Anima dell'Universo che "mette in comunicazione" tempi e spazi infiniti con l'Eternità di Dio.
Questo è il senso del Suo essere Ianua Cœli... Porta tra la terra ed il "Regno dei Cieli"... nonché Maternità di Dio che perennemente "partorisce" Cristo in ogni essere vivente, fino ai confini del tempo e dello spazio.
Proprio questa è la cosmica frontiera dove inizia ciò che soltanto la visione symballusa permette di intuire... e così, se voglio individuare ulteriori "tracce"  dell'Anima Universale, non mi resta che far ricorso al mio personalissimo Telescopio simbolico, che il pensiero spirituale della mia Chiesa mi ha permesso di avere in dotazione:

Punto allora l'obiettivo verso il Tempio, e comincio osservando nuovamente l'8 Sacro che... come vi ho già detto nel mio "Otto sacro"... mostra al mondo il Battistero dei fedeli di Anima Universale incamminati verso la resurrezione del loro spirito, rappresentata dal numero 9... che è anche il numero della nascita di Swami Roberto.


Non appena procedo con una prima regolazione del telescopio, vedo che il Sacro 8 si arricchisce del ben noto simbolo dell'infinito, con i suoi significati già ampiamente definiti dalla matematica.
Però, ovviamente non posso fermarmi qui, perché il pensiero logico-matematico elaborato dall'umanità nel corso dei secoli è prigioniero tra le "pareti" infinite del tempo e dello spazio, e non riesce ad andare oltre.
Verso l'Oltre, mi proietta invece la visione symbàllusa del mio telescopio, che mi fa vedere il simbolo dell'infinito non come un porto bensì come una porta... non come la meta bensì come il ponte rivolto verso la dimensione trascendente di Dio.


Non appena comincio a “zummare” un po', l'8 dell'infinito è "assorbito" dall'8 inscritto nel perimetro del Tempio, che difatti contiene simbolicamente l'intero universo :
Sopra il Sacro 8 ramirico (che rappresenta l'uomo vecchio che si trasfigura, con la Grazia di Cristo, nell'uomo nuovo), compare adesso il 9 della resurrezione, che salendo verso il Cielo di Dio traccia la strada di elevazione che i cristiani ramirici possono percorrere per fare ritorno alla Patria Eterna del loro spirito.





Osservando l'immagine numerica di questa "ascensione" spirituale, penso al fatto che il presupposto che la rende possibile è la capacità di  coltivare e praticare l'Amore di Dio e del prossimo, nella consapevolezza che il Cristo è la Vita... che vibra Om e manifesta ovunque la Sua presenza nella dimensione infinita dello spazio e del tempo.
D'un tratto... il Sacro 8 della trasfigurazione ed il 9 della Divina Resurrezione diventano più marcati e si colorano, mentre al centro del profilo che contiene sia il Tempio dei ramirici che il simbolo dell'infinito, appare un cuore che pulsa di Vita cristica, e batte Om... Om... Om... ...

Zummo ancora... e poi ancora... e vedo il cielo formare un manto blu che avvolge l'8 della trasfigurazione ed il 9 della resurrezione: finalmente, la Divina Madre della Gioia ora mi mostra completamente il suo meraviglioso volto!
Estasiato, mi fermo qualche momento per guardare l'Anima Universale che tiene tra le sue braccia il Cristo "contenuto" nella forma del Tempio... e poi contemplo il 9 Divino contornare il Suo Volto...
Sì, il viso della Ianua Cœli è avvolto dalla cifra della nascita di Swami Roberto, e mi parla dei due "volti" che accolgono tra le loro braccia i cristiani ramirici rinati nello spirito, per accompagnarli nel loro transito verso la resurrezione definitiva: quella Eterna.

Lasciatemelo dire: io non posso proprio pensare ad una immagine della Madonna che sia più bella e più meravigliosamente ricca di significati di questa!

Non faccio in tempo a dirlo... e subito sul mio telescopio intravvedo un'altra "figura" straordinaria: una costellazione di "12 stelle" (Ap.12,1) che cingono il capo della Divina Madre della Gioia.
Pensando a questa "corona", penso anche alle "posizioni astrali" che da alcuni anni Swami Roberto sta tracciando nella mappa del firmamento celeste di Anima Universale, rivelando anche il "volto" degli angeli di Dio che governano queste "12 porte" disposte nel "cielo" del nostro essere.
Si tratta evidentemente di un avvistamento che richiederà una nuova "messa a fuoco", ma per il momento ripongo il mio telescopio nel cassetto... ops... volevo dire nella tastiera  per lasciare il posto alla Realtà concreta di Dio, che il Darshan di Swami ci permette non soltanto di osservare ma, ancor meglio, di vivere in prima persona.

12 GENNAIO

Nel cuore di una notte di 17 anni fa... quando il 12 gennaio era iniziato da pochi minuti... mi consacrai Ramia di Anima Universale ed indossai per la prima volta il mio abito sacerdotale.
Ogni anno la ricorrenza di questo giorno, per me straordinariamente benedetto, apre la porta al vento di un ricordo che rinfresca emozioni mai sopite e che riporta alla mia mente i tanti cambiamenti avvenuti per conseguenza nella mia vita.
Si è trattato in effetti di una vera e propria rivoluzione che, tra l'altro, mi porta oggi a celebrare annualmente ben 3 compleanni !
Alla mia data di nascita, il 12 maggio... si sono aggiunti anche il 9 aprile, giorno della nascita di Swami Roberto e quindi compleanno spirituale mio e di tutti i cristiani ramirici... ed il 12 gennaio, giorno del mio compleanno sacerdotale.
Parlando specificamente del 12 gennaio, questa data rappresenta per me la chiave di ogni cambiamento, perché la scoperta del pieno significato della mia esistenza è fondato sulla vocazione che mi ha portato a consacrare la mia vita a Dio come Sacerdote della mia Chiesa.
Sono ovviamente tanti i modi con i quali potrei descrivervi questo mio passaggio dalla vita "normale" a quella religiosa, ma oggi i miei pensieri... assorbiti da un'atmosfera così marcatamente legata allo scorrere del tempo... si raccolgono attorno ad una metafora formata dalle altre due date-cardine della mia esistenza:
Prima ero un "toro", nato anagraficamente il 12 maggio...
poi, consacrandomi Ramia sono spiritualmente diventato un "ariete" cristiano-ramirico, che il 9 aprile di ogni anno celebra la sua ri-nascita interiore.

Come una sorta di vortice collocato sul mare del mio tempo presente, oggi questa immagine risucchia la mia mente verso un “assonante” passaggio epocale, quello avvenuto intorno all'inizio del II millennio a.C., quando la storia del pianeta passò dalla cosiddetta era del toro a quella dell'ariete.
Per l'umanità quello fu un periodo di profondi cambiamenti, in cui ebbe fine l'egemonia incontrastata delle civiltà “taurine” (come per esempio quella egiziana con al centro il culto del bue apis, quella cretese con il minotauro e quella caldea con il toro alato) ed ebbe inizio l'ascesa di alcune culture imperniate sulle attività pastorali e nomadi che... ben rappresentate dal simbolo ariete-guida del gregge... "guarda caso" si affermarono proprio durante l'omonima era dell'ariete.

Tra di esse, in ambito religioso divenne protagonista il popolo ebraico, che frantumò il monopolio del politeismo mediante la straordinaria novità della Fede di Abramo nel Dio unico.
Da allora, il tempo dell'ariete divenne la “cornice” in cui si sviluppò la biblica storia dei patriarchi e del popolo di Israele, ed il tempo del toro iniziò a rappresentare il passato ormai superato, simbolizzato dall'idolo del "vitello d'oro che il popolo infedele iniziò ad adorare durante la permanenza di Mosè sul Monte Sinai.
Invece, nel futuro del tempo dell'ariete stava per compiersi quello che, in un'ottica cristiana, fu l'evento cardine della storia religiosa dell'umanità: la nascita dell'agnello... ovvero del piccolo di ariete: Gesù di Nazareth.

Celebrando oggi il 17° anniversario del coronamento della mia vocazione religiosa, penso a come questo storico processo di cambiamento si sia riaffacciato nel presente della mia vita... da quando ho iniziato a guardare verso Torino.
Corsi e ricorsi... proprio a partire dalla città "del toro" ha mosso i suoi passi l'Ariete divino che oggi guida la mia vita spirituale.


IN ATTESA
DEL 9 APRILE

Finalmente marzo! Le giornate si allungano, l'aria comincia a far pregustare i profumi della primavera... e il giorno del compleanno spirituale dei cristiani ramirici si intravvede "all'orizzonte". Stamattina, mentre pensavo al fatto che la nascita di Swami Roberto è avvenuta il 9 aprile... che è il 99° giorno dell'anno... mi sono venuti in mente, tra l'altro, i 99 anni di Abramo quando l'Eterno gli dice: “Io sono Iddio onnipotente, procedi per le mie vie e sii integro. Stabilirò il Mio patto tra Me e te” (Gen 17,1)... nonché i 99 nomi della perfezione di Dio che il musulmano recita sgranando il tespih, il suo rosario d'ambra composto di 99 grani.
Poi, dopo qualche altra libera "divagazione", la mia attenzione si è fissata proprio sul numero in sè, ed ho iniziato a pensare che il 9, in quanto ultima cifra del sistema numerico decimale, è espressione della fine di un ciclo, del compimento di un corso ma, al contempo, anche del passaggio alla fase successiva, diventando così segno di resurrezione.
Essendo il  9 la porta di transito verso la nuova decina, esso costituisce il contemporaneo annuncio di una fine e di un imminente nuovo inizio, assumendo un significato che... visto allo "specchio"... mi fa venire in mente un tipico concetto della cultura semita secondo il quale la totalità di una realtà viene espressa mettendo insieme il suo inizio e la sua fine. Questo principio, detto "polarismo" (prendere i due poli per indicare tutto ciò che sta all'interno) è alla base di espressioni bibliche quali per esempio "Cielo e terra" per indicare tutto l'universo, oppure "Alfa e Omega" per indicare il Tutto di Dio.

Ebbene... rimbalzando qua e là tra questi pensieri “provocati” dal 99° giorno dell'anno che si sta avvicinando a grandi passi, non posso fare a meno di pensare al 9 aprile come al momento Alfa del Cristianesimo ramirico... ed il mio spirito esulta.
Amen, Alleluia !



LA MIA "PORTA" 

Rabbi, Rabbuni, Avatar, Purna Avatar, Swami... ecc. ecc. ecc.
Un Maestro spirituale può essere chiamato in questi ed in tanti altri modi differenti, nella miriade di idiomi e religioni esistenti nel pianeta.
Diversi sono anche i significati che è possibile attribuire a queste definizioni che, oltretutto, a volte sono usate a sproposito per stilare fantasiose classifiche di grandezza.
In realtà... l'unico Grande, in assoluto, è Dio... ed il valore del Maestro è tale soltanto nella misura in cui Lui aiuta i suoi discepoli a vedere la Grandezza Assoluta, e ad avvicinarsi ad Essa. 
Per conseguenza, ad essere fondamentale non è l'appellativo del Maestro, quanto invece il ruolo che Lui riveste nella vita interiore dei suoi discepoli... e qualsiasi fedele, di qualsiasi religione, può dire di averlo effettivamente trovato solamente se ha trovato in Lui la guida che lo aiuta per davvero a crescere nella capacità di amare Dio ed il prossimo.

Recentemente, nel corso di un mio viaggio letterario nei territori dell'Islam, ho incontrato una definizione di Maestro che è usata anche in ambito cristiano e che mi piace molto, perché la trovo particolarmente adatta a non far perdere di vista il giusto ruolo del Maestro spirituale.
Si tratta del termine “bab”, che in arabo significa “porta”, e che è il modo in cui in passato veniva salutato un “ulema”, cioè un grande sapiente dello spirito che conduceva i suoi discepoli ad addentrarsi nei misteri di Dio.
Il concetto della porta è particolarmente adatto a descrivere il ruolo del Maestro dello spirito perché implicitamente mette in luce anche uno dei pericoli più grandi ai quali sono esposti tanti credenti, che sono convinti di aver trovato la loro strada religiosa ma poi, purtroppo per loro, beandosi nella convinzione di essere sulla strada giusta si dimenticano di percorrerla.
Ahimè, troppi dimenticano che il Maestro è sempre ed innanzitutto una porta da attraversare!
Pertanto, anche quel fedele che trovasse la porta più giusta e più bella del mondo, ma poi omettesse il passo successivo di bussare... e poi di entrarvi... finirebbe con lo sprecare la grande opportunità concessagli, e rimarrebbe clamorosamente fermo al punto di partenza.
Infatti, nel Vangelo di Giovanni è assai eloquente il passaggio in cui Gesù usa questo termine per designare il suo ruolo di Maestro divino : "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo" (Gv 10,9).

Va anche detto che proprio il dinamismo di entrare e uscire risulta ostico a quegli amanti del "quieto vivere" che preferirebbero un tipo di porta che li facesse entrare una volta per tutte, per poi chiudersi definitivamente alle loro spalle, facendoli sentire spiritualmente a posto.
Invece... parafrasando l'evangelista Giovanni... l'interiorità "troverà pascolo" se "entrerà e uscirà", ovvero se continuerà a mantenere attiva la sua vita spirituale, altrimenti, scontato a dirsi, una bella porta inutilizzata non serve a nulla di più degli infiniti ed invalicabili muri che già esistono nel pianeta religioso.

Per quanto poi riguarda specificamente la mia personale storia religiosa, prima di incontrare Swami Roberto io avevo idealizzato alcune "porte" che si erano succedute e talvolta anche sommate l'una all'altra, ma di fatto si trattava di aperture che per me erano rimaste come cristallizzate nelle pagine dei libri di religione e filosofia che me le avevano fatte conoscere e, dal momento che vivevo una spiritualità da auto-didatta in cui mi conveniva fare il maestro di me stesso, si trattava di porte di riferimento che non incidevano minimamente sulla mia interiorità.

Invece, tutto per me è cambiato quando ho trovato la mia Porta vivente, il Maestro in carne ed ossa, l'unica apertura che ha permesso alla mia interiorità di passarci veramente attraverso, portando così la mia anima a fare esperienza di Dio.
Soltanto nel momento in cui ho cominciato a varcare questo divino Passaggio, è accaduto per me che il Cristo... da ingiallito che era tra le pagine del vangelo della mia libreria... è tornato ad incarnare in Sè tutti i colori dell'arcobaleno, ed io oggi Lo riconosco più brillante che mai ad illuminare ogni giorno della mia vita.








LE BRACCIA LEVATE AL CIELO

Uno degli aspetti della mia vita religiosa è quello di essere ogni giorno a contatto con la sofferenza e le difficoltà di tante persone che chiedono l'intervento spirituale di Swami Roberto per ricevere un aiuto nelle loro necessità.
Ad alcune di loro, mi trovo a volte a dover ricordare l'importanza di bussare con fede alla porta di Dio anche attraverso la preghiera, una pratica fondamentale che non di rado gli impegni e le frenesie della quotidianità portano a trascurare.

Ma... così come i rami devono restare attaccati al tronco per continuare a ricevere la linfa vitale... allo stesso modo... solo restando attaccati al grande "albero" della sacralità mediante la perseveranza nella preghiera, è possibile ricevere quel vigore e quel nutrimento che permettono di affrontare fruttuosamente le varie situazioni dell'esistenza.

Oggi, mentre sto pensando all'importanza di riuscire quotidianamente a trovare un po' di tempo per distogliere lo sguardo dalle vicende mondane e per levarlo verso la dimensione di Dio... mi viene in mente l'immagine di  Mosè che, quando gli Amaleciti ostacolavano la marcia del suo popolo verso la Terra Promessa, favoriva la vittoria con le sue braccia distese verso il cielo... e quando era stanco “Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, sostenevano le sue mani” (Es.17,12).
In fondo... anche nel nostro presente... ogni credente che voglia entrare nella pace e nell'abbondanza della sua personale “terra promessa” si trova a fare i conti con dei "nemici" costituiti da svariati problemi che, come gli Amaleciti di allora, possono essere sconfitti con le braccia levate al cielo in preghiera.

Ecco perché, guardando il nuovo libro della Missione dell'Uno appoggiato sullo scrittoio davanti a me, io penso alle persone che hanno capito l'importanza della preghiera e... da casa propria, negli orari stabiliti... sono parte di questa grande unione energetica, una vera e propria catena di amore, dalla quale traggono la “linfa vitale” per le necessità della loro vita.
Ebbene sì... grazie anche a questa perla che Swami Roberto dopo quindici anni ha rinnovato con delle preghiere ancora più potenti... noi sappiamo come fare per essere dei rami protesi verso il Cielo di Dio.













IL "PROFUMO" DELLO SPIRITO SANTO

In un commento ad uno dei proverbi biblici “Va' con i saggi e saggio diventerai” (Pv 13,20)... un noto rabbino interpreta questa massima sapienziale con una parabola:
« A che cosa è simile colui che diventerà saggio camminando con i saggi? 
A un tale che era entrato nella bottega del profumiere. Benché quello non gli avesse venduto, né lui avesse acquistato nulla, quando ne fu uscito il suo corpo e i suoi vestiti profumavano, e quel profumo non svaporò per tutta la giornata. 
Per questo si dice: “Chi cammina con i sapienti diventerà sapiente” » (Rabbi Natan, Pirqué Avot, cap.11).
L'intuizione deve lavorare un po' per mettere in relazione la saggezza che si può acquisire stando alla presenza di un saggio... con il profumo del quale si può rimanere impregnati entrando da un profumiere.
Infatti, solitamente si intende la saggezza come un'acquisizione frutto della consapevolezza maturata con l'esperienza vissuta... e non come un qualcosa che resta semplicemente appiccicato addosso.
Però, questa ardita metafora di rabbi Natan porta alla luce un aspetto un po' nascosto della realtà: anche chi non riesce ad “acquistare” qualcosa da un saggio sul piano della consapevolezza, accompagnandosi a lui rimane comunque “impregnato” della sua presenza, di cui trascina una sorta di “profumo” nella propria vita.
Questo fenomeno... che in rapporto alla saggezza umana può essere sovente riscontrato... trova peraltro la sua piena applicazione sul piano della Sapienza divina, in presenza della quale è impossibile restare impermeabili... salvo il caso in cui la si voglia espressamente rifiutare con un atto di umana libertà, che Dio sempre rispetta.

Prendendo spunto da questo commento biblico, mi viene ora in mente il darshan di Swami Roberto nel quale... ormai da tanti anni... sono "abituato" a vedere la Sapienza del Maestro toccare le anime, smuovere le coscienze, accendere dei processi di conversione interiore che cambiano la direzione di tante vite...
Però oggi, in particolare, stimolato da questo midrash di rabbi Natan... io penso al fatto che il darshan di Swami “tocca” anche molte persone che non necessariamente “acquistano” la Sapienza divina, ovvero che magari non la integrano nel loro piano cosciente.
Per esempio, a volte alcuni possono partecipare al darshan per mera curiosità... eppure... per il solo fatto di essere stati presenti all'incontro con la Sapienza divina, anche loro poi se ne tornano a casa "profumati" dalla benedizione di una "fragranza" che tonifica le loro esistenze.
Per non parlare poi di un caso che va anche al di là della sopracitata massima biblica... ovvero quello degli ammalati che sono impossibilitati a venire al darshan fisicamente, e sono presenti solo attraverso una foto portata da un loro conoscente... o, addirittura, sono “fotografati” nel cuore di chi prega per loro:
in un modo umanamente inspiegabile, anche queste persone vengono raggiunte "a distanza" da un impalpabile “effluvio divino” che influisce beneficamente sulle loro vite... e questo accade perché, seppur invisibile, assolutamente concreta è la realtà dell'aura e dello spirito.

Ahimè... il più delle volte l'essere umano fa però fatica a rendersi conto, e poi a tenere a mente, che non esiste soltanto ciò che è visibile... e allora Dio spesso deve fare proprio "gli straordinari" per aiutare i suoi fedeli a ricordarsene.
Questo è ciò che sanno molto bene quanti partecipano al darshan di Swami Roberto... venendo costantemente raggiunti, spesso anche tangibilmente, dal "profumo" dello Spirito Santo.



UMANE "BESTIE"

Mentre nessuno si penserebbe di sostenere che non c'è “mineralità” nei minerali, o che non c'è “vegetalità” nei vegetali... sono ancora in molti ad affermare che non c'è anima negli animali, privandoli così della radice etimologica del loro stesso nome.
Il "corto circuito" linguistico è evidente, come sono evidenti i problemi che ne conseguono... tra i quali c'è anche la triste realtà formata da troppi esseri umani che relegano gli animali ad un ruolo meramente servile delle loro emozioni egoistiche, "confortati" tra l'altro da quelle dottrine cristiane che... purtroppo... "spiegano" come gli animali non abbiano un'individualità spirituale.
Ahimè... prima queste dottrine fondano la loro autorità sulle Scritture... ma poi, senza batter ciglio, ignorano alcuni passaggi della Bibbia che “suggerirebbero” una revisione delle loro teorie sugli animali.
Per esempio, adesso a me vengono in mente alcuni versetti che si trovano già nelle prime pagine della Genesi, nei quali Dio dice:  “Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall'arca.” (Gen.9, 9-10).
In questo passo Dio riconosce agli animali la dignità di essere, al pari degli uomini, destinatari della sua Alleanza e dunque, visto che l'Eterno non l'ha mai revocata, non c'è alcun cristiano che possa permettersi di non tenerne conto.
Poi... è sempre nel rispetto di questo principio biblico che, tanto per fare un altro esempio significativo, durante il Sabato ebraico (lo Shabbat) non solo gli esseri umani... ma anche gli animali non lavorano... diventando anch'essi parte del culto a Dio.
Per non parlare poi... sempre scorrendo la Bibbia... delle volte in cui sono proprio gli animali che, al posto degli uomini, diventano gli interlocutori privilegiati di Dio... come ci ricorda il celebre passo in cui un'asina è docile ricettore di una direttiva divina che un ottuso profeta umano, Balaam, non aveva orecchie capaci di ascoltare (Num. 22-24).

In ogni caso, nell'ottica di restituire ai nostri fratelli animali quanto di loro competenza, l'excursus biblico non è l'unica via percorribile ed anzi... uscendo dal Libro biblico ed entrando nel “libro sacro” della vita... il messaggio della realtà è per certi versi ancora più eloquente:
Io penso infatti che bisogna essere degli umani parecchio inumani... per non accorgersi della bellezza dell'anima albergata negli animali... domestici e non... che con la loro semplice purezza riempiono di calore le nostre vite.


Per quanto mi riguarda... anche su questo argomento è stato per me assai “salutare” il fatto di poter incontrare la mia Chiesa, Anima Universale, il cui pensiero... oltre ad essere in armonia con ciò che il mio cuore già sapeva grazie all'esperienza vissuta... ha anche innestato in me nuovi elementi di consapevolezza, grazie ai quali oggi posso riconoscere appieno la dignità dei nostri fratelli animali in quanto esseri spirituali.

Poi, a proposito del fatto che gli esseri viventi dei tre regni minerale, vegetale ed animale rientrano nell'unico piano di salvezza stabilito da Dio... devo anche confessarvi che il mio incontro con la realtà di Anima Universale ha stravolto alcuni canoni che fino ad allora mi ero costruito.
In particolare, non potevo certo immaginare quello che poi ho scoperto, trovandomi sovente ad essere spettatore dello specialissimo rapporto che Swami Roberto intrattiene con le piante e con i fiori... con i quali Lui parla come parla con noi esseri umani, facendo peraltro molta meno fatica a farsi comprendere

Adesso... come faccio spesso durante la mia quotidianità... mi tuffo per qualche momento nelle pagine web di photos by Swami, e mi lascio cullare da qualcuna delle "note" celestiali che compongono il dialogo del Maestro con la natura...


«I fiori sono i meravigliosi sorrisi di Dio,
che gli Angeli spargono qua e là sulla terra,
per allietare gli animi di chi li sa ammirare.»
                                  (Swami Roberto)


«I nostri fratelli animali non sono solo un corpo che si muove.
Essi hanno anima e spirito;
sognano, pensano, provano gioia, dolore e affetto,
alcuni hanno visioni soprannaturali,
come l’asina di Balaam che vide un Angelo di Dio.»
                                                       (Swami Roberto)


«Gesù Cristo è stato crocifisso dai peccati degli uomini,
mentre i nostri fratelli animali non lo hanno mai fatto soffrire,
poiché sono privi di peccato fin dall’origine.»
                                              (Swami Roberto)

I PORTICI DELLA MISERICORDIA

A volte... i fatti più normali della quotidianità possono diventare annunciatori di messaggi inattesi, com'è accaduto per me ieri quando, al sopraggiungere di un rinfrescante temporale, ho interrotto alcuni piccoli lavori di giardinaggio per cercare riparo sotto i tetti del monastero:
La pioggia comincia subito a scendere abbondante e, in men che non si dica... un velo d'acqua copre la pavimentazione del chiostro.
Così, mentre sto camminando al riparo del più lungo dei cinque segmenti di porticato comunicanti tra loro, e mi dirigo verso l'ingresso del Tempio... mi sembra quasi di passeggiare sul bordo di una piscina.
D'un tratto, mi torna allora in mente la celebre piscina di Betesda che, come racconta Giovanni, aveva "cinque portici" (Gv.5,2) ed era adiacente al Tempio di Gerusalemme.
L'evangelista narra che sotto i portici di Betesda...   "giaceva una gran quantità di ammalati" ... "in attesa del movimento dell'acqua"(Gv.5,3)... e appena lo Spirito di Dio si manifestava provocando questa increspatura, il primo che si immergeva nella piscina otteneva la guarigione dalla sua infermità.

Facilitato dall'atmosfera "acquatica" nella quale mi trovo, mi viene naturale immergermi a mia volta nel testo Giovanneo e, non appena scendo sotto la superficie del significato letterale, posso osservare il "fondale" nascosto.
I cinque portici di Betesda, che in ebraico significa “casa della misericordia”, sono infatti collegati al significato simbolico del numero 5 che, nella Tradizione biblica, rappresenta i cinque libri della Torah, la Legge ebraica denominata dai cristiani Pentateuco.
Dunque... l'infermo che è protagonista dell'episodio narrato da Giovanni (Gv.5,7) rappresenta tutti coloro che sono stati resi simbolicamente "ciechi, zoppi e paralitici" dalla deformazione farisaica della vecchia Legge mosaica... per guarire i quali, Gesù porta la nuova Legge dell'Amore che infrange i formalismi della Tradizione, provocando la reazione dei Giudei... “che perseguitavano Gesù perché faceva queste cose di sabato” (Gv.5,16).

Ora... mentre la pioggia intorno a me diminuisce d'intensità... io sento invece crescere l'intensità dei significati che questa "immersione" mi sta comunicando: l'episodio miracoloso della piscina dai 5 portici si trova infatti nel 5° capitolo del Vangelo di Giovanni e, leggendo in chiave cristiana "il movimento dell'acqua" generato dall'intervento dello Spirito di Dio, mi viene naturale pensare alla Pentecoste, celebrata il 50° giorno dopo la Pasqua...
Non appena associo questo scroscio di 5 con il dono dello Spirito Santo... improvvisamente... nella mia mente tutti questi elementi evangelici si auto-compongono l'un l'altro, e mi appaiono come una sorta di puzzle soprannaturale che mi mostra l'immagine del luogo esatto in cui sto conducendo questa mia particolare "meditazione evangelica".
Infatti, oltre a trovarmi al riparo dei cinque portici di Anima Universale... adesso il Pentagono sacro che sovrasta l'ingresso del Tempio si staglia proprio sopra di me e... l'acqua dell'abbondante pioggia che lo “riempie”, me lo fa vedere proprio come se fosse una “piscina” di cinque lati.
Mi vengono allora in mente le innumerevoli volte che proprio qui lo Spirito Santo ha “smosso le acque”... permettendo a quanti vi si immergevano di guarire le loro malattie fisiche e spirituali, e così adesso non faccio proprio nessuna fatica a "vedere" il Sacro Pentagono dei ramirici come la “Betesda”, cioè la Casa della Misericordia in cui sono venuto ad abitare consacrandomi Ramia di Anima Universale.

Faccio ancora qualche passo e, entrando nel Tempio, salgo le scale che mi portano nel punto in cui, attraverso la finestra, posso vedere ancora meglio il Sacro Rabme:
Osservo il Pentagono, e i cinque segmenti che lo circoscrivono mi fanno pensare al fatto che la Pentecoste dei cristiani ramirici è perennemente "inscritta" nel perimetro del loro Simbolo sacro, a rappresentare il soffio incessante di Ruah, il vento dello Spirito di Dio che raggiunge i fedeli che varcano l'ingresso dell'Ashram.
Per alcuni minuti non mi muovo da lì...
Poi... mentre penso all'a-temporalità del piano di Dio, che nelle esperienze concrete della mia vita sacerdotale mi mostra il passato ed il futuro inglobati nel suo eterno presente... dall'oceano del tempo i miei pensieri fanno emergere come due immagini, una di fronte all'altra:

...quella di “ieri”, con la piscina dai cinque portici nella quale il Cristo ha manifestato il suo potere di guarigione violando "il Sabato", cioè infrangendo le regole schematiche della Tradizione religiosa dell'epoca...
...e quella del mio "oggi", con la "piscina" dai cinque lati nella quale vedo quotidianamente svolgersi la missione spirituale del mio Maestro, anch'essa in violazione dell'odierno "sabato" costituito da una interpretazione "farisaica" del messaggio cristiano.
Sì... adesso tutti i "pezzi" sono andati al loro posto, ed il mosaico della "Piscina" della Misericordia mi si mostra nella sua completezza.


AMICI DI DIO

La parola “amico” è il significato del nome ebraico della città di Hebrôn (in arabo “al-Khalīl”), a sud di Gerusalemme, nota per essere il luogo nel quale è stato sepolto Abramo... ed io oggi penso al fatto che proprio nel nome del primo Patriarca, “amico di Dio”, ad Hebrôn è simbolicamente piantato il seme dell'amicizia tra le religioni.
La “Grotta dei patriarchi” è infatti considerata luogo sacro dagli ebrei e dai musulmani... ed è oggetto di venerazione da parte dei cristiani... anche se, purtroppo, i violenti conflitti che incessantemente lacerano il pianeta religioso fanno perdere di vista questa radice comune, e fanno passare nel dimenticatoio anche la promessa che Dio fece tanto tempo fa proprio ad Abramo: “Renderò grande il tuo nome” (Gen.12,2)... “In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen.12,3).
Quando queste parole furono scritte nella Torah (ben prima che Cristianesimo ed Islam nascessero), parlavano di una promessa rivolta ad un uomo sconosciuto, appartenente ad un piccolissimo popolo “insignificante” rispetto alla grandezza e alla potenza delle civiltà circostanti... e dunque possedevano tutti i requisiti per poter sembrare “deliranti” a chi le leggeva senza avere in dotazione gli “occhiali” della fede.
Invece oggi, anche un ateo deve ammettere di trovarsi di fronte perlomeno... ad una “lungimiranza” inspiegabile... che i fedeli del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe possono invece comprendere come la conferma che Lui mantiene sempre le sue promesse, anche quelle più incredibili.

Però... a voler essere “pignoli”... ebrei, cristiani e islamici che oggi si riconoscono figli spirituali di Abramo non costituiscono “tutte le famiglie della terra”, visto che insieme a loro non ci sono, per esempio, le “famiglie orientali” riconducibili all'Induismo e al Buddismo.

Proprio pensando a quale potesse essere un riscontro ancora più preciso della realizzazione della Promessa divina fatta ad Abramo... un giorno mi sono soffermato a guardare un po' meglio questo nome che all'origine, prima ancora di essere completato da Dio in Ab-raham (padre dei popoli) (Gen.17,5), era appunto Ab-ram.
Nel post “la primavera dello spirito” già vi accennai al fatto che la prima di queste due sillabe, “ab”, significa certamente "Padre"... mentre la seconda “ram”, può avere significati diversi.
Senza addentrarsi nelle disquisizioni specialistiche... si può constatare che oggi la sillaba “ram” significa “ariete” per la moltitudine di persone che parlano le lingue anglosassoni e... a ben pensarci... non è difficile spiegarsi perché il Patriarca della fede monoteista, apparsa nel pianeta durante l'era astrologica dell'ariete, potesse chiamarsi in origine ab-ram con il significato di “padre-ariete”...
Come tutti sanno, l'ariete è infatti la guida del gregge e, dunque, questa espressione coincide con il ruolo di capostipite che Abramo ha rivestito per il gregge dei suoi figli spirituali ebrei, cristiani e musulmani... fratelli nel monoteismo.

Senonché... ci sono anche altre greggi che è possibile ricondurre al nome di Ab-ram... pensando al fatto che la sillaba ram costituisce pure il nome di Rama, la più celebre manifestazione del Dio Supremo per il miliardo circa di induisti sparsi un po' in tutto il mondo... ed è inoltre presente anche nel retroterra culturale di altre fedi nate nel subcontinente indiano, quali per esempio il buddhismo e il giainismo, anch'esse sviluppatasi dalle fondamenta dei concetti religiosi contenuti nel poema epico “Ramayana” (il “viaggio di Rama”).
Nel nome di Abramo... attraverso la sillaba ram si creano dunque dei ponti che riuniscono le grandi religioni del mondo, ed è proprio pensando a questa universalità che io mi ritrovo adesso “catapultato” verso il simbolo del cristianesimo ramirico...

Infatti la mia Chiesa, fondata “guarda caso” dal ram-ariete Swami Roberto, ha quale suo emblema un'immagine che mi parla della promessa fatta da Dio ad Abramo... di diventare fonte di benedizione per “tutte le famiglie della terra”... ma non solo...
Pensando al mio nome religioso, io non posso fare a meno di rilevare che ram è anche il cuore della parola sacra “Ramia” che, come molti di voi già sanno, identifica il sacerdote di Anima Universale con un nome biblico che deriva dall'ebraico Ramiah e significa “Dio ha liberato”.
Ebbene, la promessa che Dio rivolge ad Abramo... di affidargli in eredità spirituale “tutte le famiglie della terra”... risuona nel sacerdozio di noi Ramia non solo etimologicamente, ma anche sostanzialmente... perché, oltre ad essere i ministri del culto cristiano-ramirico per i battezzati della Chiesa Anima Universale, noi Ramia viviamo quotidianamente la nostra missione spirituale nella disponibilità ad aiutare ogni cittadino del mondo, senza chiedere la sua conversione alla nostra specifica fede cristiano-ramirica.

Ecco allora che, pensando alla mia “carta di identità” religiosa, il logo di Anima Universale... io oggi posso leggerla anche come l'illustrazione dell'universalità dell'Amore di Dio che si è manifestato al mondo nella promessa divina accolta da Abramo di essere sorgente di benedizione "per tutte le famiglie della terra”...
Inoltre, posso pensare che si tratta di una promessa che, ieri come oggi, è talmente più grande delle limitatissime prospettive umane che... per esempio... io non faccio fatica ad incontrare “sapienti” o integralisti religiosi che etichettano la mia strada spirituale ramirica come sincretismo, cioè come un miscuglio di concetti religiosi incompatibili...
Povere loro, queste persone non si rendono conto che con questo metro di giudizio giudicherebbero sincretista anche quel Dio che ha parlato in modo così ecumenicamente "esagerato" ad Abramo.
D'altronde... di queste ed altre ottusità non bisogna stupirsi più di tanto perché, ieri come oggi, le promesse di Dio sono “follie d'amore” alle quali non è da tutti credere.
Quel che è certo, è che ci credette il “padre-ariete” Abramo, e “Dio glielo ascrisse a giustizia” (Gen.15,6)...
 
E oggi... ci credo anch'io, che mi sento figlio spirituale di Ab-ram come cristiano ramirico... come Ramia... e come discepolo del Ram di Anima Universale, l'Ariete Swami Roberto.
E' Lui che mi ha insegnato ad essere “amico di Dio”, facendo concretamente esistere quella che agli occhi del mondo è una "follia": la Religione dell'Amore promessa dall'Eterno, Padre e Madre di tutte le genti della terra.

P.S. - A chi tra di voi avesse voglia di... pensare ancora un po'... ricordo che “Rama” in Hindi viene spesso pronunciato “Ram” ed il suo principale appellativo è “Ramachandra” che significa “Ram che risplende come la luna”...
Visto che, scrivendo questo mio odierno auto-scatto, mi è tornato in mente tutto ciò che l'anno scorso vi ho raccontato sull'ariete e sulla luna nel post “allunaggio ramirico”... se volete, potete tornare a darci un'occhiata... con qualche elemento in più per “leggere tra le righe”.
Chissà, magari un giorno tornerò sull'argomento...


APPUNTAMENTO CON DIO


"Non bisogna mai mischiare il Sacro con il Profano!"...
Un po' tutti conoscono questo principio, che è antico quanto la religione e trova la sua conferma anche nella radice etimologica della parola “Tempio”... che deriva dal verbo greco témnein (“tagliare”, quindi “delimitare”) e da témenos (“recinto sacro”).
Con il passare dei millenni, l'evoluzione della coscienza religiosa dell'umanità ha fatto sì che questa idea di rigida separazione tra Sacro e profano subisse una naturale evoluzione e, con riferimento in particolare al messaggio cristiano, è risaputo che gli insegnamenti del Rabbi di Nazareth hanno dato una svolta decisiva... "sdoganando" la realtà di Dio da una presenza esclusiva nel Tempio.
Per esempio, scrive l'evangelista Matteo che a quei giusti che chiederanno al Signore in che occasione Lo hanno veduto affamato e gli hanno dato da mangiare, assetato e gli hanno dato da bere... il Figlio dell'Uomo risponderà: "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me " (Mt 25,37-39) a sancire in modo inequivocabile l'"abc" del culto cristiano: il primo "luogo" in cui lodare ed adorare il Signore è il prossimo che si incontra nella quotidianità.

Questa mattina, mentre stavo "navigando" nel mare biblico dell'Esodo, ho pescato un passaggio dove la tenda dell'alleanza, cioè il Santuario amovibile che il popolo ebraico trasportava nel deserto, viene chiamato  'ohel mo'ed,  ovvero “tenda dell'incontro”.
Come già sapete se avete letto il mio post Mise la sua tenda in mezzo a noi”, si tratta di un'immagine che mi è assai familiare, dal momento che la Cupola di Anima Anima Universale sorge nel punto in cui prima esisteva la Tenda che ha avvolto il mio originario incontro con Dio.

Però, la definizione “tenda dell'incontro” non mi è cara solo per ragioni personali e affettive...
Io trovo che questa espressione contenga in sé anche il modo più bello e veritiero di definire il Tempio, quale punto dell'incontro tra la libertà umana e la Volontà di Dio che, pur restando onnipresente, “convoca” i fedeli nel luogo consacrato al culto.
Infatti, esaminando ancor meglio l'originale espressione ebraica, il termine mo'ed significa “tempo fissato”, “appuntamento” e designa pertanto il Tempio quale Luogo Sacro in cui... nell'ambito del "normale" flusso del tempo... è possibile vivere dei momenti "speciali" di incontro con il Signore, secondo il "calendario" da Lui fissato a beneficio di tutto il popolo dei credenti.
Questa è la prospettiva che ha portato l'Ebraismo a definire il Tempio anche qahal, “convocazione” del popolo da parte di Dio... in un filone concettuale dal quale è scaturito poi il termine greco ekklesia (dal verbo kaléin, “chiamare”), in italiano “chiesa”, che viene usato per definire il Tempio cristiano.

Oggi mi sono dilungato un po' su questo argomento, perché non è affatto scontato che un credente  viva nel modo giusto il suo rapporto con il Tempio.
Per fare un esempio che mi riguarda personalmente, durante la prima parte della mia vita io ho lungamente creduto di poter vivere autonomamente il mio rapporto con Dio, pensando che il mio totale disinteresse per qualsiasi forma liturgica non potesse pregiudicare alcunché della mia vita spirituale.

Poi... quando ho scoperto la mia Anima Universale, gli insegnamenti spirituali della mia Chiesa mi hanno consentito di capovolgere il mio punto di vista sulla questione.
Adesso... la presenza nel Tempio di Anima Universale durante il culto che vi è celebrato, è il cuore della mia Fede... il Luogo privilegiato dell'Epifania di Dio nella mia vita.
Infatti, pur se l'Eterno ovviamente non cessa mai di essere onnipresente, e posso quindi incontrarLo in qualsiasi attimo della mia esistenza... ora però vivo l'appuntamento nel Tempio come un momento più sacro degli altri, perché so che in quel luogo ed in quella precisa "porzione" di tempo la Parola di Dio "convoca" me e tutti i cristiani ramirici che vogliono ascoltarLa.
Poi, ovviamente, è nell'esclusivo "interesse" spirituale di un credente presentarsi "in orario" (meglio ancora se in anticipo) all' "appuntamento con Dio", partecipando con la giusta disposizione interiore....
Ed infine, la "misura" dei frutti che è possibile raccogliere dipende dal modo in cui si usa la propria libertà di Fede, in quell'intimissimo "Luogo sacro" della coscienza individuale... che l'Onnipotenza divina non violenta mai.

Oggi, ad un anno esatto dalla sua apertura, osservo il profilo del Tempio di Anima Universale.
Vedo la Cupola, che universalmente simboleggia la volta celeste, e penso al significato cosmico di quella forma, che richiama la presenza del cielo sulla terra e mi parla della manifestazione del divino nella mia vita.
Questa è l'Area Sacra nella quale Dio mi da' appuntamento e, ogni volta che io mi presento con "puntualità", mi concede udienza, mi risponde, mi benedice... e riempie di energia divina i miei "serbatoi" interiori, con i quali posso così affrontare anche le tappe più lunghe ed impegnative nel viaggio della mia esistenza.


LE 12 PORTE


Oltre alle porte che infinite volte nella nostra vita apriamo, chiudiamo alle nostre spalle, attraversiamo per passare da un ambiente ad un altro... esistono anche altre porte che regolano un tipo di passaggio molto più "privato", anzi... esclusivamente personale... perché costituiscono le "aperture" invisibili che permettono a ciascuno di noi di transitare dalla "dimensione" fisica a quella interiore.
Nella tradizione orientale tali porte sono chiamate chakra e, in numero di 7, sono disposte dalla base alla sommità della colonna vertebrale... ma questo termine sanscrito, che significa “ruota”, ha ormai assunto un uso universale e lo si trova in svariati contesti religiosi, con accezioni spesso diverse.
Anche nel pensiero spirituale di Anima Universale la parola chakra assume un suo specifico significato e, tra le varie peculiarità, la prima che mi viene in mente riguarda i 5 chakra ignorati dalla visione tradizionale, che sono situati nella "mappa energetica" del nostro corpo in corrispondenza delle ferite della crocifissione di Gesù.
Nel corso degli anni, gli insegnamenti di Swami Roberto hanno rivelato le "chiavi" dell'apertura di queste "porte animiche", mostrando in profondità... ed in modo UNICO... i passaggi spirituali attraverso i quali è possibile portare il proprio essere a "vibrare" in sintonia con l'Amore manifestato dal Verbo incarnato.
Per conseguenza, nel cammino dei cristiani-ramirici i chakra principali da risvegliare alla Luce di Dio non sono 7 bensì 12 e, pensando al fatto che questo numero corrisponde ai 12 discepoli di Cristo, mi viene oggi in mente anche un altro fondamentale aspetto:

Tra le tante persone che nel mondo parlano dei chakra, è ovviamente possibile incontrare un campionario molto vasto di mentalità e di significati... ma il denominatore comune riscontrabile in moltissimi casi è quello di una grande superficialità, in base alla quale tanti pensano che per aprire queste porte sottili basti una sorta di "colpo di bacchetta magica" che tanti "maestri" o presunti tali si propongono di fornire.
Così, ahimè, la più praticata delle "aperture dei chakra"  è quella che viene letteralmente "VENDUTA" in tanti corsi pseudo-spirituali che, promettendo "la luna", attirano frotte di incauti fruitori.
Purtroppo per loro, la realtà è ben diversa... perché tutto ciò che attiene all'autentica dimensione spirituale richiede un lavoro interiore che non può essere barattato con il denaro... anche "solo" per il fatto che le "cose" di Dio non hanno prezzo.

Dunque, l'effettiva "apertura" dei chakra può essere resa possibile solo attraverso un serio e consapevole percorso di maturazione interiore e di preghiera, grazie al quale il Sé individuale cessa di essere governato... ed inizia invece a governare l'organismo, esercitando la libertà dello spirito e non subendo la schiavitù della materia.
In questa prospettiva, i 12 principali centri di energia sottile situati nel nostro corpo diventano un po' come i 12 "apostoli" che... anziché seguire le lusinghe del mondo assorbendone ogni sorta di inquinamento... seguono il "maestro-Sé" e così si "accendono" come se fossero 12 stelle luminose che "segnalano" il nostro essere spirituale risvegliato.
Questa immagine, mi fa adesso pensare al “segno grandioso” descritto dall'autore dell'Apocalisse: “Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle (Ap 12,1)”...
Rileggendo questo versetto, io oggi posso riallacciarmi al discorso che avevo lasciato in sospeso lo scorso anno nel mio "Telescopio su Anima Universale", fermandomi per qualche momento a pensare alla "Gerusalemme celeste" che l'autore dell'Apocalisse descrive come provvista di 12 porte (Ap 21,12).
Poi... è l'atmosfera di questo articolo che mi spinge a trasportare questa immagine nella dimensione personale di quei fedeli cristiano-ramirici che, riattivando le loro 12 porte interiori, possono respirare" l'aria del “Regno dei Cieli”...
Affinché ciò accada con pienezza è però necessario seguire l'esempio di Colei che si è fatta Ancella del Signore, e diventare a propria volta servitori di Cristo : quello è il momento in cui, grazie ai propri chakra finalmente "luminosi", è possibile essere effettivamente testimoni-"catarifrangenti" della Luce di Dio... facendo sì che la parola "illuminazione" acquisti un reale significato nella propria vita interiore.

Ecco... entrare nel Tempio ramirico per affidare le mie 12 porte animiche alle cure divine del mio Maestro, per me significa accogliere nella mia mente anche questi pensieri, che mi aiutano a spalancare l'intelletto ed il cuore ai suoi insegnamenti...
Così, darshan dopo darshan, posso ascoltare le Parole di Conoscenza con le quali Swami Roberto compone le “cifre” del Codice sacro che "aprono" la Ianua Coeli, la Madre di tutte le porte, e mostrano ai fedeli ramirici il passaggio dall'infinito all'Eternità.

Grazie a te Miryam, Anima Universale,
che mi permetti di vivere la mia personale "Apocalypsis",
ovvero la rivelazione del mio spirito eterno...
Grazie a te Ianua Coeli,
Porta che mi ri-porti alla mia Patria divina.



"...EPPURE
MI HA APERTO

GLI OCCHI ! "


Con il 9 aprile ormai all'orizzonte, stamattina pensavo al fatto che il giorno della nascita di Swami Roberto è uno scrigno che contiene “tesori” infiniti e, considerando che si tratta del 9° giorno del 4° mese dell'anno... un po' per gioco sono andato a rileggermi il 9° capitolo del 4° vangelo, nel quale si trova l'episodio della piscina di Siloe.
Per certi versi ho ripetuto l'esperienza compiuta  con l'altra piscina giovannea di Betesda di cui vi parlai nell'articolo “i portici della Misericordia”... perché entrambi questi brani parlano di un miracolo di guarigione operato da Gesù in un giorno di sabato, in violazione della Legge ebraica... e dunque alludono alla necessità di uscire dai limiti del formalismo religioso per attingere i miracoli dalla Sorgente di Cristo.
In particolare... mi sono soffermato a riflettere sui versetti in cui i giudei domandano ai genitori del cieco guarito: “Come mai ora ci vede?" (Gv.9,19)... e questi rispondono:  « "Come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso". Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. » (Gv.9,21-22).

Questa risposta “reticente” dei genitori che, anziché urlare ai quattro venti la gratitudine a Gesù per la guarigione di loro figlio, si preoccupano innanzitutto di non compromettersi per non essere estromessi dal giudaismo, è un velato riferimento... dicono alcuni esegeti... alla realtà effettivamente vissuta dalla comunità cristiana giovannista, nel periodo della sua separazione dalla tradizione ebraica.
È questa la "chiave" per vedere nel “cieco nato” non tanto un infermo dal punto di vista fisico bensì, metaforicamente, un "cieco" spirituale che...  quando si lava con l'acqua di Siloe (una parola ebraica che significa “inviato”)... “acquista la vista”, cioè apre gli occhi prima accecati dall'ignoranza spirituale e testimonia il Cristo, l'inviato mandato dall'Eterno Padre.
Il fatto che questa sua testimonianza gli provochi poi l'espulsione dalla sua tradizione religiosa...   "lo cacciarono fuori" (Gv.9,34)... mi fa oggi vedere questa pagina evangelica come una "fotografia" che simbolicamente parla anche ai cristiani di ogni tempo, profetizzando loro il destino che li aspetta: l'impatto dell'Inviato sulle convenzioni del mondo è tale che, la sua sequela implica il rischio di essere "scomunicati" da quanti rimangono "recintati" nella tradizione.

E' proprio questa la verità a-temporale di Dio che si innesta nel mio presente, "parlandomi" di quelle persone che a volte incontro... e che muovono delle obiezioni alla mia SCELTA spirituale, osservando che mi sono messo al seguito di "quello Swami" che … non si sa da dove sia saltato fuori.
A loro, anch'io posso rispondere con le stesse parole del cieco che ha acquistato la vista “Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi” (Gv.9,30).
Ecco... sull'onda di questi miei odierni pensieri, durante l'ormai prossimo 9° giorno del 4° mese dell'anno io non solo celebrerò insieme a tutti i cristiani-ramirici il mio compleanno spirituale... ma penserò anche alla guarigione dalla mia "cecità", di cui mi parla così bene il 9° capitolo del 4° vangelo.



P.s. - Neanche a farlo apposta, appena ho finito questo mio post mi è capitato tra le mani un significativo commento al 9° capitolo del 4° vangelo scritto dal biblista Alberto Maggi, frate dei servi di Maria e fondatore del Centro studi biblici di Montefano (Mc).
Riporto qui di seguito le sue parole, che sento anche profondamente mie:
«« Ma i capi religiosi, che scomunicano in nome di Dio, sono in realtà i veri scomunicati da Dio.
Infatti Gesù va a recuperare l’uomo guarito, prima che succeda come con l’infermo della piscina che era ritornato nel tempio.
« Gesù seppe che lo avevano cacciato fuori e incontratolo gli disse:
“Tu credi nel Figlio dell’uomo?"
Ed egli rispose: "e chi è Signore perché io creda in Lui?"
Gli disse Gesù: "tu L’hai visto, colui che parla con te è proprio Lui".
Ed egli disse: "io credo, Signore. E gli si prostrò dinanzi”
.
»
L’espulsione dall’istituzione religiosa, non causa alcun danno all’uomo, ma anzi è un grande vantaggio. Cacciato dalla religione trova la fede.
»
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9 APRILE, ORA NONA: LA CULLA DELLA RESURREZIONE

Una coincidenza straordinaria

…Con mio grande stupore constato che il 9 aprile 1963, a Torino, l’evangelica ora nona è iniziata alle 3.48 e 45 secondi, giusto in tempo per "salutare" la nascita di Swami Roberto, registrata sul certificato di nascita alle 3.50 del pomeriggio…

Come vi raccontai tempo addietro nel post "lenti di ingrandimento sul 9 aprile", il giorno natale di Swami è un "incrocio" tra le coordinate pasquali di Antico e Nuovo Testamento... e poi è anche una data che contempla in sé una "trinità" di 9, dal momento che questa cifra, legata simbolicamente alla resurrezione, è 3 volte presente il 9 aprile... 99° giorno dell'anno.
Questi numeri mi sono tornati in mente stamattina, mentre ricordavo come le pagine "pasquali" dei Vangeli raccontino che Gesù morì sulla croce all'"ora nona" (Mc.15,34-Mt.27,46) e risorse il 3° giorno successivo...  facendomi pensare al fatto che il 9 ed il 3 "cullano" dunque anche la Sua "morte" divina che sancisce già il trionfo della vita, perché contiene in sé anche la Luce divina della Sua resurrezione... avvenuta il 9 aprile dell'anno 30 d.C.

Mentre pensavo a queste "corrispondenze", mi trovavo all'interno della cappellina del grande Tempio, di fronte al dipinto che vedete qui a lato, riconducibile alla celebre scuola di Novgorod (XV-XVI secolo), nel quale è rappresentata proprio questa cristica unione nascita-morte-resurrezione.
Infatti, gli iconografi di Novgorod usavano un particolare modello biblico detto "merismo"... (dal greco meros = parte, nel senso di parte rilevante che spiega la totalità)... in base al quale dipingevano il Cristo neonato posto in una culla già inserita nel sepolcro aperto della resurrezione, a sottolineare che, sin dalla nascita, il Cristo è Colui che ha vinto la morte "fecondandola" con la vita eterna.

A ben pensarci... anche il ripetersi di 3 e di 9 che trovo nella nascita di Swami, e poi anche nelle pagine evangeliche della Passione di Cristo... "incorniciano" nel "quadro" del 9 aprile sia la nascita che la resurrezione, facendomi adesso vedere questo giorno benedetto sotto un'ulteriore luce "pasquale".
Anche perché... focalizzando l'attenzione nel fondamentale momento in cui Gesù rimette il Suo Spirito, ritrovo ulteriormente riproposta questa particolare simmetria numerica: infatti, l'ora "nona" del tempo di "ieri" corrisponde, nel tempo di "oggi"... circa alle 3 del pomeriggio.

Al pensiero che Swami è nato alle 3.50 pomeridiane, mi dico che... se volessi usare anch'io il "linguaggio" dei Vangeli... dovrei "tradurre" questa moderna "ora solare" di Torino nel sistema orario vigente a Gerusalemme all'epoca di Gesù, nel quale il giorno era suddiviso in "dodici ore"(Gv.11,9) la cui durata non era di 60 minuti, bensì di un dodicesimo del tempo di luce diurna che va dall’alba al tramonto.

Prendo allora carta e penna... e su un foglio annoto gli orari dell'alba e del tramonto del 9 aprile 1963 a Torino (secondo il Calcolatore Solare del NOAA – National Oceanic Association and Administration).
Si tratta rispettivamente delle 5.57 e delle 19.06... per cui la durata effettiva delle evangeliche "12 ore" di luce diurna è di 13 ore e 9 minuti.
Calcolando 9 dodicesimi di questo arco di luce e aggiungendoli all'orario dell'alba, si ottiene il risultato cercato.

Una coincidenza straordinaria

Con mio grande stupore constato che il 9 aprile 1963, a Torino, l’evangelica ora nona è iniziata alle 3.48 e 45 secondi, giusto in tempo per "salutare" la nascita di Swami Roberto, registrata sul certificato di nascita alle 3.50 del pomeriggio.


Non appena completo questo rapido conteggio (riassunto nel grafico qui sopra)... posso osservare che il momento della morte di Cristo avvenuta "ieri"... e quello della nascita di Swami avvenuta "oggi"... mi si mostrano come le due facce temporali di un'unica "medaglia", il cui "conio"... l'ora nona ... fa giungere a destinazione questo mio "viaggio" pasquale.
Con gli occhi del merismo, posso infatti vedere il 9 aprile come una straordinaria icona sacra, che in una cristica "cornice" di nascita e resurrezione "immortala" la mia vita religiosa... perché è proprio grazie alla nascita di Swami che la mia Fede in Cristo è risorta.

Cullato da una tale costellazione di "Coincidenze", già pregusto il momento ormai imminente in cui potrò riempirmi "dal vivo" di questi "colori" divini.

Gloria al Signore... alleluia, alleluia, alleluia !



DIVINA BEATITUDINE

Varcando l'ingresso del Tempio ed addentrandomi nel cuore della Cupola... che nella simbologia religiosa tradizionale rappresenta il Monte dell'incontro con Dio... oggi mi torna in mente il celebre monte sul quale Gesù pronuncia le Beatitudini (Mt.5,1-32).
che in Matteo sono 8... così come è un grande 8 sacro la forma della base del "monte" liturgico in cui mi trovo.
Per un po' mi lascio trasportare dal pensiero che proprio qui, ogni domenica mattina, durante il Darshan di Swami il mio spirito incontra la Parola di Dio e dunque sperimenta quella beatitudine (dal latino “beatus”, vale a dire “felice”) che già i filosofi greci definivano come la contemplazione "del vero" (Aristotele) o "del sommo bene" (Platone)...
Poi, pensando in particolare alle 8 beatitudini del Gesù di Matteo... la circostanza che siano proprio 8 mi fa oggi pensare al fatto che questo numero riveste simbolicamente un significato particolare:
Mentre il 7 richiama infatti il riposo sabbatico del 7° giorno ed è quindi rappresentativo della Torah, nonché dell'Alleanza mosaica sancita da Dio sul Monte Sinai... il numero 8 nel cristianesimo primitivo rappresenta l'inizio del Nuovo Testamento.
Per conseguenza, il Monte delle 8 beatitudini simboleggia il Monte della Nuova Alleanza, dal quale Cristo pronuncia il messaggio che, se accolto e messo in pratica, permette ai suoi discepoli di “trasfigurarsi” decretando la morte dell'uomo vecchio e la nascita dell'uomo nuovo.

Pensando a tutto ciò, oggi anche la Cupola di Anima Universale... inserita nell' “otto sacro” che circoscrive il perimetro del Tempio... mi appare come il Monte dal quale gli insegnamenti di Swami danno forma alle “Beatitudini” del cristianesimo ramirico... in una associazione di idee che poi si rafforza ulteriormente se penso alla mia personale storia interiore:
E' stato infatti grazie all'incontro con la Parola divina del mio Maestro spirituale, che io ho concretamente iniziato a sperimentare nella mia vita l' “Alleanza nuova” nel modo promesso dal Signore attraverso il profeta Geremia (Ger.31,33)... cioè "scrivendola nel mio cuore" .
Sì... per me questa Cupola liturgica, che mi avvolge con un abbraccio che mi scalda il cuore, è proprio il “Monte sacro” ai piedi del quale, ad ogni Darshan di Swami, la mia interiorità si nutre di divina Beatitudine.


LA MAPPA del "TESORO"

Sono trascorsi quasi due anni dal giorno in cui siamo entrati nel nuovo Tempio di Anima Universale e questo ingresso, avvenuto dopo che per lungo tempo avevamo celebrato le nostre preghiere nel chiostro del monastero, mi suggerisce oggi alcuni "geometrici" pensieri.
La circostanza che, nella celebrazione della funzione religiosa domenicale, siamo infatti passati dall'area quadrata del chiostro a quella circolare del Tempio (come ben si può vedere dalla foto aerea qui a lato), mi ha fatto venire in mente un significato simbolico riscontrabile nella storia delle religioni: la relazione tra il quadrato che rappresenta la terra-manifestazione di Dio... ed il cerchio che rappresenta il Cielo-unità di Dio.

Gerusalemme, Chiesa della dormizione di Maria:
Mosaico con i 3 cerchi che rappresentano la Trinità
Per esempio... basti pensare ai fedeli musulmani che svolgono dei giri circolari attorno alla Ka'ba, la quadrata Casa di Dio completata da una parte semisferica...
Oppure, passando all'iconografia cristiana, il cerchio mi ricorda il simbolo dell’Eternità... collegato al simbolo della Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, rappresentata dai tre cerchi uniti tra loro.
Il quadrato si trova poi nella pianta quadrata della Gerusalemme Celeste, a significare la stabilità della perfezione, in una forma ripresa poi dall'arte medievale per incorniciare la figura umana con le braccia tese a croce ed i piedi uniti che, ricollegandosi alle rappresentazioni di Cristo, funge da punto di riferimento per i calcoli di costruzione delle chiese del periodo cosiddetto “romanico”.

Questi geometrici pensieri mi stimolano adesso ad aprire, sullo schermo del mio computer, la videata di un disegno del capolavoro di Leonardo noto come l'uomo di Vitruvio...
Questa immagine mi fa ricordare un Darshan di alcuni anni fa, nel quale Swami ci condusse ad esplorare "profondità vertiginose", ben oltre la già mirabile intuizione artistica espressa dal genio da Vinci:
In quell'occasione, infatti, Swami dapprima iniziò ad illustrare ai presenti il significato simbolico di questo celebre dipinto, quale rappresentazione del percorso di elevazione di un credente che, alla sequela di Cristo, passa dal “quadrato” del suo corpo fisico “messo in croce” dai limiti della forma, al "cerchio" della sua resurrezione interiore...
Poi, andando ancora oltre, l'insegnamento di Swami fece tra l'altro “emergere” la figura del pentagono... ovvero la “porta” attraversata nel momento topico in cui la Grazia di Cristo (rappresentata dai 5 vertici del pentagono che simboleggiano le 5 ferite della crocifissione) conduce il discepolo verso la perfezione della resurrezione... in un passaggio di cui vi ho già peraltro parlato nell'articolo “Le 12 porte”.
Oggi... è  proprio questo numero biblicamente fondamentale, il 12, a “parlarmi” delle 12 tribù di Israele... e poi dei 12 discepoli che, riuniti ai piedi di Gesù sul Monte delle beatitudini, Lo ascoltano pronunciare l'alleanza “nuova”, dopo che Mosè sul Monte Sinai aveva ricevuto quella antica.

Ebbene... pensando al Monte, io adesso mi ritrovo proprio nel cuore del Monastero di Leinì, dove si erge la Cupola... che nel simbolismo religioso del Nuovo Testamento rappresenta il Monte sul quale la presenza della sfera divina entra in contatto con la storia umana.
Proprio qui, nella Cupola-Monte di Anima Universale... nel cuore della casa del Sacro Rabme, simbolo pentagonale dei cristiani ramirici... si trova il “tesoro” al quale mi ha condotto la mappa di “geometria sacra” che oggi ho percorso insieme a voi.

IL DARSHAN... PER ME

Tra le novità teologiche apportate dal Cristianesimo rispetto alla precedente visione religiosa... stamattina mi sono soffermato su quella che è espressa nel prologo dell'Apocalisse, dove Dio viene definito come “Colui che è, che era e che viene (Ap.1,8).
Confrontandolo con l'analogo principio presente nella tradizione ebraica, dove l'affermazione divina "Io sono" (Dt.32,39a) veniva resa con la parafrasi "Io sono colui che è, che era e che sarà(Targum P.Jonatan)... a prima vista si potrebbe pensare che tra queste due espressioni non ci sia chissà quale differenza... ma non è così:
Diversamente dall'ebraico "che sarà"... riferito alla rivelazione di Dio alla fine dei tempi... il“che viene” dell'Apocalisse ci parla infatti di un Dio che incessantemente “fa nuove tutte le cose” (Ap.21,5) e che, pertanto, non ammette che ci si possa limitare ad aspettare una Sua rivelazione relegata al futuro, vivendo in un'attesa che vincoli il presente ("che è") al bagaglio delle “cose vecchie” ereditate dalla tradizione ("che era").
Questo fu in realtà l'errore commesso dal popolo di Israele quando, come ci ricorda Giovanni nel suo Vangelo, il Verbo venne “fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv.1,11).
La novità di Cristo incontrò infatti un mondo religioso che... vivendo l'attesa del “Dio che sarà” in maniera "cristallizzata" sul passato... non poteva concepire l'incessante “novità” dell'Immanuèl (Mt.1,23), il Dio “che viene” tra noi nel Cristo... il quale, evidentemente, contraddiceva l'immagine messianica tradizionale.

Ebbene... la tentazione di pensare religiosamente con i parametri stereotipati dell'antico, rifiutando per conseguenza il Dio che fa“nuove tutte le cose” (Ap.21,5), è  una inclinazione che ha resistito, inossidabile, al passare dei secoli.
Basti pensare, per esempio, a quanto fossero rimaste ancora inascoltate all'epoca di Gesù le pur chiarissime parole profetiche di Isaia:
“Non ricordatevi delle cose passate, non pensate più alle cose antiche. Ecco, io faccio una cosa nuova: essa già sta sorgendo, non la notate?" (Is. 43,18-19)
Ma, fatto ancor più grave, basti pensare a come questa mentalità abbia saputo “resistere” fino ad oggi, ripresentandosi in quei cristiani che, attribuendo validità soltanto a ciò che è "antico", continuano a vivere una fede "antiquata", fossilizzata nel passato... incapace di riconoscere l'incessante novità del Dio “che viene”, e che continuamente "rinnova la faccia della terra" (Sal. 104,30).

Pensando a tutto ciò... e volendomi oggi avventurare nella mission impossible di riassumere in poche righe il Darshan di Swami Roberto... io posso dire, a fronte di una quasi ventennale esperienza diretta, che si tratta per me dell'irrinunciabile “appuntamento con Dio”, nel quale l'Eterna Parola mi guida a riconoscere l'opera incessante di “Colui che fa nuove tutte le cose”... e stimola il mio intelletto e la mia coscienza a non accontentarsi della consuetudine... mantenendoli dinamicamente aperti al “sempre nuovo” del Signore “che viene”



IL « PONTE » CON L'ORIENTE 

Immaginando un moderno sondaggio che, con esclusione del traditore Giuda, attesti la "classifica" di gradimento degli altri 11 apostoli rimasti fedeli a Gesù... è facile prevedere che uno degli ultimi posti toccherebbe a Tommaso, passato alla storia con la ben poco lusinghiera nomea dell'incredulo che ha bisogno di mettere il dito nella piaga di Cristo per credere alla Resurrezione. (Gv 20,28)
Chi però non si accontenta di questa tradizionale immagine e legge un po' meglio “tra le righe” della vicenda di Tommaso, può individuare una diversa realtà sostenuta per esempio da alcuni studiosi del Nuovo Testamento, che osservano come anche gli altri apostoli, se fossero stati assenti all'apparizione di Cristo risorto, avrebbero probabilmente reagito con la stessa iniziale incredulità... che anche loro avevano infatti manifestato di fronte alla notizia della Risurrezione comunicata dalle donne (Lc 24,11).
Oltretutto, Tommaso non solo fu colui che si rivolse poi a Gesù con la più alta delle espressioni di fede contenute nei Vangeli “Signore mio e Dio mio!” (Gv 20,28)... ma anche in precedenza era stato lui a distinguersi per la determinazione nel seguire Gesù “Andiamo anche noi a morire con lui” (Gv 11,16), al punto che la sua assenza nel cenacolo al momento dell'apparizione si presta anche ad essere “letta” come la prova che Tommaso continuava coraggiosamente a testimoniare Cristo, a differenza degli altri apostoli, che “per paura dei Giudei” (Gv 20,19) restavano al sicuro chiusi in casa.

Ciò che oggi mi ha indotto a soffermarmi un po' su Tommaso, è comunque la circostanza che lui sia ricordato come l'evangelizzatore dell'Oriente dal momento che, narra la tradizione, fu lui a portare la “Buona Novella” di Gesù in Persia, in Cina e poi in India, dove fondò la prima comunità cristiana.
Il fatto che questo compito sia toccato a lui, cioè all'apostolo che più degli altri ha riconosciuto esplicitamente la divinità di Gesù fino a chiamarLo “Dio mio!” (Gv 20,28), mi fa oggi pensare alle difficoltà che lui avrà senz'altro incontrato per evangelizzare terre così lontane, culturalmente più ancora che geograficamente.

Lasciando un po' briglia sciolta all'immaginazione, quasi mi sembra di vedere gli abitanti dell'India ascoltare le parole di Tommaso riguardo all'uomo-Dio Gesù, interpretandole inizialmente secondo i propri criteri religiosi... cioè pensando che l'apostolo stia parlando loro di un Avatar, vale a dire una "incarnazione divina” nata in Occidente.
E poi, mi immagino l'insistenza di Tommaso nello spiegare meglio la specificità della sua fede in Gesù, e nel presentarLo come Figlio di Dio in una maniera che, ovviamente, si differenzia dalla religiosità indiana... con il risultato, attestato dalla storia, che alcuni accolsero la fede cristiana, mentre molti altri la rifiutarono.
Tra queste due posizioni, ci saranno poi stati anche coloro che, benevolmente, avranno applicato nei confronti di Tommaso il significativo principio contenuto in un passaggio della Bhagavadgītā, nel quale il Dio supremo afferma “Anche i fedeli di altri dèi, che li onorano con fede piena, pure essi non fanno che venerare me, benché non proprio in forma giusta”. (IX,23)

In realtà... io penso che, a parti invertite, anche Tommaso avrà ragionato più o meno allo stesso modo, nel senso che... proponendosi di annunciare il Vangelo a persone così lontane dal punto di vista della mentalità religiosa, anche lui avrà portato l'annuncio di Dio-Padre e di Suo Figlio Gesù nella consapevolezza che l'universale salvezza "in Cristo" va al di là dei "confini" di una conversione dottrinale.
E' proprio questo, infatti, uno dei principi basilari del messaggio evangelico, custodito per esempio in un versetto molto “sottovalutato”, se non chiaramente ignorato, del Vangelo di Giovanni.
Mi riferisco alle parole “affinché chiunque creda, in Lui [Cristo] abbia la vita eterna” (Gv 3,15) che esprimono il principio secondo il quale chi “crede”, magari anche appartenendo ad una religione diversa... ma praticando comunque la rettitudine e l'amore... in Cristo si salva, come per esempio ha ben messo in evidenza anche Monsignor Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, il quale ha scritto un libro dal titolo "Chi crede, in Cristo sarà salvo" che... guarda caso... corrisponde al modo di pensare dei cristiani ramirici.
Invece, tanti altri cristiani oggi snaturano questo versetto, posticipando la virgola e leggendo “affinché chiunque creda in Lui [Cristo], abbia la vita eterna” (Gv 3,15)... vincolando cioè la salvezza ad una fede dottrinale in Cristo, e coltivando in tal modo quella anti-evangelica chiusura di cui già vi parlai tempo fa nel post “questione di virgole”.
Diversamente da loro... chi contempla una possibilità salvifica anche per le fedi diverse dalla propria, può invece vivere con pienezza il comandamento dell'Amore insegnato da Gesù, praticando la carità cristiana anche nella forma di un dialogo aperto, e senza pregiudizi, con i “mondi” religiosi e culturali più lontani.

Ciò non significa, ovviamente, considerare tutte le vie religiose di pari valore... quanto invece professare la propria fede cristiana quale via più diretta verso l'Unico Dio, Padre e Madre di tutte le genti, senza però disconoscere che anche altri percorsi religiosi possano condurre verso l'unica Meta eterna, purché praticati con rettitudine e amore del prossimo.
Ecco... io sono convinto che proprio questa fosse la fede che animava l'apostolo Tommaso, il cui nome derivava dall'aramaico Taumà, cioè “gemello”... e il cui appellativo in greco, “Didimo(Gv 11,16) aveva l'identico significato.
Non a caso, lui ha infatti costruito il suo ponte cristiano verso l'India usando i "mattoni" di un amore fraterno, “gemello” di quello praticato da Cristo, nonché... aggiungo io... da un'anima che non poteva che essere "universale".



L'EX ANELLO MANCANTE

Dopo aver percorso il mio "Ponte con l'Oriente" un induista (italiano), incuriosito, mi ha contattato esprimendomi l'interesse a conoscere meglio la nostra cristiana "anima universale"... e, dopo le presentazioni, ci siamo scambiati alcuni pensieri "a voce alta" in particolare riguardo al Sacro Om, perché lui mi ha chiesto quale fosse il peculiare significato cristiano-ramirico con il quale io lo celebro nelle mie preghiere. Pensando che questa sua domanda potrebbe essere idealmente posta anche da molte altre persone che ancora non conoscono la mia Chiesa, riporto qui di seguito un riassunto di ciò che gli ho detto al riguardo.
Il nostro dialogo ha preso spunto da uno dei concetti base dell'Induismo, ovvero l'idea che il suono è Dio, ed è origine delle cose e degli esseri... a definire un principio spirituale dal quale, per esempio, trae origine anche la convinzione che il “mantra”, cioè la ripetizione rituale di affermazioni di preghiera, sia un suono dotato di una energia straordinariamente efficace per “sollecitare” la  trasformazione interiore.
Molti considerano questa concezione religiosa inconciliabile con la teologia cristiana, senonché... come ho fatto notare anche al mio odierno interlocutore... a colmare questa "distanza” basta già la lettura delle prime parole del celeberrimo Prologo del Vangelo di Giovanni “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo” (Gv 1,1).
Il Verbo-Cristo è infatti Parola divina che, in quanto tale, è anche suono... e, aggiunge Giovanni, “Tutto per mezzo di lui fu fatto” (Gv 1,3).
« Ebbene - gli ho detto ad un certo punto - se cristianamente si riconosce al Verbo-suono divino questo ruolo “creativo” di tutto ciò che esiste in questa dimensione... automaticamente ci si pone in collegamento non solo con il “Dio disse” scandito nella divina creazione raccontata dalla Genesi (Gen 1,1-25)... ma anche con il concetto induista del suono divino ritenuto all'origine del cosmo che, per l'appunto, è il principio alla base della celebrazione dei mantra ».

« Ma non solo - ho poi aggiunto - perché questa affinità concettuale diventa addirittura "sonora" pensando al passaggio dell'Apocalisse nel quale Cristo è chiamato l'Amen (Ap 3,14) ».
Ho allora sottolineato al mio interlocutore come questa parola, Amen, abbia un percorso fonetico simile all'Aum... ed il suo significato, "così sia", evochi la primordiale azione divina del Cristo, invocato ad esaudire le preghiere mediante il Suo potere di Vita donato a beneficio dell'umanità.
Pur con diversi presupposti teologici, si tratta di un "ruolo" analogo a quello svolto dalla celebrazione dell'Om nelle preghiere induiste.

« Beh certo - mi fa lui - è evidente che queste definizioni di Cristo... il Verbo divino e l'Amen... come significato e come suono sono vicine al modo in cui noi induisti celebriamo le sillabe sacre Om e Aum ».
« In realtà - gli ho detto allora - per me non si tratta "solo" di una semplice "vicinanza" interreligiosa.
Nel nostro pensiero spirituale cristiano-ramirico il Verbo-Cristo, che “era in principio presso Dio” (Gv 1,1-2)... è la Vita (Gv 14,6)... che "vibra" nei piani sottili di questa dimensione con un suono divino ed incessante, che è proprio Om... Om... Om... 
Si tratta, in un certo senso, del "battito cardiaco" del Sacro Cuore di Cristo, ovvero la "vibrazione cosmica" che pervade questa dimensione facendo risuonare ovunque la "voce" della Vita divina.
E' questo l' "anello mancante" che, grazie agli insegnamenti di Swami Roberto, non è più tale... e che, nel Pensiero spirituale di Anima Universale, riunisce nel Cristo-Amen anche la Vita-Om che Lui è in questa dimensione... quale manifestazione divina del Padre-Aum.

In altri termini - ho poi concluso - celebrando il Sacro Om noi celebriamo il Cristo, ovvero l'Amen (Ap 3,14) "pronunciato" dal Dio eterno a beneficio di ogni essere che in questa dimensione ha bisogno di ricevere il dono della VITA, per percorrere la VIA verso la VERITA' del divino amore ».
E' terminato più o meno cosi'... e con una amichevole stretta di mano... il mio odierno incontro con un induista che è transitato sul mio "ponte verso l'Oriente".

« Il Principio Divino 
è la Coscienza del Tutto…
È il Punto di Luce 
che trascende 
questa dimensione infinita,
pervadendola...
È La Coscienza Perfetta 
con la Quale 
il Dio Eterno permea
la realtà del tempo e dello spazio, ovvero il regno delle forme
e delle contrapposizioni…
È il Cristo, 
l’Immanente Principio Vita,
che vibra infinitamente OM. »
       (Swami Roberto)


ORME   DI   SHALOM

Questa mattina, stavo parlando con una persona giunta per la prima volta nel monastero di Anima Universale.
Ci trovavamo nell'atrio di ingresso del Tempio e, di fronte all'immagine qui a lato, ad un certo punto lei mi ha detto “Anch'io la penso così: un Tempio cristiano non può che  essere inteso come una casa di preghiera per tutte le genti”... confidandomi poi di aver lungamente “patito”, nel corso della sua vita, per aver dovuto vivere in un ambiente cristiano impregnato dalla mentalità extra ecclesiam nulla salus... ovvero "fuori dalla Chiesa non c'è salvezza"... con una pregiudiziale chiusura nei confronti delle altre religioni.
“E poi – ha aggiunto – finalmente una Chiesa nella quale anche gli animali hanno accesso all'interno del luogo di culto”.
Questa sua considerazione mi ha fornito lo spunto per informarla di una peculiarità di Anima Universale, ovvero la presenza di un giorno... il 29 ottobre... che è la ricorrenza annuale nella quale viene celebrata una preghiera di ringraziamento per i nostri amici animali defunti.
Al suo sorpreso “davvero?”... per questa novità che in effetti non ha riscontro in altre chiese... è seguito un dialogo in cui le ho spiegato alcuni altri aspetti del nostro pensiero spirituale in relazione agli animali, sulle "orme" già da me percorse nel post « Umane “bestie” ».
Poi, il discorso è confluito in una particolare direzione che, ho pensato, avrebbe potuto interessare anche voi lettori del mio diario per cui... come spesso mi capita di fare... ve ne riporto qui di seguito un riassunto:

« C'è un passaggio del Vangelo – le ho detto ad un certo punto – che parla della mentalità cristiana universale “incarnata” dalla nostra Chiesa, anche se in moltissimi non si accorgono di questo versetto... e più di qualcuno fa anche finta di non vederlo. 
Mi riferisco al brano di Luca nel quale Gesù dice: "Questa generazione è una generazione malvagia; chiede un segno ma nessun segno le sarà dato, tranne il segno di Giona” (Lc 11,29) ».
Le ho poi fatto notare che generalmente questo riferimento a Giona... cioè al Profeta che resta per tre giorni nel ventre del pesce… viene giustamente letto come una prefigurazione del "Mistero Pasquale" compiutosi con la resurrezione di Gesù al terzo giorno.
“Quello che però non viene quasi mai preso in considerazione - le ho aggiunto - è un altro aspetto fondamentale, vale a dire proprio il contenuto spirituale del libro di Giona".
Le ho allora sintetizzato questa vicenda biblica, che parla di un profeta che tenta di sottrarsi alla missione affidatagli da Dio di predicare nella pagana Ninive.
La sua mentalità è infatti quella di considerare un privilegio esclusivo della sua fede religiosa, quei doni divini dei quali il Signore vuole invece far partecipe ogni essere umano.
Quando, alla fine, Giona si troverà a dover comunque adempiere alla missione affidatagli dal Signore, la sua reazione è esemplificativa di un malcostume a tutt'oggi sempre in voga:
Lui infatti si dispera a causa del sovrabbondare della Misericordia divina verso tutte le genti, è così diventa figura esemplare della "gelosa" miopia di quanti non concepiscono la realtà di un Amore divino che "sconfini" al di fuori del loro percorso di fede.

Ebbene, nel segno di Giona annunciato da Gesù,  che ci parla di una universale Misericordia divina che supera le barriere religiose, si riconosce in toto Anima Universale... anche in relazione ad un fondamentale "dettaglio" che si trova nelle ultimissime parole della conclusiva domanda-denuncia che il Signore pone a Giona e a quanti, ancora oggi, ragionano alla sua maniera:  
“E io non dovevo avere pietà della grande città di Ninive, nella quale ci sono più di centoventimila esseri umani (…) e tanti animali?” (Giona 4,11).

« Ecco - ho detto allora alla mia interlocutrice – queste parole finali del libro “e tanti animali”?... suonano come una divina denuncia rivolta a  quelle Chiese che escludono gli animali dal Piano della Misericordia di Dio... e sono invece, per i fedeli di Anima Universale, vera e propria "musica per le orecchie", che suona in armonia con gli insegnamenti di Swami Roberto il quale, da sempre, ci insegna ad amare i nostri fratelli animali nel rispetto della loro individualità spirituale ».

Dopo aver salutato la mia odierna interlocutrice, ho pensato al fatto che il nome del profeta Giona (Yonah in ebraico significa “colomba”) richiama il simbolo della pace, ed allora mi è tornato in mente una "photo by Swami" che sono andato a rileggermi:

« ...Pensate all’Epifania, cioè al primo Darshan del Signore Yeshua: Lui aveva accanto a Sé il bue, l’asinello, alcune pecore, i cani dei pastori, le formiche, i gatti randagi, i ragni e i cammelli dei Re Magi. 
Il Verbo della Vita si è manifestato agli uomini in compagnia dei nostri più cari amici: gli animali, quasi a dire: “prendete esempio da loro”. 
Loro sono puri, privi di peccato, sono veri, sono sé stessi, non hanno maschere, non hanno secondi fini. 
Il Signore Yeshua poi abitò con gli animali, anche con quelli definiti feroci: l’evangelista Marco scrisse che il Signore dimorò tra le fiere, nel deserto quando vinse la tentazione. 
Vi rivelo che quel luogo era pervaso dallo Shalom descritto dal profeta Isaia, un anticipo profetico della pace universale in cui il lupo dimorerà con l’agnello.»
       (Swami Roberto)

Ecco... io penso che per non appartenere alla "generazione malvagia" nominata nel versetto di Luca, bisogna praticare la misericordia insegnata da Gesù, anelando per conseguenza a questa "pace universale" di cui ci parla Swami... ovvero lo shalom con gli esseri umani degli altri popoli della terra... ma anche con gli altri esseri viventi che popolano la natura.
E' questo lo spirito con il quale, grazie a Swami Roberto, il 29 ottobre di ogni anno i cristiani ramirici hanno la possibilità di ringraziare i loro amici animali che ora non ci sono più, e che hanno lasciato in eredità le impronte di questo shalom nelle loro umane vite.


SGUARDO
SUL PARADISO

In continuità con lo sguardo sull'inferno che vi ho raccontato nel post “L'immondezzaio... e il Giardino”... oggi torno a dare un'occhiata all'aldilà, ma nella ben più invitante direzione del “paradiso”.
Per farlo, devo iniziare dal termine persiano antico parideza (luogo recintato, giardino) all'origine del termine greco paràdeisos, che gli autori della prima traduzione in greco della Bibbia hanno usato sia nel significato letterale di “giardino”... sia nel significato religioso indicante quella condizione di illimitata pace e felicità che, nell'ottica cristiana, è concepita come il premio finale per le anime dei "giusti".
Nell'antica tradizione mediorentale il paradiso era stato immaginato antropomorficamente... con gli dèi che vivevano in giardini meravigliosi dove cresceva anche  “l'albero della vita” che dava il frutto dell'immortalità... e questa idea di base fu poi ripresa dagli autori biblici che, pur purificandola dall'alone politeista, la adottarono per esempio nel descrivere Dio che “passeggiava nel giardino alla brezza del giorno” (Gen 3,8).

Sono queste le premesse storiche sulle quali si sviluppò il messaggio biblico sintetizzabile nel concetto “dal paradiso perduto al paradiso ritrovato” secondo il quale... dopo la perdita dell'iniziale felicità paradisiaca... la storia dell'umanità è orientata verso il ritorno, alla fine dei tempi, all'abbondanza del giardino dell'Eden (Is.51,3; Ap 22,2).

Stamattina, mentre riflettevo su tutto ciò, pensavo a quanto siano numerosi e differenti gli “scenari” escatologici (dal greco Éskhatos, “ultimo” e -logia "discorso")... cioè i destini ultimi dell'uomo e dell'universo immaginati dalle varie dottrine religiose.
Tra di esse... quelle rimaste "fedeli" agli antichi criteri antropomorfi continuano a concepire un paradiso, o la vita eterna che dir si voglia, con caratteristiche materiali:
Per esempio, dal punto di vista dello spazio immaginano meravigliosi luoghi naturali da abitare "fisicamente" grazie alla resurrezione dei corpi... e dal punto di vista del tempo, collocano il paradiso eterno  in quel "futuro" che però è ancora un tempo, ed in quanto tale è ancora limitato rispetto all'Eternità di Dio.

In realtà, il Paradiso autenticamente divino al quale possiamo aspirare non può avere caratteristiche materiali, e non può essere procrastinato “dopo” il tempo che ci troviamo attualmente a vivere, ma deve essere invece individuato nella Realtà a-temporale di un'altra dimensione, trascendente lo spazio e il tempo, che non va immaginata, dice Swami Roberto... "come un concetto temporale o un luogo contrapposto all'infinito, ma come una dimensione dell'essere... uno stato dello spirito che non ha forma".
(Ascoltando il Maestro, vol.2, pag.107).

Questo concetto... dell'Eternità in quanto "dimensione dell'essere"... mi fa ora pensare a come, non a caso, il vocabolo Paradiso appaia nei Vangeli un'unica volta quando Gesù, usando appositamente un linguaggio comprensibile al “Buon ladrone”, gli assicura che sarebbe entrato insieme a Lui nell'esistenza definitiva (Lc 23,43).
Invece, nel resto dei Vangeli il Cristo parla di una "Vita" capace di superare la morte e che per questo si chiama "eterna", come per esempio quando dice : "Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita" (Gv 5,24)... o ancora "chiunque vive e crede in me non morrà in eterno" (Gv 11,26).
Si tratta, evidentemente, di una Vita Eterna da conquistare spiritualmente ora, durante l'esistenza che si sta vivendo... mediante la riscoperta di quel “Cristo nell'uomo” che assicura il “pane della vita” (Gv 6,35), l'acqua viva (Gv 4,14), la “vita eterna” (Gv 5,24ss)... cioè i doni del paradiso escatologico già "inaugurato" nel presente, e dei quali vi parlai anche nel mio post "L'aldilà... nell'aldiquà".

E' proprio attuando questa “comunione”  con la divina "dimensione dell'essere"... ovvero il soprannaturale Eterno-presente di Dio permeante la nostra esistenza... che abbiamo la possibilità di mangiare i frutti “dell'albero della vita che è nel paradiso di Dio” (Ap 2,7) e... visto che le “ali” con le quali io posso “volare” in questa divina dimensione sono costituite dagli insegnamenti del mio Maestro spirituale... concludo il mio odierno "sguardo sul Paradiso" con queste parole tratte da "Photos by Swami":

"Come passa in fretta il tempo... 
No! Il tempo non passa.
Sei tu che lo attraversi, lo passi e lo sorpassi per raggiungere l'eternità".
       (Swami Roberto)



AL DI LÀ DELLA FORMA...
E AL DI LÀ DEL TEMPO

Dopo aver letto il mio “sguardo sul paradiso”, una fedele di un'altra Chiesa cristiana mi ha chiesto di parlarle un po' riguardo all'apparente inconciliabilità tra il “Paradiso-Eternità” concepito oltre i limiti dello spazio e del tempo, e la tradizionale idea cristiana di “resurrezione alla fine dei tempi”... e poi, già che c'era, mi ha anche manifestato alcuni suoi interrogativi riguardo all'argomento “resurrezione del corpo”.
Riassumo in questa pagina del mio diario il dialogo che ne è seguito, e che è iniziato proprio da quest'ultimo punto, visto che le ho subito messo in evidenza come tale questione abbia generato dibatti e divergenze sin dagli albori del cristianesimo.
Ho infatti cominciato con il parlarle di Paolo di Tarso, generalmente citato come un paladino del concetto di “resurrezione del corpo”.
« All'interno delle tredici lettere a lui attribuite – le ho ricordato ad un certo punto – ci sono anche dei passaggi nei quali compare la posizione opposta, come quando lui dice  “sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo (...) siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore” (2Cor 5,6-8)oppure quando afferma “Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l'incorruttibilità” (1Cor 15,50) ».

Le ho poi precisato che se anche il “Credo apostolico”, cioè la professione di fede cristiana di inizio III secolo, usava la formula “risurrezione della carne” (peraltro già “ammorbidita” poco tempo dopo nella dicitura “risurrezione dei morti” del Credo niceno-costantinopolitano)... in realtà l'idea di una tradizione cristiana sostenitrice “in blocco” del concetto di “resurrezione del corpo” è un luogo comune smentito dalle evidenze storiche.
« La cristianità dei primi secoli - ho proseguito - oscillò sempre tra la prospettiva della "resurrezione del corpo" e quella dell'"immortalità dell'anima", la quale ebbe largo spazio nell'elaborazione teologica patristica a fronte anche di alcuni brani biblici che chiaramente parlavano in favore dell'anima immortale ».
Le ho allora citato il Libro della Sapienza nel quale si possono leggere queste parole attribuite a Salomone "Ebbi in sorte un' anima buona o piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia" (Sap 8,19-20)... e anche, in un altro passaggio “Un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla opprime una mente piena di preoccupazioni” (Sap 9,15) .
“Si' – mi fa lei – pero' questo è un libro biblico influenzato dalla filosofia greca, e bisogna quindi prenderlo con le pinze”...
“Non la pensavano come lei – le ho detto allora – coloro che lo hanno inserito nella Bibbia cristiana, ritenendo evidentemente che i suoi contenuti fossero confacenti agli sviluppi teologici in atto”.

Ho poi continuato accennandole al fatto che alcuni studiosi del settore parlano di “platonismo cristiano” in riferimento alle elaborazioni teologiche dei pensatori cristiani antichi e autorevoli che concepivano la meta ultima dell'essere umano sul piano dell'immortalità dell'anima, e che sono in fondo gli “antenati” dell'attuale Pensiero escatologico della Chiesa Anima Universale, fondato sugli insegnamenti spirituali di Swami Roberto:
“Nel Pensiero teologico della nostra Chiesa – ho poi continuato – è l'individualità spirituale, unica ed irripetibile, che è destinata alla Vita eterna, al termine di un percorso terreno che può svolgersi anche in più incarnazioni, sempre in una progressione evolutiva”.

Pur seguendo queste argomentazioni, la mia odierna interlocutrice osservava che comunque questa prospettiva di vita eterna esclusivamente spirituale non le sembrava attestata dai Vangeli...
“In realtà – le ho detto allora – al riguardo ci sono passaggi significativi... a partire dal semplicemente chiaro “Dio è spirito” (Gv 4,24), che non lascia evidentemente spazio all'idea che l'unione con la Sua Realtà eterna possa avvenire su piano corporeo... come fa intendere anche il Gesù di Marco dicendo “Quando risorgeranno dai morti (...) saranno come angeli in cielo” (Mc 12,25).

A questo punto, il dialogo è poi proseguito in direzione dell'altro aspetto “all'ordine del giorno”, richiamato proprio dalle parole di Gesù “quando risorgeranno dai morti” che parlano di un tempo futuro... e che hanno spinto la mia interlocutrice a chiedermi:
“Appunto: come si possono conciliare queste parole con il concetto di “Paradiso-eternità” svincolato dal tempo?”.

Dopo averle detto che il linguaggio di Gesù si adattava ai contesti culturali nei quali si trovava a parlare, che potevano essere più o meno legati alla tradizione ebraica... le ho ricordato un episodio che permette di capire come Lui la pensasse al riguardo, cioè quello della resurrezione di Lazzaro, nel quale si rivolge a Marta dicendole:  
« “Tuo fratello risorgerà”. 
Gli rispose Marta: “So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno”. 
Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” ». (Gv 11,23-26)
Poi ho continuato dicendole « Qui Gesù non parla certo di una resurrezione dei morti procrastinata nel tempo, come pensava Marta conformemente all'idea giudaica tradizionale; Lui si riferisce invece a quanti aderiscono al Suo messaggio (“chi crede in me”), assicurando loro una qualità di vita capace di superare la fine della vita biologica. In questa prospettiva, la risurrezione di Lazzaro diventa simbolo di questa risurrezione per la Vita eterna che ciascuno è chiamato a conquistare nel presente della propria esistenza».
Lo svilupparsi del discorso mi ha dunque portato ad entrare un po' più nel merito di un fondamentale concetto teologico custodito in particolare nel Vangelo di Giovanni:
« La “Vita eterna” di cui parla Gesù – le ho detto allora – non è la vita che viene dopo la morte, ma è la Vita divina che è possibile conseguire da subito grazie all'ingresso nella vita spiritualmente vera, che l'evangelista chiama "zōē"... distinguendola dalla semplice vita biologica, definita per l'appunto "bios", che rimane circoscritta nei limiti materiali della corporeità fisica...  ».

Notando che lei portava con sè il libro "Gesù di Nazareth" scritto da Papa Ratzinger, l'ho invitata ad andare a leggersi un passaggio significativo proprio riguardo a questo argomento:
« L'espressione "vita eterna" non significa - come pensa forse immediatamente il lettore moderno - la vita che viene dopo la morte, mentre la vita attuale è appunto passeggera e non una vita eterna. 
"Vita eterna" significa la vita stessa, la vita vera, che può essere vissuta anche nel tempo e che poi non viene più contestata dalla morte fisica. È ciò che interessa: abbracciare già fin d'ora « la vita » , la vita vera, che non può più essere distrutta da niente e da nessuno ». (Papa Benedetto XVI, "Gesù di Nazareth")


« Come lei avrà capito da quanto le ho detto in precedenza - ho infine concluso - alla luce del Pensiero spirituale cristiano-ramirico io comunque traggo da questo principio evangelico di "vita eterna" delle conseguenze che sono incompatibili con le elaborazioni teologiche cattoliche riguardo alla resurrezione dei "corpi" (in una forma imprecisata) alla fine dei tempi.
Per il cristianesimo ramirico, la pienezza della "vita eterna" si realizza al di là della forma... e al di là del tempo ».

Ho poi salutato la mia odierna interlocutrice, anche se alcuni suoi interrogativi a voce alta riguardo al “purgatorio” sono rimasti in sospeso, perché non c'era il tempo materiale per affrontarli.
Chissà... magari ci saranno altre puntate.




ALCUNI "PASSI" NEL PURGATORIO

Come mi aspettavo, il discorso iniziato con uno “sguardo sul Paradiso”... e poi continuato nel post “al di là della forma... e al di là del tempo”... prosegue oggi giungendo al “Purgatorio”, dove mi hanno portato le domande della stessa signora con la quale avevo parlato alcuni giorni fa, e che stamattina è tornata ad incontrarmi.
Il nostro dialogo odierno ha preso spunto da una fotocopia che lei portava con sè, tratta da un libro del cardinale Gianfranco Ravasi.
Su quel foglio erano evidenziate alcune righe scritte dall'alto prelato in difesa della dottrina cattolica... accusata dalla Riforma protestante di essere responsabile della medievale e diabolica “invenzione” del purgatorio... e la mia interlocutrice ha cominciato a leggerle:
« In verità la dottrina di una purificazione ultraterrena – che, tra l'altro, appartiene anche ad altre religioni e dottrine (l'egiziana antica, il buddhismo, Platone, Virgilio) – era già patrimonio comune nei testi di molti Padri della Chiesa e di autori cristiani dei primi secoli, a partire da Origene ». (Card.G.Ravasi, “Questioni di fede”)
 
Poi, la signora mi ha detto: « Al di là della storica “guerra” tra cattolici e protestanti, originatasi a seguito della vaticana “vendita delle indulgenze” per le anime purganti... teologicamente, lei cosa pensa della questione-purgatorio? ».

Ho cominciato allora con il dirle che, ragionando in termini generali, la teologia cristiana della mia Chiesa si inserisce nel “fiume” delle dottrine che concepiscono la possibilità di una purificazione successiva alla morte fisica...“Ma all'interno di coloro che credono a questa purificazione – ho precisato – va operata un'altra fondamentale distinzione, tra chi la concepisce su un piano esclusivamente spirituale... e chi invece la colloca su un piano che coinvolge anche la corporeità”.

Ho poi continuato spiegandole come, nel Pensiero cristiano-ramirico questa purificazione avvenga attraverso la rinascita in un corpo...  nel caso in cui l'individualità spirituale non abbia ancora raggiunto la possibilità di far definitivamente ritorno all'Eternità di Dio, al di là del ciclo delle nascite e delle morti”.

Nel prosieguo del discorso, le ho poi detto che questa eventuale reincarnazione dell'essere umano non può comunque mai avvenire in una forma di vita animale, perché la “purificazione” può attuarsi solo in una direzione spiritualmente evolutiva che esclude le regressioni contemplate invece da altre dottrine reincarnazioniste.
« Quindi - mi fa lei - per voi questa eventuale purificazione successiva alla morte consiste nella possibilità di una nuova nascita in un corpo umano... e quindi si può dire che credete in un “purgatorio” che ha luogo in terra anziché in un'altra dimensione... »

Le ho allora risposto: « A grandi linee, si può dire così... purché non si dimentichi che il concetto di "purificazione successiva alla morte" implica anche altri significati spirituali, che il cristianesimo-ramirico ed il cristianesimo-cattolico intendono in modo diverso. » 
Per farle soltanto un esempio, le ho ricordato come la dottrina cattolica del purgatorio sia nata quale possibilità supplementare di espiazione, concessa ai peccatori che morivano prima di scontare le pene-punitive loro comminate nel Sacramento della penitenza...
« Invece - le ho detto - per noi la “purificazione” di cui un'individualità può ancora aver bisogno dopo la parentesi della sua vita terrena, non è necessariamente una “penitenza”... quanto invece una nuova opportunità di evoluzione spirituale che la Misericordia divina concede alla sua umana libertà.»

Poi, il discorso è confluito nella direzione di una precedente pagina di questo mio diario, e precisamente verso l'articolo “senti chi parla”, del quale la mia odierna interlocutrice si ricordava in particolare il passaggio « Reincarnazione: una dottrina tollerabile nella sua versione “moderata" » relativa alla posizione del gesuita tedesco Karl Rahner, un teologo da lei molto stimato perché protagonista del rinnovamento della Chiesa cattolica che portò al Concilio Vaticano II.
Ha così voluto leggermi... da un'altra delle fotocopie che si portava appresso... una passaggio scritto da Rahner:
“Il purgatorio potrebbe offrire spazio per una storia postmortale di libertà a chi è stato privato di una storia del genere nella sua vita terrena (…) il che potrebbe addirittura portare a un'accettabile comprensione cristiana della trasmigrazione delle anime, purché si escludesse la reincarnazione in esseri subumani e non si negasse la fine irrevocabile della storia temporale”.
(RAhner K. "Purgatory", in Theological Investigations 19, New York, Crossroad, 1983, pag.181-193)

Avendomi poi chiesto cosa io pensassi al riguardo, le ho ribadito che il concetto cristiano di reincarnazione insegnato da Swami Roberto esclude la “reincarnazione in esseri subumani” e non nega “la fine irrevocabile della storia temporale”... ed in quel mentre, ho visto sul suo volto una espressione rasserenata, come se avesse avuto la conferma che si aspettava.
« In ogni caso - ho poi concluso – tenga presente che la sostanziale "compatibilità" del nostro concetto cristiano di reincarnazione con le teorizzazioni che Rahner ed altri celebri teologi hanno elaborato in relazione alla dottrina cristiana del purgatorio, non esaurisce la questione... nel senso che le loro posizioni teologiche non possono essere corrispondenti agli insegnamenti di Swami Roberto che, ovviamente, loro non hanno potuto conoscere. »

Il dialogo è poi continuato ancora un po' ma, in questo mio riassunto,
per oggi mi fermo qui. Il seguito... alla prossima puntata :-)




SPIRITO UNICO
E IRRIPETIBILE

Dopo i miei primi « passi nel... “Purgatorio” », continua oggi il riassunto della mia “camminata” all'interno del concetto di purificazione post-mortem, provocato dalle domande di una signora interessata a conoscere il Pensiero spirituale di Anima Universale riguardo a questi argomenti.
Prima di raccontarvi sinteticamente questa continuazione, è necessario che in questa mia odierna pagina io apra una piccola parentesi biblica, riassuntiva di alcune informazioni che facevano già parte del bagaglio culturale della mia interlocutrice, ma che probabilmente alcuni di voi, lettori del mio diario, non conoscono.
La “breccia” biblica creatasi in direzione del concetto di purgatorio, è tradizionalmente individuata in un episodio che si trova nel veterotestamentario Secondo libro dei Maccabei, risalente all'incirca alla metà del II sec. a.C.
Nel 12° capitolo l'autore parla dell'avvenuta scoperta, sotto le tuniche dei soldati ebrei morti in battaglia, di alcuni idoletti protettivi, in evidente violazione del Decalogo di Mosè.
Al fine di poter “salvare” quei coraggiosi martiri per la patria, nei quali si era evidentemente insinuata una mentalità idolatrica, fu introdotta... racconta l'autore biblico... la prassi giudaica di suffragio e di espiazione per la remissione dei peccati dei defunti, alla quale si ricollegò la successiva tradizione cristiana-cattolica, che considerò queste pagine una testimonianza biblica dell'esistenza del Purgatorio.
A supporto di questa dottrina, la tradizione cristiana-cattolica inglobò poi anche due ulteriori passaggi neotestamentari:
Il primo nel Vangelo di Matteo - “Se qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro” (Mt.12,32)... per cui, deduceva per esempio Papa Gregorio I, “certe colpe possono essere rimesse in questo secolo, ma certe altre nel secolo futuro.
 
Il secondo passaggio si trova nella paolina prima Lettera ai Corinzi -  “Se l'opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. (1 Cor 3,15)
L'esatta definizione di questi termini, “secolo futuro” e “attraverso il fuoco”, si presta evidentemente a differenti interpretazioni, che si innestano comunque su un'idea di fondo:
Per la teologia cattolica nell'aldilà ci sono delle anime, staccate dal corpo, che hanno bisogno di perfezionare la loro purificazione morale e spirituale... al punto che è anche possibile pregare “in suffragio” per loro.

Dopo questa premessa storica, posso ora tornare al presente per continuare a raccontarvi il prosieguo del dialogo con la mia interlocutrice, che ad un certo punto ha preso ulteriore slancio quando lei mi ha letto un passaggio tratto da un'altra fotocopia che portava con sé, nella quale il cardinale Ravasi si riferisce all'idea di “reincarnazione”, ricordando come si sia tentato di farla... “concordare e coesistere con il messaggio cristiano, nella convinzione che essa si adatterebbe alla dottrina del purgatorio e non ostacolerebbe la verità della risurrezione finale: quest'ultima, infatti, riguarderebbe solo la forma definitiva di esistenza che l'uomo raggiunge al termine di un itinerario di crescita progressiva attraverso le differenti tappe delle reincarnazioni. (…) Il carattere irripetibile e «identitario» della persona umana e la compattezza intima ed esistenziale tra anima e corpo rendono difficilmente praticabile una concordanza tra le due concezioni”. (G.Ravasi, “Breve storia dell'anima”)

Quando, dopo aver letto queste parole, la signora mi ha chiesto quale fosse la mia opinione al riguardo, io ho cominciato con il dirle che l'espressione “difficilmente praticabile” pronunciata dalla voce cattolicamente autorevole del cardinale Ravasi, Presidente del Pontificio consiglio della cultura, alle mie orecchie suonava già come una onesta “ammissione”, nel senso che... pur parlando dalla sua posizione confessionale che ne fa ovviamente un "avversario" del concetto di reincarnazione... lui non ha potuto escluderla in modo categorico, perché evidentemente dal punto di vista teologico non ci sono ragioni sufficienti per farlo.
« Infatti - ho continuato - i due criteri di difficoltà paventati dal Card.Ravasi, ovvero “il carattere irripetibile e identitario della persona umana e la compattezza intima ed esistenziale tra anima e corpo”, che costituiscono le due obiezioni teologiche della sua fede cattolica al concetto di “reincarnazione”... trovano risposta tra l'altro nell'articolo intitolato "la posizione di alcuni teologi sul tema della reincarnazione" pubblicato nel bimestrale cattolico di divulgazione teologica "Credere oggi" a cui già feci riferimento nel mio post "senti chi parla" ».

Poi... ho aggiunto alcune mie ulteriori considerazioni, a partire dalla constatazione che solo facendo “di tutta l'erba un fascio”, come in questo specifico caso ha fatto il cardinale Ravasi, è possibile “ragionare” pensando che tutte le dottrine reincarnazioniste neghino il carattere irripetibile ed “identitario” della persona umana.

« Quel che è certo  – le ho detto ad un certo punto -  è che in quelle cui si riferisce il Cardinale non rientra il concetto cristiano-ramirico di reincarnazione, che la mia Chiesa concepisce come il viaggio evolutivo di uno spirito unico ed irripetibile che, di vita in vita, dismette l'abito-corpo al momento della morte fisica, per assumerne uno di nuovo al momento dell'eventuale successiva ri-nascita... con il mantenimento del "carattere irripetibile e identitario della persona umana"... in un processo di acquisizione di nuova consapevolezza attraverso le esperienze ».

Ho poi proseguito, facendo presente alla mia interlocutrice una "incongruenza" di fondo contenuta nel secondo criterio teologico "di difficoltà" paventato da mons.Ravasi, per il quale la reincarnazione sarebbe cristianamente inaccettabile perché presuppone l'esistenza dell'anima staccata dal corpo... e dunque nega "la compattezza intima ed esistenziale tra anima e corpo". 
Ho infatti ricordato alla mia interlocutrice che questa compattezza a cui il Cardinale fa riferimento, che è effettivamente negata dalle dottrine reincarnazioniste... era negata anche dagli esponenti di quella grande parte del cristianesimo primitivo che sono ricondotti dagli studiosi nell'espressione "platonismo cristiano", nel quale confluivano anche alcune posizioni teologiche del grande Agostino di Ippona, per fare soltanto uno tra i tanti esempi possibili.

« In sostanza - le ho detto in conclusione - se anche si volesse a tutti i costi ignorare questa fondamentale "tappa" storica del cristianesimo... al fine di sostenere che sono compatibili con il messaggio cristiano solo quelle concezioni che rispettano il principio  della compattezza intima ed esistenziale tra anima e corpo sostenuto dal cardinale Ravasi... allora bisognerebbe poi trarne anche una clamorosa conseguenza:
Bisognerebbe "espellere" dal Cristianesimo alcune delle concezioni teologiche filo-platoniche che storicamente sono state fondative della teologia cristiana evolutasi poi nei dogmi cristologici definiti nel corso della storia conciliare.
E poi, dulcis in fundo, bisognerebbe espellere dal cristianesimo anche la dottrina cattolica del purgatorio, che concepisce l'anima individuale impegnata ad affrontare uno stato di purgazione post-mortem nel quale è staccata dal corpo.
Si tratta, evidentemente, di un "corto-circuito" logico nel quale... a differenza del cardinale Ravasi...  non sono caduti i teologi menzionati dal bimestrale cattolico "Credere Oggi", alla quale ho fatto prima riferimento »

Giunti a questo punto, la signora in questione ha esaurito le sue questioni ed io... immagino con vostro sollievo :-)... ho finalmente terminato questa mia pagina.



P.S. : Appena sono rientrato nella mia stanza, mi sono però ricordato di un articolo che avevo letto tempo fa e che parlava proprio della dottrina del purgatorio, evidenziando il grave problema in cui incorre la teologia cattolica nel momento in cui respinge il concetto di reincarnazione perché non rispetta il "principio dell'unità radicale tra corpo e anima"... senza tener conto che questo principio non è rispettato neanche dalla dottrina cattolica del purgatorio, in relazione alla "situazione anomala dello stato temporaneo in cui esiste l'anima separata dal corpo".  
Per chi vuole fare qualche riflessione teologica in più, ecco uno stralcio dell'articolo del teologo gesuita John R.Sachs ("Risurrezione o reincarnazione? La dottrina cristiana sul purgatorio"), pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale di teologia "Concilium", nel volume intitolato "Reincarnazione o Resurrezione?", 5/1993:

« Non occorre pensare al purgatorio come a un luogo, né la chiesa ha definito la natura o la durata del castigo e/o della purgazione che comporta.
(...) per quanto insistano sull'unità radicale di corpo e anima, né la teologia tradizionale (tomista) né la dottrina ufficiale che ne dipende né altri approcci più moderni offrono tuttavia un'antropologia e una teologia della risurrezione che trattino in modo soddisfacente la questione della corporeità.
(...) Un grave problema per la teologia tomistica e per la comune dottrina della chiesa [cattolica], generalmente contrarie alla reincarnazione a motivo dell'unità radicale tra corpo e anima, è la situazione anomala dello stato temporaneo [purgatorio] in cui esiste l'anima separata dal corpo
(...) La maggioranza degli scrittori contemporanei asserisce che la corporeità e la continuità dell'identità corporea devono consistere in qualcosa di diverso dall'identità molecolare. Il che sembra evidente; molto meno evidente, però, è in che cosa precisamente debbano consistere ».

P.S. bis : E' a dir poco "eloquente" il fatto che... riguardo alla teorizzata "continuità dell'identità corporea"... i teologi cattolici ancora oggi non sappiano "in che cosa precisamente debba consistere"... ma che poi, allo stesso tempo, le idee teologiche di alcuni di loro diventino inspiegabilmente "chiarissime" nel giudicare a priori incompatibile con il messaggio cristiano qualsiasi dottrina reincarnazionista... e dunque anche la dottrina cristiana reincarnazionista di Anima Universale che loro, e lo posso dire con assoluta certezza, neppure conoscono. 

P.S. ter: A scanso di equivoci, ci tengo a sottolineare la mia grande stima per il cardinale Gianfranco Ravasi... che ho avuto modo di esprimergli anche attraverso una mail alla quale Lui ha risposto con squisita gentilezza.




DALLA FINE DI TUTTO...
ALLA VITA ETERNA

Nell'ultimo mese vi ho raccontato i “passi” nell'oltrevita scaturiti dalle domande di una persona che... partita dall'idea di non poter cristianamente prescindere dal concetto di "resurrezione del corpo"... ha poi "scoperto" nel cristianesimo-ramirico una prospettiva escatologica diversa.
Poiché ho riscontrato che il suo interrogativo iniziale era scaturito da un aspetto che lei dava per scontato... e che invece scontato non è... torno oggi sulla questione per metterne in luce un'ultima sfaccettatura e, per farlo, devo ripartire dalla “vita eterna”... un concetto comparso nella Bibbia “solo” nel corso del II° sec. a.C. dopo che per molti secoli la cultura ebraica aveva concepito un oltrevita in cui “i morti non vivranno più, le ombre non risorgeranno”(Is 26,14)
Anticamente, a Gerusalemme e dintorni si credeva infatti che nel "regno dei morti"... lo shéol... i defunti sarebbero finiti in un abisso oscuro, che per esempio nel libro biblico Qoèlet è così descritto:

"Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere." (Qo 3,20)...  
“I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto ormai è finito”.  
(Qo 9,5-6)

Non avendo la concezione di un “aldilà eterno” nel quale i "giusti" sarebbero stati al cospetto di Dio, gli ebrei pensavano che la giustizia divina intervenisse direttamente nelle vite degli uomini, ricompensando il bene e punendo il male da loro compiuto.
Però, di fronte all'osservazione che nella vita delle persone comuni spesso accadeva il contrario, ad un certo punto questa concezione fu messa in discussione, com'è testimoniato anche dalla biblica storia di Giobbe... il “giusto” che, anziché essere “premiato” da Dio, viene sottoposto nella sua vita ad ogni sorta di tribolazioni.
Fu dopo questa "crisi" della tradizionale "dottrina della retribuzione", che comparve nelle pagine bibliche un nuovo e rivoluzionario concetto:
Nel II° sec. a.C. fu infatti introdotta l'idea di un ritorno alla vita dei morti per il giudizio finale, in un cambiamento teologico che fu favorito, dicono gli studiosi, dalla necessità di incoraggiare i martiri ebrei vittime della persecuzione religiosa operata dal terribile dittatore seleucide Antioco IV Epifane.
L'espressione "vita eterna" apparve allora nel Libro di Daniele: “Molti di quanti dormono nella polvere si desteranno: gli uni alla vita eterna, gli altri all'ignominia perpetua” (Dan 12,2)... e poi anche nel II° Libro dei Maccabei, che prometteva la "vita nuova ed eterna" (II Mac 7,9) ad una madre martirizzata insieme ai suoi sette figli.

Questo riassunto alla “velocità della luce” permette dunque di chiarire come, dal punto di vista ebraico, questo concetto di “resurrezione dei morti alla fine dei tempi” divenne “biblico” solo in un'epoca tardiva, nell'imminenza dell'avvento dell'era cristiana.
Infatti... a differenza dei Farisei, che ci credevano, i Sadducei “affermano che non c'è resurrezione” (Mt 22,23).

E' in questo contesto che si inserisce il concetto di "vita eterna"... (di cui vi ho parlato nel post "Al di là della forma... e al di là del tempo")... che Gesu' ha predicato, e che le differenti dottrine cristiane sull'oltrevita hanno poi elaborato teologicamente in modi diversi.
Alcune di queste dottrine, in continuità con il concetto farisaico di "resurrezione dei morti alla fine dei tempi", prevedono una resurrezione di un non meglio precisato “corpo spirituale”, o “corpo incorruttibile”, o "corpo glorificato", o altro ancora e... nello specifico caso della teologia cattolica... si parla di resurrezione della "materia", destinata ad essere "trasfigurata" in una creazione rinnovata. 
Invece, altre dottrine cristiane... ed è il caso del cristianesimo ramirico... contemplano una resurrezione definitiva che riguarda solo l'individualità spirituale, che “ritorna” all'Eternità di Dio oltre lo spazio ed il tempo, interrompendo dunque ogni legame con la materia.

“Qualcuno” giudica questa seconda posizione come incompatibile con la tradizione cristiana... com'era il caso della signora che con le sue domande ha provocato questa mia serie di articoli “escatologici”... senonché, a questa obiezione io oggi "faccio" ulteriormente rispondere anche dallo stesso cardinale Ravasi, cioè dal punto di riferimento teologico della mia interlocutrice, trascrivendo una interessante domanda-risposta da lui pubblicata sull'argomento:

(Domanda) C'è una difficoltà che attraversa il mio pensiero e che mi spinge a ricalcare un tema che immagino Le sia stato spesso proposto: 
come si può adottare una categoria come “risurrezione della carne” (accanto a quella, a mio avviso più logica, di “anima immortale”), miscelando in tal modo materia e spirito, tempo ed eternità? Da qui si potrebbe procedere col rischiare di far “saltare” la stessa escatologia cristiana.
(Risposta del cardinale Ravasi) (...) se vogliamo selezionare i due modelli che hanno maggiormente influito sul pensiero occidentale, dovremmo appunto rimandare a quello ebraico-cristiano della risurrezione, collegato a un'antropologia unitaria “psico-fisica”, e a quello immortalistico greco, legato alla trascendenza dell'anima rispetto alla materialità finita e caduca.
In verità, la fede cristiana ha cercato di fondere questi due approcci, introducendo però l'elemento innovativo della risurrezione di Cristo che intreccia nell'umanità anche la divinità come sorgente di trasformazione della creaturalità. (…) Aveva ragione un teologo del calibro di Karl Rahner quando osservava che « espressioni come “l'anima continua a vivere dopo la morte”, “dopo la sua separazione dal corpo”, e quelle che parlano della “risurrezione del corpo” non indicano necessariamente realtà diverse, ma sono soltanto modelli di rappresentazione diversi per indicare la medesima cosa, e cioè la definitività della storia dell'uomo portata a termine ».
(Card.Ravasi,  "Questioni di fede")

Senza entrare nel merito di questa “fusione”, sulla quale i fedeli cattolici faranno ovviamente le loro valutazioni... io ho voluto comunque citare un estratto di questa risposta perché ammette una questione fondamentale e cioè, come dice giustamente il cardinale Ravasi, che “In verità, la fede cristiana ha cercato di fondere questi due approcci”... e dunque ammette che la dottrina dell'immortalità dell'anima, o immortalità dello spirito che dir si voglia, fa parte a pieno titolo della tradizione cristiana.

Al di là di ciò... quel che è certo è che, in relazione alla mia fede nell'oltrevita, io personalmente sono contento di non dover "fondere" alcunché:
Seguendo la dottrina escatologica del cristianesimo ramirico, posso infatti percorrere una via “diretta” verso la realtà di quella “vita eterna” che... proprio in quanto divinamente eterna... nel mio credo riguarda solo l'immortalità dello spirito, svincolato da ogni legame con i limiti materiali della corporeità. 




P.S. - Immaginando che qualcuno possa obiettare che il punto di riferimento teologico della mia interlocutrice, cioè il cardinale Ravasi, abbia qui espresso “solo” una sua personale opinione, non necessariamente rappresentativa della dottrina cattolica, cito allora anche un articolo del Catechismo cattolico che testualmente recita: “Con la morte, separazione dell'anima e del corpo, il corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato.” (Catechismo, art.997)
Io trovo che sia qui espressa, con estrema chiarezza, quella dottrina della “trascendenza dell'anima rispetto alla materialità finita e caduca” a cui faceva giustamente riferimento il cardinale Ravasi.
Pertanto, i cattolici fautori della “risurrezione dei corpi” che vorrebbero a tutti i costi escludere dal cristianesimo il principio dell' “autonomia” dell'anima immortale rispetto al corpo, dovrebbero piuttosto preoccuparsi di capire questo articolo del loro Catechismo che, evidentemente, mantiene in sé il tentativo di “fusione” di cui il cardinale parla nella sua sopracitata risposta.
Di certo... al di là della “confusione” di molti... rimane comunque irrisolto l'interrogativo di cosa si debba esattamente intendere con la cattolica espressione “corpo glorificato”.




SIAMO UNO

Il signore che ho incontrato oggi, era in disaccordo con un concetto emerso in alcuni dei miei ultimi post, nei quali ho parlato dell'individualità spirituale unica ed irripetibile dell'essere umano che... nella Conoscenza cristiana-ramirica... è eterna così come è Eterno Dio.
Subito dopo le presentazioni, questo mio odierno interlocutore mi ha esternato le sue perplessità riguardo a quella che lui ha definito una “divinizzazione” dell'essere umano, ed io ho iniziato a rispondergli dicendo che questo concetto era da intendere sul piano dell'essenza divina del nostro Sè che, al di là della condizione limitata in cui attualmente ci troviamo, è comunque di natura spirituale... così come Dio è Spirito Eterno.
Però, dopo pochi momenti, mi sono accorto che la via di quel dialogo che stavo introducendo per spiegare alcuni aspetti del mio Pensiero spirituale, oggi non era percorribile, perché il punto di vista del mio interlocutore era esclusivamente impostato sulle Scritture cristiane, fuori dalle quali lui non era disposto ad ascoltare ragioni.

Come non di rado mi capita di dover fare, ho allora adottato il suo stesso “linguaggio”, e sono partito da uno spunto fornitomi proprio da lui con la sua odierna obiezione, che mi ha fatto venire in mente la pagina di Giovanni nella quale “i Giudei” imputano a Gesù una “bestemmia” ben precisa: “perché tu, che sei uomo, ti fai Dio” (Gv 10,33).
« In quell'occasione - gli ho fatto notare - Gesù rispose alla maniera dei Rabbini, ovvero citando le parole del Salmista (Sal 82,6) “Non è scritto nella vostra legge: Io ho detto: siete dèi?”(Gv 10,34) ».

Ho poi continuato mettendo in evidenza come questa replica di Gesù si fondasse su un concetto chiaro come il sole, e cioè che il Salmo definisce degli uomini “dèi”“figli dell'Altissimo”, con la conseguenza che questa "divinità" e questa "figliolanza divina" competeva anche a Lui, che "il Padre ha consacrato e mandato nel mondo” (Gv 10,36).
“Sì... - ha subito puntualizzato il mio interlocutore - ma è ovvio che Gesù in quell'occasione ribadisse la sua divinità... Lui, che è Figlio di Dio, della stessa natura del Padre”.
« Certo – gli ho detto allora – ma non è altrettanto ovvio che Lui l'abbia fatto paragonando Sè stesso a degli esseri umani, rimarcando dunque nei loro confronti il “voi siete dèi”..."figli dell'Altissimo" già usato dal salmista ».

Mentre gli stavo dicendo queste cose, mi sono reso conto che attraverso questa porta “scritturistica” ero almeno riuscito ad aprire quel dialogo che prima sembrava precluso, e così ho potuto far notare al mio interlocutore una "corrispondenza" di questo versetto con un altro brano che si trova nel Vangelo, attraverso il quale Gesù ribadisce lo stesso concetto...

« L'accusa di blasfemia che i Giudei avevano rivolto a Gesù perché Lui, uomo, “si fa Dio”, è conseguente ad una Sua affermazione che molte edizioni bibliche scrivono “Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30), ma che l'evangelista ha invece scritto in modo diverso ».
Gli ho poi precisato che nella versione originale in greco del Vangelo, invece di "una cosa sola" c'è scritto siamo uno”... [ἐγὼ (io) καί (e) ὁ (il) Πατὴρ (Padre) ἕν (uno) ἐσμεν (siamo)]... e di fronte alla reazione del mio interlocutore, che tendeva a sminuire quella che lui definiva una "sottigliezza", che non alterava l'uguale significato delle due espressioni... gli ho fatto presente che non era così.
Per fargli cogliere la differenza, ho allora cominciato a parlargli del brano in cui, durante la preghiera che precede il Suo arresto, Gesù fa di nuovo uso della stessa espressione:
"Che tutti siano uno [ἵνα (che) πάντες (tutti) ἓν (uno) ὦσιν (siano)], come tu, Padre, in me e io in te, affinché siano anch'essi in noi” (Gv.17,21)...  una frase che purtroppo viene anch'essa alterata in molte traduzioni bibliche, che la traducono in modo impreciso "Che tutti siano una sola cosa".
Gli ho poi fatto notare l'importanza di queste parole di Gesù che, in relazione al nostro discorso di oggi, assumono il significato di una "conferma".
« Dicendo di Sè stesso e del Padre "siamo uno", Gesù non stava semplicemente affermando che Lui era unito a Dio, quanto invece che Lui è Dio come il Padre - ho sottolineato - ed evidentemente è significativo che Lui abbia poi riutilizzato l'espressione "che tutti siano uno" in riferimento agli esseri umani ».
Poiché le successive considerazioni del mio interlocutore erano volte a sostenere che quelle espressioni usate da Gesù potessero comunque avere un significato meno "sostanziale", gli ho ricordato come, nella cultura ebraica di quel tempo, fosse possibile essere chiamati "figli di Dio" secondo il principio che chi obbediva alla Volontà di Dio, diventava Suo figlio...  nel senso che si univa alla Sua Realtà divina.

« Pertanto - ho poi aggiunto - se Gesu' si fosse espresso nei termini di una Sua semplice unione a Dio... il problema di "blasfemia" sollevato dai Giudei non si sarebbe creato.
Invece, Gesù ha detto una cosa ben diversa... "Io e il Padre siamo Uno"... affermando cioè in modo chiaro la Sua divinità, tant'è vero che proprio per questo  i Giudei Lo hanno accusato "Tu ti fai Dio"(Gv 10,33)... altrimenti non avrebbero avuto ragione di imputargli di aver pronunciato "una bestemmia" (Gv 10,33).
Per conseguenza, è assolutamente significativo che poi Gesù abbia fatto uso della stessa espressione anche in riferimento agli esseri umani, che in precedenza aveva peraltro già definito "dèi", citando le parole del salmista ».

Questa mia "lettura" evangelica ha ottenuto l'effetto di far "sgonfiare" l'iniziale obiezione del mio interlocutore, e in men che non si dica il nostro incontro si è concluso.
Mentre mi salutava, si è ripromesso di rifletterci un po' su, ma in ogni caso... quel che è certo è che adesso lui ha degli elementi in più per sperimentare quell'evangelico principio di cui già vi parlai nel post « Questioni di... "come" »... e che è ricordato da queste parole di Gesu' : “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?” (Lc 10,26).




 AL « SETTIMO CIELO »

« Finché percepisci Dio fuori di te 

sei separato da Lui,
ovvero dal tuo Sé interiore, 

e predominano i tuoi sensi.
Se Lo percepirai dentro di te, 

potrai dire:
“Io e Dio siamo Uno”.
E quando il tuo “io” finirà di dominarti, ci sarà Dio
».
       (Swami Roberto)


In aggiunta alle persone che possono avere difficoltà a comprendere il concetto di cui vi ho parlato nel post “siamo Uno”... ovvero l'individualità spirituale eterna e dunque divina dell'essere umano... ci sono poi anche quelle che vivono la difficoltà ricordata da queste parole di Swami, e si sentono "separate" da Dio.
Proprio il significato della parola "separare"... [dal latino “se” (dividere) – “parare” (appaiare), ovvero “dividere ciò che prima era pari”]... può accomunare le persone inclini a sentirsi "separate" da Dio, a quelle che rifiutano l'idea di essere spiritualmente “pari” a Lui... ed oggi io penso a come, le une come le altre, siano in fondo orientate verso quella mentalità religiosa che venne radicalmente contraddetta dal messaggio di Gesù.
Infatti il Cristo... annunciando all'umanità la "buona novella" del Padre Nostro che ci ama come Suoi figli... auspicava che "tutti siano uno; come tu, Padre, sei in me e io in Te, siano anch'essi in noi"(Gv 17,21)... ma questo Suo insegnamento, com'è noto, fu aspramente contrastato dalle autorità giudaiche, le quali insegnavano invece che Dio, nella Sua trascendenza, era lontanissimo dall'essere umano.
Questa mentalità religiosa era peraltro talmente radicata, che lo stesso "araldo" cristiano Paolo di Tarso ne lasciò traccia nei suoi scritti, come quando descrisse una sua esperienza mistica dicendo di essere stato "rapito fino al terzo cielo" (2Cor 12,2)... laddove la teologia rabbinica dell'epoca collocava Dio nell'inaccessibile "settimo cielo".

Tanto per farsi un'idea di cosa ciò volesse dire... il Talmud “misurava” la distanza tra uno e l'altro di questi "cieli" con ben 500 anni di cammino... per cui si credeva che l'Onnipotente Signore si trovasse ad una distanza corrispondente ad un viaggio di 3500 anni.
E' questo il contesto culturale-religioso nel quale si inserisce la “bestemmia” imputata dai Giudei a Gesù: “tu che sei uomo, ti fai Dio” (Gv 10,33)... e, a ben pensarci, si tratta in fondo della stessa imputazione rivolta oggi alla dottrina antropologica del Cristianesimo ramirico, "rea" di affermare l'essenza spirituale divina dell'essere umano.
Corsi e ricorsi... così come ai tempi di Gesù le autorità religiose giudaiche, per salvaguardare il loro potere di "concedere" il "sacro", avevano tutto l'interesse a mantenere  un “fossato” invalicabile tra Dio e l'umanità... anche ai giorni nostri non mancano coloro che hanno un "religioso" interesse a coltivare questa cultura della "separazione" ma... grazie a Dio... ieri come oggi c'è anche “Chi”, invece, è nato per guidare spiritualmente “al settimo cielo” quanti Lo hanno riconosciuto come il loro Maestro.

« Sono venuto su questa Terra per richiamare le genti alla verità della propria origine divina: lo spirito… 
l’essere eterni.
Il mio messaggio è semplice ma molto difficile da comprendere per chi è legato ad un Dio fatto di schemi, abitudini, tradizioni... 

e contraddizioni ».
       (Swami Roberto) 




IN PRINCIPIO

Tra i concetti religiosi che in occidente sono più largamente condivisi, ce n'è uno che è “vecchio come il mondo”, ed è presente trasversalmente nelle tradizioni ebraica, cristiana ed islamica:
Mi riferisco all'idea che il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe abbia “creato” l'universo nel quale ci troviamo.
Anche se, nel corso dei secoli, lo sviluppo della scienza ha costretto le religioni bibliche a revisionare le antiche dottrine cosmologiche, scaturite da una interpretazione letterale delle prime pagine della Genesi... è comunque rimasto fondamentalmente “al suo posto” il concetto della divina “creazione” che, per esempio, non ha difficoltà oggi a “convivere” con uno dei pilastri della biologia moderna... la teoria scientifica dell' "evoluzione delle specie"... perché lo sguardo religioso attribuisce in ogni caso alla Volontà di Dio quell'iniziale “impulso” che portò la primordiale forma di vita ad esistere e poi ad evolversi.
Ciò non toglie che, ovviamente, l'argomento-creazione possa essere osservato religiosamente da differenti punti di vista, compreso quello peculiare del Cristianesimo ramirico... di cui già iniziai a parlarvi nel post “il tempo passa, noi no”.
In quell'occasione, misi tra l'altro in evidenza come molte persone ignorino che:
Il concetto di “creazione dal nulla” (creatio ex nihilo) è estraneo all'antica cultura biblica, tant'è vero che nei primi versetti della Genesi si trova 7 volte il verbo ebraico bara', che è traducibile con “creare”, ma nel senso di "trasformare" una materia “grezza” preesistente...
E poi, la creazione dal nulla è estranea anche alla logica del pensiero filosofico greco, che tenne sempre fede all'originale idea eleatica rissumibile nella frase in latino ex nihilo nihil fit (“nulla viene dal nulla”).

Riparto oggi da qui per evidenziare come, all'insaputa di molti, le prime "tracce" di questo concetto... estraneo alla Genesi ed estraneo alla logica filosofica greca... siano comparse durante il II° secolo a.C. quando, nel 2° Libro dei Maccabei, venne scritto “Dio ha fatto il cielo e la terra e quanto è in essi non da cose preesistenti e tale è anche l'origine del genere umano”(2 Mac 7,28).
Queste parole si trovano in un Libro che, è bene ricordarlo, non fa parte della Bibbia Ebraica e viene considerato apocrifo dal Cristianesimo protestante... e divennero poi oggetto di una elaborazione teologica che prese “a prestito” dalla filosofia il concetto astratto di nulla(estraneo alla cultura biblica)... per “creare” il nuovo concetto di “creazione dal nulla”.

Riassumendo la questione: molti oggi considerano religiosamente scontata la "creazione dal nulla"... ma questo concetto nulla ha a che fare con la razionalità filosofica greca, e nulla ha a che fare con la fede espressa nell'antica visione biblica delle origini dell'universo.

Non di rado, quando mi trovo a parlare di questi argomenti con le persone interessate ad approfondire la divina Conoscenza del Cristianesimo ramirico, mi trovo di fronte a qualcuno che si sorprende di ciò che Swami Roberto insegna riguardo alla creazione, proprio perché... prima di incontrare Anima Universale... erano abituate a considerare la creazione dal nulla come uno dei classici concetti “fuori discussione”.

Quando scoprono che non è così, si aprono davanti a loro nuovi orizzonti di consapevolezza spirituale, che stamattina stavo ripercorrendo leggendo il libro “Ascoltando il Maestro” dal quale, all'interno di un insegnamento più ampio, ho estratto questo passaggio:

“Dio non crea... ma partorisce la Creazione, che è un concetto ben differente: significa che Egli manifesta ciò che è sempre esistito in Lui. (…) Una volta che avrete compreso come nella Mente di Dio tutto eternamente sussiste, capirete che anche voi esistete da sempre come Lui…
(Swami Roberto, "Ascoltando il Maestro", Vol.1 pag.118-119)

Queste parole di Swami sintetizzano uno dei  passaggi che normalmente “spiazzano” chi ancora non conosce la teologia cristiana-ramirica relativamente a questi temi e, mentre oggi le rileggevo, mi è tornata in mente una “chiave” che usai in un incontro di qualche anno fa.
Mi ricordo che la persona di fronte a me, a causa della sua formazione religiosa tradizionale, non accettava il concetto della “creazione” intesa come “parto” di ciò che da sempre è in Dio, fin quando io non iniziai a citare l'incipit del prologo di Giovanni:
“In principio era il Verbo e il verbo era presso Dio e Dio era il Verbo. Questi era in principio presso Dio. Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto nulla di cio' che è stato fatto”.(Gv 1,1-3)

In quell'occasione le sottolineai come l'espressione In principio era il Verbo” (in greco “ēn archē ho ὁ Logos”)(Giov 1,1)... con la quale inizia il Vangelo di Giovanni... richiama le parole In principio Dio creò” (in ebraico “bereshit bara' Elohim”)(Gen 1,1) con le quali inizia la Genesi... e poi misi in evidenza l'impatto di quei versetti evangelici.
Infatti, le spiegai che con quelle parole Giovanni corresse teologicamente la Bibbia ebraica, dicendo che prima della “creazione” del cielo e della terra (che oltretutto, come ho detto prima, il verbo ebraico bara' designa in realtà come una “trasformazione")... “in principio” c'era già il Verbo, ovvero il Cristo, che non è stato creato perché da sempre già esisteva... Eterno della stessa Eternità di Dio... preesistente alla "creazione" dell'universo spazio-temporale.

Dal momento che, scrive l'evangelista, sin dall' “archē”, ovvero dal principio al di là del tempo, il Logos-Cristo era presso Dio... e “tutto per mezzo di lui (il Logos) fu fatto”(Gv 1,3) … allora è lo stesso Giovanni a parlarci della preesistenza ideale del creato "in mente Dei"... ovvero nel Logos coeterno al Padre.
In questa prospettiva teologica, con la "creazione" Dio ha reso manifesto ciò che era già, "in potenza",  nel Suo Logos... ed ha così "partorito" l’universo.

Sono dunque le parole del Prologo di Giovanni a indirizzare verso quel piano concettuale nel quale già abbiamo incontrato le parole di Swami Roberto, che ci parla della "creazione" dicendoci
“Egli (Dio) manifesta ciò che è sempre esistito in Lui”.

Mi ricordo che fu questo il passaggio grazie al quale il mio interlocutore... che evidentemente aveva bisogno di trovare un riscontro nelle Scritture... cominciò ad "avvicinarsi" alle parole di Swami Roberto che avevano suscitato i suoi interrogativi, e che oggi vi ho ricordato

Immaginando che a qualcuno questa mia pagina possa sembrare un po' complicata, adesso mi faccio perdonare... “salvandomi” :-) con un pensiero del Maestro.


"Dio non crea dal nulla... È il Tutto.
Dio non crea lo spazio... È Onnipresente.
Dio non crea il futuro... È Onnisciente.
Dio non crea il tempo... È Eterno Presente.
Dio non crea la Vita. È Vita.
Dio non crea l'Amore. È Amore.
Dio non crea la Luce. È Luce.
Dio non crea l'uomo. È UNO.
Dio crea per te la libertà... È Onnipotente.
       (Swami Roberto) 


E riguardo a questo UNO... per chi vuole riflettere ancora un po' suggerisco una "passeggiata" nei miei post "Siamo Uno" e "Al settimo cielo".



CRISTO... VITA COSMICA

Il dialogo che vi riassumo oggi è nato dal libro “Ascoltando il Maestro”, che il giovane universitario già incontrato qualche mese fa... (vedi il post « Questione di...  "come" »)...  ha portato con sé, chiedendomi di parlargli di una questione ben precisa.
Dopo avermi letto, all'interno di un discorso di Swami, una breve frase « Cristo è la vita incarnata in te, per te e con te »... lui mi ha chiesto alcuni chiarimenti riguardo a questo concetto... "Cristo è la vita"... che, nei termini da me espressi nell'articolo “l'ex anello mancante”, gli è sembrato un po' “fuori dalle righe” rispetto alle sue concezioni teologiche cristiane.
Ad un certo punto mi ha detto: « Il concetto di Cristo-preesistente a cui lei ha fatto riferimento parlando del Lógos del Vangelo di Giovanni (vedi il post "in principio")... io personalmente faccio fatica a collegarlo con l'altro concetto che emerge dal vostro Pensiero spirituale, ovvero quel "Cristo cosmico" che voi identificate nella Vita presente ovunque in questa dimensione... in ogni essere vivente ».
Dopo che alcune sue ulteriori considerazioni mi hanno fatto anche capire che lui interpretava questa nostra concezione come una sorta di “deviazione-panteista” (dal gr. pân ‘tutto’ e theós ‘Dio’) rispetto al cristianesimo secondo lui “ortodosso”... ho iniziato a rispondergli collegandomi alla sua citazione del Lógos di Giovanni, e dicendogli: « Guardi che è stato proprio questo evangelista ad attribuire a Cristo il respiro “cosmico” a cui lei fa riferimento »...

Per spiegargli cosa intendevo dire, ho cominciato a parlargli di alcuni aspetti introduttivi... dei quali lui era peraltro già al corrente... ovvero il fatto che il vocabolo Lógos (Verbo-parola) richiama il concetto religioso dell'ebraica “Dabar Yahvè”, cioè la Parola di Dio che portò ogni cosa all'esistenza (Gen.1)... e anche il concetto giudaico di "Sapienza divina" (Hokmah), la cui “personificazione” operata dagli autori biblici (per es. Pv 8,22-31; Sir 24,1-22)... fu tra l'altro considerata, da parte dei primi teologi cristiani, una veterotestamentaria anticipazione della “persona” Cristo-Lógos della successiva teologia trinitaria.

Poi... siamo finalmente arrivati al "nocciolo" della questione, quando gli ho evidenziato un fondamentale aspetto che a lui era sfuggito:
« Usando appositamente il termine greco Lógos - gli ho detto ad un certo punto - l'evangelista ha voluto richiamare anche il significato attribuito a questo termine dai filosofi stoici... che lo concepivano come il principio divino che governa il cosmo, nella forma di un soffio igneo e razionale che penetra in tutti gli elementi dell'universo e che dà loro movimento e vita. A questa dottrina fa allusione il discorso tenuto da Paolo di Tarso(At 17,28) all'Areopago... ed è su queste basi che i primi Padri cristiani apologisti (Giustino, Clemente Alessandrino) svilupparono la loro teologia del Lógos» 
(cfr. voce "Logos" su “Dictionnaire des religions”, diretto dal card.Paul Poupard, Paris, PUF, 1993)

Gli ho poi sottolineato che questo concetto stoico di "Lógos-cosmico"... che viene considerato dagli studiosi una sorta di panteismo... è stato dunque introdotto nella teologia cristologica proprio a seguito del fatto che l'evangelista Giovanni ha appositamente utilizzato questo vocabolo, ponendolo addirittura nelle "fondamenta" del suo Vangelo.
Mentre gli dicevo queste cose, mi è tornato in mente uno dei miei « pensieri... "a caldo" » dello scorso giugno, relativi allo stesso tema, e così ho invitato il mio interlocutore ad approfittare del suo smarthphone per andare a leggerlo on-line sul mio diario.
Non appena mi ha fatto vedere la videata della pagina in questione, gli ho indicato il passaggio in cui misi in evidenza come... seppur con molto ritardo rispetto a ciò che Swami Roberto insegna sin da bambino... Papa Francesco ha affermato nella sua enciclica: « I Vescovi del Brasile hanno messo in rilievo che tutta la natura, oltre a manifestare Dio, è luogo della sua presenza. In ogni creatura abita il suo Spirito vivificante che ci chiama a una relazione con Lui ».

« In effetti - mi fa lui - queste parole sembrano avere il "sapore" di una ventata di  cattolico "aggiornamento teologico" »...
« Solo il tempo dirà quanto veramente lo siano - gli ho allora risposto - nella misura in cui si "tradurranno" anche nelle conseguenti correzioni dottrinali che... a quel punto... diventerebbero un vaticano adeguamento ad uno dei concetti che da sempre fanno parte delle "fondamenta" teologiche della mia Chiesa ».

Nel prosieguo del nostro dialogo, ho fra l'altro evidenziato al mio interlocutore che il Pensiero spirituale di Anima Universale trae origine dalla Conoscenza innata in Swami Roberto e dunque, solo approfondendo i Suoi insegnamenti lui avrebbe avuto a disposizione maggiori elementi per comprendere appieno la nostra concezione di Cristo-Vita.
« Però – gli ho detto ad un certo punto – visto che siamo in argomento, io voglio farle notare anche un ulteriore passaggio delle Scritture che, nel frattempo, può aiutarla a riflettere ancora un po'».
Gli ho così evidenziato un altro dei tre punti neotestamentari nei quali Giovanni usa il termine Lógos, e precisamente la sua prima lettera... che inizia con le parole “Colui che era fin dal principio (cioè) il Verbo della Vita”(1Gv1,1)... e poi, nel secondo versetto, continua : "La vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza”.(1Gv1,2)

Dopo aver osservato come queste parole fossero assai significative in rapporto al nostro discorso odierno, ho salutato il mio interlocutore... ma adesso lo richiamo in causa per fargli concludere la mia pagina:
Qui di seguito trascrivo infatti il passaggio che lui aveva "incorniciato" a matita nella pagina del suo "Ascoltando il Maestro".

« L’azione suprema dell’Amore consiste nel riconoscere il Cristo, 
in qualsiasi forma Lui si presenti a voi. 
Se Lo amate, vi rendete conto dei suoi provvidenziali interventi nella vostra esistenza e riconoscete la Parola di Dio, il Verbo, 
Colui che parla come eco del Pensiero del Padre, 
l’Unto del Signore ».
(Swami Roberto, Asc.Maestro.Vol.II Pag.159)




NELLA "GROTTA" DEL MIO NATALE

La frase biblica che più di ogni altra esprime il “cuore” teologico del Natale di Cristo, è incastonata come una perla nel "cuore" del prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18)... e brilla attraverso queste celebri parole che aprono il 14° versetto:

"E il Verbo si fece carne" (Gv 1,14)

L'incarnazione... ci dice Giovanni... è il Natale del Logos, che in Gesù si fa "Figlio dell'uomo" riunendo in Sé la Trascendenza e l'immanenza... per manifestare all'umanità quella “Parola del nostro Dio [che] dura per sempre”(Is.40,8) già profetizzata sin dai tempi di Isaia.
Per descrivere questo Natale del Verbo, l'evangelista continua poi con le parole "e mise la sua tenda (in greco eskēnosēn) in mezzo a noi"(Gv 1,14) e questa espressione... unita al fatto che il versetto che sto leggendo è il 14° del Vangelo di Giovanni... mi fa tornare oggi in mente ciò che già vi raccontai nel post “mise la sua tenda in mezzo a noi” : la tenda di Anima Universale fu il luogo sacro nel quale io vissi le funzioni liturgiche che caratterizzarono l'anno "natale" della mia vita religiosa, e furono celebrate sotto i suoi teli proprio per 14 anni.

Il richiamo a questa mia personale esperienza si fa ancora più forte quando poi leggo il prosieguo del versetto... "e abbiamo contemplato la sua gloria"(Gv 1,14).
Guarda caso... il mio Maestro spirituale si chiama Roberto... [dal gotico “hruod” (gloria) e “bert” (splendente)] e, proprio grazie agli insegnamenti della Sua Divina Conoscenza io oggi posso celebrare con gioia piena il Natale di Cristo, cioè di Colui che ha in Sé... scrive sempre Giovanni...   
"[la] gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità"(Gv 1,14)


Dopo aver completato la lettura di questo 14° versetto... che parla dell'incorporazione del Verbo-Cristo... mi soffermo per qualche momento sul verbo greco eskēnosēn ("mise la sua tenda"), con il quale Giovanni esprime il "Natale" di Gesù "in mezzo a noi" scegliendo appositamente una parola che... mediante la radice letterale s k n... unisce la "tenda" (in greco skēnē) in cui gli Ebrei incontrarono il Signore durante la loro peregrinazione nel deserto... e la presenza di Dio (shekina) nel Tempio che Cristo stesso diventa, per quanti riconoscono il Suo divino Natale.

Ebbene... un'immagine figurata di queste parole dell'evangelista io la ritrovo nel presente della mia vita pensando a come il mio incontro liturgico con la "presenza di Dio" (in ebraico "shekina") si svolga nel Tempio che... idealmente... "incorpora" la Tenda (in greco "skēnē") che precedentemente esisteva su quello stesso Luogo Sacro, e non solo...
Poiché l'ebraico richiama  l'Antico Testamento, ed il greco richiama invece quello Nuovo...  gli occhi della mia fede mi permettono ora di vedere questo 14° versetto del Vangelo di Giovanni anche come una sorta di "indice" puntato verso la "culla" del di' natale di Swami Roberto che... come vi ho raccontato nel post "Lente di ingrandimento sul 9 aprile"... è nato nel giorno in cui si sovrappongono le coordinate pasquali dell'Antico e del Nuovo Testamento, per esprimere il messaggio del cristianesimo ramirico... che ha fatto "nascere" Cristo nella mia interiorità.

Ecco... nell'atmosfera da “fiocchi di neve” che tradizionalmente avvolge questi giorni... io adesso posso augurare Buon Natale a tutti... proprio con questo “fioccare” di divine “Coincidenze”.

E a voi, cristiani ramirici che mi leggete... auguro di trasportare ciascuno di questi “fiocchi” nella “grotta” del vostro cuore... affinché possiate farli sciogliere con il calore del vostro amore trasformandoli così nella consapevolezza del privilegio che avete... anzi, che abbiamo... di poter celebrare il Natale... l'incarnazione di Cristo... nella "Grotta" di Anima Universale.
Buon Natale a tutti noi


P.S. - Quanti vogliono ripercorrere il mio personale "Avvento"... possono cimentarsi sulla "pista" :-) che ho tracciato nei miei post "In principio" e "Cristo... vita cosmica"...





INCARNAZIONE DIVINA

Anche quest'anno le celebrazioni del Natale hanno ricordato all'umanità cristiana che il “Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14).
Poiché mi trovo ancora nei pressi della “Grotta del mio Natale”, nella quale ho osservato da vicino questa nascita divina, porto ancora nei miei pensieri la pagina del Vangelo in cui Giovanni non ha scritto, come avrebbe potuto, “il Verbo si è fatto uomo”... ma ha invece usato appositamente il vocabolo “carne” (in greco sárx), per indicare proprio il limite umano che il Cristo ha assunto su di Sé nascendo in questa dimensione.
Ciò che per la nostra mentalità razionale è il paradosso supremo, vale a dire il Verbo Eterno che nasce nella fragile caducità di un'esistenza umana, è invece la suprema espressione di quell'Amore divino che ci aiuta con la Sua Onnipotenza... ovvero con il Miracolo divino che trascende le leggi della natura... ma poi anche nascendo nell'immanenza, per "incarnare" il modello di un'esistenza umana vissuta in modo divino, che si mostra ai credenti quale esempio di amore in azione.

Questo modello non va poi guardato solo "da lontano"... perché il Natale di Cristo può e deve essere riconosciuto anche nella "grotta" costituita dall'ovunque di questa dimensione, dove in ogni momento la Vita divina nasce nella "culla" costituita da ogni essere vivente.
E' con questa consapevolezza che io vivo l'incessante Natale di Cristo nell'uomo...

« Non sei solo! 
Cristo è la vita incarnata in te, per te e con te, e se riesci a comprenderlo non potrai mai più permetterti di sprecare il tuo ed il suo tempo in questo ciclo vitale. »
(Swami Roberto, Ascoltando Maestro, vol.2 pag.250)



L'EPIFANIA UNIVERSALE DELLA LUCE

Tra i simboli che, nelle differenti tradizioni religiose, sono da sempre associati alla Realtà divina, ce n'è uno che è contenuto proprio nella parola “Dio”.
Mi riferisco alla “luce”, che è custodita nella radice indoeuropea div (che significa "luminoso, splendente") la quale... passando per il termine latino “deus”... diventa per esempio Dio in italiano, Dieu in francese, Dios in spagnolo... ecc.
In generale, nelle varie religioni, la luce è un simbolo divino trasversale e, per quanto riguarda le scritture cristiane, è soprattutto l'evangelista Giovanni ad assumerlo e ad attribuirgli una grande ricchezza di significato.
Lui infatti scrive che il Logos-Cristo è la “Luce vera, che illumina ogni uomo”(Gv 1,9) precisando che “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno compresa”(Gv 1,5), come scrivono alcune traduzioni bibliche... oppure “non l'hanno vinta”, come scrivono altre... in una bivalenza di significato resa possibile dal termine greco “katelaben”(Gv 1,5).

In particolare... la seconda accezione di questo termine... "non l'hanno vinta" [la luce]... mi fa oggi pensare al fatto che l'atavico dualismo tra Luce e tenebre non è una “lotta”, come molti sono soliti pensare...
Si tratta invece di un'alternativa inconciliabile, nel senso che quando la Luce è presente, le tenebre sono automaticamente vinte... com'è possibile constatare anche dall'esperienza fisica, nella quale l'oscurità può essere “presente” solo se la Luce è “assente”.

E poiché la Luce divina di per Sé è costantemente presente nel Cristo-Vita, che permea l'ovunque di questa dimensione... a fare la differenza, nel bene o ahimè nel male, è sempre e solo la libertà dell'essere umano che può accogliere... oppure no... l'Epifania della Luce divina nella sua vita.

Inoltre, proprio per il fatto che la Luce divina è un simbolo religioso "trasversale", è possibile ritrovare il principio dell'Epifania della Luce anche in altri "orizzonti" di fede, come per esempio nel mantra più famoso dei Veda, la Gāyatrī(Ṛgveda III,62,10), nota anche come la “Madre dei Veda” (Atharva-veda XIX,71,1)... che il filosofo, teologo e sacerdote cattolico Raimun Panikkar traduce cosi':

« OM bhūr bhuvaḥ svaḥ
tat saviturvareṇyaṃ                   Meditiamo sullo splendore glorioso   
bhargho devasya dhīmahi          del divino Vivificatore,
dhiyo yo naḥ pracodayāt            possa Egli illuminare le nostre menti
OM bhūr bhuvaḥ svaḥ »
(Ṛ.Panikkar, I Veda, Ed.Rizzoli 2001, pag.51 )

Oggi... posso dunque pensare all'Epifania di Gesù sentendomi idealmente vicino a quei fedeli, nelle differenti religioni, che celebrano anch'essi la manifestazione universale della Luce divina












IL MIO AMEN

Stamattina ho aperto il Vangelo di Marco e, cercando le prime parole attribuite a Gesù, le ho incontrate al versetto 1,15... trascritte così: “il tempo è compiuto e il regno di Dio è giunto: convertitevi e credete al Vangelo”.
Nel momento in cui le ha pronunciate, ovviamente Lui non si riferiva ai Testi dei Vangeli... che a quel tempo ancora non esistevano e che gli evangelisti avrebbero scritto solo alcuni decenni dopo...
Con il termine Vangelo, Gesù intendeva la "Buona Novella" dei Suoi insegnamenti, per i quali chiedeva ai Suoi discepoli un credo-fiducia che avrebbe consentito loro di "convertirsi", cioè di cambiare radicalmente vita.
A questo riguardo, la frequente traduzione "credete al Vangelo" non corrisponde esattamente all'espressione greca usata da Marco (pisteuete en tō euangeliō)... la quale, più precisamente, dovrebbe infatti essere tradotta “credete nel Vangelo”... oppure “credete sul Vangelo”... e questa differenza è decisiva, perché permette di accedere a tutt'altro universo di fede.
Infatti... il concetto biblico-semitico a cui l'evangelista allude non è quello di “credere a” una determinata realtà... bensì quello di “credere fondandosi su” qualcosa, o qualcuno, com'è nella natura del verbo ebraico ’āman ("credere"), e del sostantivo derivato ’emunah ("fede")... che esprimono entrambi il concetto di "stabilità,  solidità, sicurezza" contenuto nella radice consonantica ebraica "mn"... presente anche nella parola “amen” con il significato di “veramente”, “così è”.


Si può allora comprendere che il significato del “credere” che Cristo ha chiesto ai Suoi discepoli sin dall'origine, non è soltanto un credo di “adesione” ma... ben di più... un credere inteso come la pienezza di fiducia riposta su di Lui e sul Suo messaggio, sul quale poggiare in toto la propria esistenza.

Nella mia vita... l'ingresso nella dimensione di questa Fede con la F maiuscola è avvenuto quando ho incontrato il Cristianesimo ramirico e, con esso, gli elementi di consapevolezza che mi hanno permesso di passare dal credere "a" Dio... al credere "in" e "su" di Lui.

E' stato allora che, avendo trovato la Chiesa sulla quale poter ricostruire dalle fondamenta la mia Fede, è nata la vocazione che mi ha portato... il 12 gennaio di 19 anni fa... a consacrarmi Ramia di Anima Universale.
Questo... è il mio Amen.

Gloria al Signore, Alleluia!



OCCHIO AL PRESENTE

Stamattina, osservando l'immagine di questo celebre dipinto del Beato angelico, che raffigura l'angelo Gabriele durante "l'annunciazione" a Maria, mi è tornata in mente una parabola del giudaismo chassidico che vede protagonista lo stesso angelo, e che dice così:
« L'angelo Gabriele fu mandato da Dio per far dono della vita eterna a chi avesse un momento di tempo per riceverlo. 
E l'angelo si mise per le strade del mondo. 
Ma, dopo aver percorso molte strade, tornò indietro e disse a Dio. 
“Avevano tutti chi un piede nel passato, chi un piede nel futuro. Non ho trovato nessuno che avesse tempo” ».
Intesa nel suo significato più tradizionale, questa parabola ci parla del “pericolo” che incombe su ogni umana esistenza: lasciarsi "schiacciare" tra il passato che pure è già trascorso, ed il futuro che deve ancora sopraggiungere... soffocando quel presente che allora "non ha più tempo" di accogliere il dono della vita eterna.

Al di là di tale significato... io oggi leggo questa parabola giudaica dal mio personale punto di osservazione... e penso a come, sul piano della manifestazione temporale, il presente sia per ciascuno di noi un tempo ancora più "evanescente" del passato, che almeno esiste nella nostra memoria... e del futuro, che almeno esiste nella nostra immaginazione... poiché è impossibile per noi "fissare" il momento preciso del presente... che non sia già nel passato... o non sia ancora nel futuro.

Questo aspetto della realtà veniva per esempio rappresentato nell'antico pantheon romano da Ianus, la divinità bifronte... con i due volti visibili rivolti al passato e al futuro... e la cui vera "identità" si trovava nell' "inafferrabile" presente costituito dal suo invisibile "terzo volto", che ne faceva la "porta" temporale... in latino ianua... alla quale si deve tra l'altro il nome gennaio (in lat. ianuarius), che è infatti la "porta" tra l'anno vecchio e quello nuovo.
Quest'antica idea del presente inteso quale porta invisibile... oltre a ricordarmi "en passant" il simbolismo induista dell'invisibile "terzo occhio" di Shiva, che tra l'altro distrugge ogni illusoria manifestazione del divenire mutando la successione temporale nella "simultaneità" del presente eterno... mi spinge oggi a compiere un ulteriore "balzo", anche teologico, fino al mio presente religioso, dal quale fa capolino nei miei pensieri un brano tratto da un insegnamento di Swami:

« L’inconscio è la sede della Conoscenza, ed è la porta
attraverso la quale potrete scoprire la Verità, 
affinché tutto si
rivesta di Coscienza.
Simbolicamente l’inconscio 
è il “terzo occhio”
che la tradizione religiosa orientale identifica con il chakra posto un po’ al di sopra delle sopracciglia, nel centro della fronte ».
       (Swami Roberto, “Ascoltando il Maestro”, Vol.1, pag.62)

Anche il "passaggio" di cui parla Swami... costituito dalla Verità della Conoscenza che riemerge dal nostro inconscio "affinché tutto si rivesta di Coscienza"... avviene attraverso una "porta" invisibile, quella del nostro "terzo occhio" spirituale, grazie al quale il nostro presente, anziché rimanere infruttuosamente "schiacciato" tra il passato ed il futuro, ha cosi' "il tempo" di accogliere quel dono di "Vita eterna" di cui parla anche la parabola del giudaismo chassidico.


P.s. - Cogliendo l'attimo presente :-) mi torna in mente oggi il noto teologo-sacerdote cattolico Raimun Panikkar... che amava spesso parlare del “terzo occhio” facendo riferimento alla  presenza di questo concetto spirituale nella scuola dei Vittorini (XII sec.), all'interno della quale il teologo e mistico medioevale, Ricardo de San Victor diceva che Dio ha creato l’uomo con tre occhi: uno corporeo, (“oculus carnis”, realtà sensibile), l’altro razionale (“oculus rationis”, realtà rivelatami dalla ragione) e un terzo, l’occhio della contemplazione (“oculus fidei”, visione religiosa e mistica)...








IL PASSAGGIO

In conseguenza al mio colpo d' “occhio al presente”... nel quale ho ricordato questo mese di gennaio-januarius nella sua caratteristica di “porta” (in latino janua) tra l'anno vecchio e l'anno nuovo... oggi "attraverso" il “presente” (che è anch'esso una “porta” tra il passato ed il futuro) per giungere ad osservare da vicino una caratteristica linguistica che compare anche nel Testo biblico :
Mi riferisco al fatto che nella lingua ebraica le azioni del presente... essendo avvenimenti che sono in corso di svolgimento mentre si sta parlando... vengono espresse in forma di participio, cioè nel loro svolgersi, per cui... tanto per fare un esempio... l'azione “io mangio”  viene resa con l'espressione “io mangiante”.
Questa caratteristica è assai significativa, perché riflette la realtà dell'azione presente che non può essere “fermata”, ma soltanto espressa nella sua dinamicità... ovvero nel suo essere una “porta” di passaggio tra la sua “archiviazione” non ancora avvenuta nel passato, e la sua “realizzazione” non ancora completamente “sopraggiunta” dal futuro.
Anche osservando questa "sfaccettatura" linguistica, è così possibile "alzare" il proprio sguardo dalla dimensione di ciò che è transitorio, per proiettarlo verso l'Assoluto... dell'Eterno presente di Dio.
Eccomi così arrivato alla mia odierna "destinazione": una  “Photo by Swami” sulla quale i miei pensieri "presenti" possono camminare ancora per un po'...

« Siamo il passaggio…
Siamo di passaggio… ma l’egoismo interrompe questa memoria. » 
       (Swami Roberto)





ALTRIMENTI
SONO GUAI !


Leggendo stamattina il “Canto della vigna”(Is 5,1-30), nel quale Isaia denuncia la degenerazione del “vigneto-popolo di Israele” nonostante le cure amorevoli del “vignaiolo-Dio”... mi sono soffermato su questo versetto:
“Guai a quelli che chiamano il male bene e il bene male, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro”(Is 5,20)
Le parole di questo monito profetico mi fanno oggi pensare ad una "tipologia" particolarmente grave di male... cioè a quello compiuto da coloro che poi mistificano la realtà pur di rifiutarsi di riconoscerlo.
Percorrendo questa strada i "guai" di cui parla Isaia sono "assicurati"... in conseguenza del fatto che il male commesso diventa irreparabile proprio quando, anziché chiamarlo "per nome", si mente a sé stessi e si fa ricorso all'interminabile lista di “giustificazioni” che l'umano opportunismo è sempre pronto a fornire.
Ascoltare queste “sirene” alimentate dall'amor proprio, significa infatti diventare sordi ai richiami della coscienza... finendo così con l'aderire al “profilo” di quanti fanno il male negando che sia male, e quindi negando a sé stessi ogni possibilità di ravvedimento

Nella direzione opposta vanno invece coloro che hanno il coraggio di esercitare con obiettività il giudizio su sé stessi, “smascherando” il male... e creando dunque la prima indispensabile condizione per poterlo poi sradicare da sé con un ravvedimento concreto, accompagnato dai fatti.

« Non disperare mai. 
Dio dona sempre un’altra possibilità per rimediare i propri errori e colpe. Coraggio! »
       (Swami Roberto)


IL "VENTAGLIO" DEL DARSHAN

Durante una conversazione avuta qualche tempo fa con un pellegrino giunto nel Monastero di Leinì... che l'indomani si apprestava a partecipare per la prima volta al Darshan di Swami Roberto... gli ho parlato dell'insieme di significati di questo termine, Darshan, che fino ad allora lui aveva conosciuto solo nel senso induista di "visione del Divino".
Per farlo... ho iniziato dal "ripassare" con lui il punto di vista dell'Induismo, nel quale il termine Darshan deriva dalla radice sanscrita drś, che significa "vedere" ma che, per esempio, da' origine anche all'aggettivo Darśana, che significa...  "che espone", "che mostra", "che sa", "che insegna", "che rivela"...
Questa accezione "didattica" che la radice sanscrita drś prende nel vocabolo darśana... è di fatto corrispondente ad uno dei significati dell'assonante verbo ebraico drsh, che significa "interpretare, spiegare la Scrittura" e dunque indica l'azione del Rabbi che conduce il discepolo a riflettere sui contenuti del Testo Sacro.
Così, in quell'occasione ho spiegato al mio interlocutore come sia in questo contesto concettuale che si trova il termine ebraico Darshan (Darosha nella lingua aramaica) che, oltretutto, è collegato anche ad altri vocaboli.

Per esempio... alla radice verbale drsh è riconducibile il significato della parola ebraica midrāsh (la forma più antica di spiegazione delle Scritture)... nonché quello illustrato dal celebre rabbino francese medievale Rashi, che in un suo dialogo poetico immagina che il Testo biblico si personifichi e dica al lettore: "dorsheni [imperativo dal verbo darash, “cercare”] interpretami... non prendermi alla lettera, cerca, gratta, fruga al di là di me stesso!".

Ecco... il Darshan celebrato in Anima Universale si ricollega a questo "ventaglio" di significati... che scaturisce dalla ricchezza semantica della radice ebraica drsh... che a sua volta "riecheggia" nell'assonante radice sanscrita drś.






"OLIO" DA ACCENDERE

Dalla tradizione ebraica dei Chassidim, mi sono oggi annotato un passaggio dove un'antica disposizione liturgica della Torah...
« olio puro di olive schiacciate per il candelabro, per tener sempre accesa una lampada » (Es.27, 20)... viene così commentata:
« Bisogna essere schiacciati e infranti, ma non per giacere per terra, bensì per far luce! »
(Rabbí Moshe di Kosnitz).
Questa lettura metaforica mi fa pensare a come... pur se nessuno lo vorrebbe... tutti prima o poi possano trovarsi nella condizione di essere “pressati” e finanche  “frantumati” dalle vicende della propria esistenza.
Eppure, anche se il “sapore” di queste esperienze è umanamente amarissimo, si tratta in realtà delle prove karmiche che costituiscono il “frantoio” dal quale può uscire quell' “olio puro” che è poi il "combustibile" che permette di fare spiritualmente “luce”.

Affinché ciò si verifichi, non bisogna però imputare a Dio di essere il colpevole della "pressatura" che si é subita.

Bisogna invece saper compiere il fondamentale passo interiore di offrire a Lui... accendendolo con la fiamma della fede... l' "olio" risultante dalle proprie esperienze esistenziali.



P.S. - Riguardo a questo tema, suggerisco anche la lettura del mio post “L'ex anello mancante”.


LA DONNA È DONNA... O UOMO MANCATO?
INCUBI E FARNETICAZIONI DELL'AQUINATE


Questa mattina stavo pensando ad una particolarità della Bibbia ebraica, legata al fatto che secondo l'antica cultura semitica era solo il padre che generava i figli, mentre la madre era considerata un po' come una “incubatrice” che aveva il ruolo di darli alla luce (cfr.per es. Is 45,10)... tant'è vero che il termine "genitori" non esiste nella lingua ebraica con la quale è scritta la Torah, dove si trovano i termini distinti di “padre” e di “madre”.
E' questo il contesto culturale-religioso in cui si inserì la “novità” delle Scritture cristiane redatte in lingua greca, nelle quali la parola “genitori” (in greco “goneis”) fece significativamente la sua comparsa...
D'altronde, un sostanziale cambiamento nel modo di concepire la condizione femminile si era appena verificato grazie al messaggio di Gesù, che aveva avuto un impatto "rivoluzionario" sulla mentalità dell'epoca... già a partire dai comportamenti da Lui tenuti nel corso della Sua vita:Per fare soltanto un esempio, Lui volle sempre al suo fianco le donne, che rimasero fino all'ultimo sotto la Croce e furono le prime testimoni-annunciatrici della Sua Resurrezione... laddove invece i rabbini del giudaismo non potevano essere accompagnati da donne, perché considerate sempre inadatte o impure.
Ebbene... proprio pensando a quanto l'insegnamento anti-discriminatorio di Cristo fosse "contro corrente" rispetto alla mentalità del suo tempo... appare ancora più stridente, ai giorni nostri, la posizione di quelle Chiese cristiane che continuano a sostenere delle “ragioni” religiose che di fatto mantengono la donna in una posizione subordinata all'uomo.
Una tra le più evidenti è il principio del sacerdozio esclusivamente maschile, contro il quale depongono gli argomenti storici e teologici di cui già vi parlai nel post “la donna nel cristianesimo”.

Tommaso d'Aquino (particolare da un dipinto
del Beato Angelico, Museo S.Marco-FI)
Un'altra mi viene poi in mente pensando ad una "radice" di discriminazione che nasce nel cuore della tradizione cristiana... e scaturisce dall'infelice posizione dottrinale espressa da una figura di primissimo piano nella storia della teologia in occidente, Tommaso d'Aquino, del quale il teologo Hans Kung... presbitero e saggista svizzero attualmente professore emerito di teologia ecumenica all'Università di Tubinga… così scrive in un suo libro dedicato all'argomento:
«Non afferma egli [Tommaso] che l'uomo è "principio e fine della donna", e invece la donna è "qualcosa di difettoso e manchevole(Hans Kung, "La donna nel cristianesimo")
Chi fa fatica a credere che Tommaso d'Aquino, Santo e Dottore della Chiesa cattolica, abbia potuto dire proprio così... con una facile ricerca in rete può dare un'occhiata alla parte della sua opera (Summa theologiae, Pars I, quaest.92, a.1) in cui affronta il tema dell' "origine della donna" (basta e avanza leggere i primi 4 articoli della quaest.92).

Riguardo poi all'antico principio biblico della generazione attribuita al solo padre... è sempre H.Kung ad esprimere una interessante osservazione:

«Aristotele afferma: nella generazione di un nuovo uomo il maschio, in virtù del suo sperma (della virtus activa), sarebbe la sola parte attiva "generatrice". La donna sarebbe invece soltanto la parte esclusivamente recettiva, passiva, la "materia" accogliente, che si limiterebbe a mettere a disposizione l'attitudine ("virtus passiva") per il nuovo uomo. Esattamente questo afferma anche Tommaso (d'Aquino). Anch'egli, alla difficoltà del perché allora dall'uomo in un caso verrebbe generato un bambino e in un altro una bambina, dà con Aristotele la seguente risposta: ciò potrebbe dipendere da una debolezza della potenza generatrice maschile o della disposizione femminile oppure da un influsso esterno, come il vento del Nord per il bambino o il vento (umido!) del sud per la bambina, così che in un caso verrebbe generato un uomo completo e nell'altro soltanto un uomo "non riuscito".
Ci si può immaginare quali effetti devastanti abbiano prodotto per secoli tali concezioni».
(Hans Kung, "la donna nel cristianesimo") 


Questa arcaica posizione ha sicuramente avuto, come dice H.Kung, effetti devastanti... che purtroppo non sono affatto “archiviati” nel passato, come aiuta a comprendere un'ulteriore passaggio del suo libro.
«Secondo la cattolica storica norvegese Kari Borresen sia Agostino che Tommaso rappresentano senza alcun dubbio un’antropologia androcentrica, incentrata sull'uomo. Entrambi trattano la dottrina della relazione uomo-donna non dal punto di vista di un rapporto reciproco, ma soltanto dal punto di vista del maschio. Il maschio viene visto come il sesso esemplare, e in base ad esso vengono compresi l'essenza e il ruolo della donna; invece di una reciproca complementarietà, un’anteposizione e una subordinazione gerarchiche !» (Hans Kung, "la donna nel cristianesimo")


Tra gli effetti di questa mentalità arcaica protrattasi fino al presente, io penso a quelli che è costretta a subire la  mia Chiesa cristiana-ramirica che, per esempio, proprio perché contempla il sacerdozio femminile è avversata teologicamente da una "fetta" del mondo cristiano... all'interno del quale, per fare un altro esempio, c'è anche un gran numero di devoti-maschilisti che si scandalizzano di fronte ad un'idea teologica che per il Cristianesimo ramirico è semplicemente normale, ovvero che Dio... in quanto Spirito... è ovviamente Madre oltre che Padre.

Pensando a tutto ciò, io oggi auguro ad ogni donna il meglio... nella consapevolezza che comunque il pieno rispetto sociale resta una chimera per quelle donne che non ricevono questo rispetto neanche dalla fede religiosa che affermano di professare.
A mio avviso è proprio da lì... da ciò in cui si crede... che bisognerebbe innanzitutto preoccuparsi di "snidare" la discriminazione e pretendere il rispetto dovuto, altrimenti... "chi è causa del suo male pianga se stesso".
In ogni caso... al di là delle preziose parole degli ultimi Papi sull’importanza della donna per la Chiesa cattolica... resta il fatto che le donne, ovvero più della metà del genere umano, a tutt’oggi sono "religiosamente" confinate in ruoli subordinati all'uomo...
E poi, i custodi della dottrina cattolica non si sono neanche mai presi la briga di dichiarare ufficialmente, e di stigmatizzare a sufficienza, che sull’argomento "donna"... da Paolo di Tarso a Tommaso d’Aquino, passando per Agostino d’Ippona... sono state scritte cose abominevoli.
Ebbene sì... di fronte a tutto ciò, si può soltanto constatare che ognuno ha i Dottori che si merita.

 

P.S. - Le considerazioni con le quali Hans Kung ha evidenziato l'infelice prospettiva di Tommaso d'Aquino (e di Aristotele) riguardo all'argomento "donna"... mi fanno oggi pensare al fatto che questo binomio teologico-filosofico continua comunque a godere di grande e solida considerazione presso la "fetta" piu' grande del pianeta cristiano.
Mi riferisco in particolare alle Chiese che si riconoscono nel “cambiamento di rotta” epocale che la tradizione cristiana-romana operò dopo il primo millennio dell'era cristiana, quando vennero ricusate molte elaborazioni teologiche dei secoli precedenti riconducibili al “platonismo cristiano” (di cui vi ho parlato nel post "spirito unico e irripetibile").
Proprio Tommaso d'Aquino fu l'alfiere di questa decisiva "sterzata"... dalla via teologica cristiana filo-platonica a quella filo-aristotelica... della quale fece definitivamente le spese, tra l'altro, anche il concetto filo-platonico di “preesistenza dell'anima” che, per esempio, è uno dei principi che si trovano alla base della dottrina della reincarnazione.
Per conseguenza... pensando ai cristiani anti-reincarnazionisti che di fatto aderiscono alla teologia cristiana fondata da Tommaso d'Aquino, e che amano esibire la solidità storica delle proprie posizioni “conformi alla tradizione”... a me oggi viene in mente che, in realtà, proprio la storia mette in crisi le ragioni di questo “vanto”... perché la "tradizione" da loro "esibita" si è costruita a posteriori anche su posizioni frutto di una mentalità medievale, anti-evangelica, anti-scientifica e raccapricciante... come quella di Tommaso d'Aquino riguardo al fondamentale tema della dignità della donna.


QUANDO L' «INSPIEGABILE»...
SPIEGA MOLTO


Leggendo alcune pagine dei Testi Sacri della tradizione ebraica, questa mattina mi sono soffermato su una questione ai confini dell'incredibile, che ruota attorno ad una delle principali festività religiose dell'Ebraismo... lo Yom Kippur... il “giorno dell'espiazione” nel quale i peccati vengono perdonati.
Per lunghi secoli, fino alla tragica distruzione del Tempio di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. ad opera delle armate romane, nella città Santa lo Yom Kippur prevedeva varie celebrazioni religiose...

Tra di esse, la principale era l'immolazione di un “capro espiatorio” scelto tra due animali associati a due pietre, una bianca (destra) e una nera (sinistra), che il Sommo Sacerdote sceglieva casualmente nel cosiddetto “lotto”(sorteggio).
Sulla testa del capro espiatorio veniva anche fissata una striscia di color rosso scarlatto (cremisi), un brandello della quale veniva poi legata alla porta del Tempio in modo che il suo schiarirsi dal rosso al bianco potesse rappresentare il fatto che lo Yom Kippur era stato accettato da Dio, come si evince anche da queste parole di Isaia:
« Dice il Signore: “anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana" ».(Is 1,18)

Dopo la distruzione del Tempio avvenuta nel 70 d.C. (che tra l'altro comportò lo stravolgimento delle precedenti pratiche cultuali) il popolo ebraico cominciò a scrivere il Talmud e, più precisamente, iniziarono ad essere scritte due versioni... il Talmud di Gerusalemme e il Talmud Babilonese... frutto di due distinte tradizioni del Giudaismo rabbinico.
Entrambi questi Testi raccontano un evento a dir poco “inspiegabile”, che nella edizione talmudica curata dal celebre rabbino Jacob Neusner è così riportato:

« Quaranta anni prima della distruzione del Tempio, la luce occidentale si spense, il filo cremisi(rosso scarlatto) rimase cremisi, e il lotto per il Signore avvenne sempre con la mano sinistra. Avrebbero chiuso le porte del tempio di notte e si sarebbero alzati la mattina trovandole aperte » (Jacob Neusner, The Talmud of the Land of Israel, vol.14, pag.176)
Analogamente, nel Talmud Babilonese si legge:
« I nostri rabbini insegnarono: Nel corso degli ultimi quaranta anni prima della distruzione del Tempio il sorteggio (lotto) (“per il Signore”) non venne su con la mano destra, né il cinturino color cremisi divenne bianco, e la lampada occidentale non ha più brillato di lucentezza, e le porte del Hekel (Tempio) si sarebbero aperte da sole » (Soncino version, Yoma 39b).

I due distinti “rami” della tradizione ebraica si confermano dunque a vicenda nel riportare un avvenimento straordinario e dall'evidente portata simbolica:
Un rituale che per secoli si era svolto conformemente ai caratteri del “lotto”(sorteggio), con una casuale ed irregolare alternanza tra destra-bianco e sinistra-nero, fu sempre sinistra-nero per 40 anni di fila !!!... durante i quali il panno rosso non divenne più bianco !!!...  e la lampada principale del candelabro del Tempio (Menorah) continuò incessantemente a spegnersi nonostante i tentativi di tenerla accesa !!!... e le porte del tempio si aprivano da sole !!!...
Questi segni, così nefasti che più nefasti non avrebbero potuto essere, si riflettevano per esempio in  queste parole del rabbino capo della comunità ebraica di quell'epoca, così riportate nel Talmud di Gerusalemme:
« Disse Rabban Yohanan Ben Zakkai al Tempio,‘O Tempio, perché ci spaventi? Sappiamo che tu finirai distrutto. Per questo è stato detto,‘Apri le tue porte, O Libano, che l’incendio possa divorare i tuoi cedri (Zaccaria 11:1) » (Sota 6:3).

Questo “perché ci spaventi?” è una domanda che appare naturalissima a fronte di un tale concatenarsi di segni di sventura, la cui ininterrotta e quarantennale durata richiama il significato del numero 40, che biblicamente indica il tempo necessario per un cambiamento radicale (basti pensare per esempio al Diluvio che si prolunga 40 giorni e 40 notti, nonché ai 40 anni di permanenza nel deserto da parte degli israeliti in fuga dall'Egitto).
A posteriori, nasce spontanea anche una conseguente domanda: qual è stato il terribile evento accaduto nel 30 d.C. … cioè esattamente 40 anni prima del 70 d.C. … che abbia potuto “giustificare” cotanti segni di sventura, concretizzatisi poi in quello che dal punto di vista ebraico fu il dramma supremo... cioè la distruzione del Tempio di Gerusalemme ?

Di fronte a questo interrogativo, le possibili risposte interpellano ovviamente la fede... e non solo quella ebraica, perché... guarda caso... il “fatidico” anno 30 d.C., cioè il momento nel quale “deve essere successo” quel fatto terribile che ha poi portato alla distruzione del Luogo più sacro della religione biblica... è un anno nel quale, a Gerusalemme, si svolgeva anche la vicenda di Gesù.
Ecco allora che, nella prospettiva cristiana, questi requisiti estremamente “selettivi”... tali da giustificare il concatenarsi dei segni nefasti che hanno preceduto la distruzione del Tempio Gerosolomitano... possono essere ricondotti ad un fatto: la crocifissione, morte e resurrezione del Messia, Gesù di Nazareth.

Si tratta evidentemente di una “lettura” che ha in sé una grande forza: quella di “attingere” attendibilità proprio dal fatto che le “informazioni” su cui si basa... contenute nei due distinti e concordanti racconti talmudici... provengono dunque da una tradizione religiosa “avversa” al Cristianesimo.
Dando per scontato che, dal punto di vista ebraico, le analisi non possono che essere diverse... io concludo questo mio odierno percorso pensando ad un ulteriore aspetto della questione, che è richiamato da una “attinente” osservazione di Papa Ratzinger:

“Vespasiano affidò l'incarico della conquista di Gerusalemme al figlio Tito. Questi, secondo Giuseppe Flavio, deve essere arrivato davanti alla città santa presumibilmente proprio nel periodo delle festività della Pasqua, il 14 del mese di Nisan, quindi nel 40° anniversario della crocifissione di Gesù”.
(Papa Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, vol.2)

Questa circostanza rilevata da Papa Ratzinger, e cioè che la distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani ebbe probabilmente inizio in concomitanza con la Pasqua del 70 d.C. … "nel 40° anniversario" della Pasqua del 30 d.C. in cui Gesù morì e risorse... lancia un “messaggio” forte e chiaro:
Il “quarantennale segno” di cui parlano i due Testi talmudici viene “circoscritto” da una “cornice” pasquale poggiata sulla Resurrezione di Cristo avvenuta il 9 aprile dell'anno 30 d.C.
E' questo il "quadro" grazie al quale... anche l'inspiegabile trova la sua spiegazione.


IL MIO 9 APRILE AD EMMAUS

Nell'imminenza del 9 aprile riprendo oggi in mano uno "storico" calendario del 1963 e... tra i nomi ricordati giornalmente dalla tradizione cristiana... nella data della nascita di Swami Roberto trovo scritto quello di "Maria di Clèopa" (in greco Klōpa), una delle “tre Marie” (insieme alla Madonna e alla Maddalena) presenti ai piedi della croce fino all'ultimo respiro di Gesù (Gv 19,25).
Questo nome, Clèopa, mi indirizza verso una delle più celebri pagine di Luca, nella quale il Risorto appare a due discepoli in cammino verso il villaggio di Èmmaus... dei quali uno solo è chiamato dall'evangelista per nome: Clèopa (in greco Kleopas)  (Lc 24,18).
Klōpa e Kleopas sono abbreviazioni del nome greco Kleopâtros, che funge dunque da "ponte" tra il racconto della Crocifissione del Vangelo di Giovanni, e quello della Resurrezione del Vangelo di Luca e, mentre percorro questa "traiettoria" pasquale scaturita dal 9 aprile 1963, mi accorgo che i suoi “colori” diventano via via più intensi.

Il racconto di Luca si svolge infatti “in quello stesso giorno”(Lc 24,13) nel quale Gesù è risorto... ossia la sera del 9 aprile dell'anno 30 d.C. ... per cui, anche attraverso questa mia odierna via evangelica che fa da "cornice" alla Pasqua di Cristo... trovo ancora una volta una "Coincidenza" che mi riporta al punto di partenza, ovvero al 9 aprile della nascita di Swami Roberto, giorno “Alfa” del Cristianesimo ramirico.

Però... c'è anche dell'altro...
Luca scrive infatti che il villaggio di Emmaus era “distante circa sessanta stadi”(Lc 24,13) da Gerusalemme (vale a dire 11 Km, o 7 miglia che dir si voglia)... in una località che la tradizione posteriore cristiana ha individuato nel villaggio attualmente arabo di el-Qubeibe, distante appunto sessanta stadi da Gerusalemme, dove i francescani eressero agli inizi del XX secolo un santuario sulle rovine di una chiesa precedente, nell'esatta posizione in cui si ritiene che il Risorto si fosse fermato a cena con i due discepoli.
Il fatto che... guarda caso... il significato del nome arabo el-Qubeibe sia “la piccola cupola”, è una circostanza che nuovamente mi parla della Pasqua della mia interiorità, che ogni anno io celebro “quello stesso giorno”, cioè il 9 aprile, all'interno della Cupola del Tempio di Anima Universale.

Ecco allora che... facendomi "rimbalzare" tra il passato raccontato dall'evangelista ed il presente della mia vita religiosa... il racconto di Èmmaus mi porta a rivivere praticamente "in diretta" le parole di Luca “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Lc 24,30)... e, per qualche istante, mi fermo a meditare... e a gustare il sapore "eucaristico" di questo mio viaggio evangelico “attivato” dalla parola Klōpa.

Senonché... un'ulteriore "Coincidenza" mi viene in mente quando penso che il nome greco dal quale Klōpa proviene... ovvero Klèopatros... significa “gloria del padre” (klèos patròs) :
Mi risulta infatti impossibile fare a meno di pensare che il nome del mio Maestro spirituale, Roberto [proveniente, come molti di voi sanno, dal gotico “hroud” (splendente) e “berth” (gloria)] ha anch'esso a che fare con la “Gloria del Padre”... anche perché è proprio Lui che ad ogni Darshan mi fa vedere la Gloria divina... mediante i Suoi insegnamenti e con la Benedizione della Sua presenza.
A questo punto, mi basta un ultimo passo per tagliare il "traguardo" pasquale suggeritomi da questo meraviglioso brano evangelico:
Per un attimo, mi immagino che io e voi... cristiani ramirici che mi leggete... ci stiamo raccontando la nostra personale esperienza del Darshan di Swami e... d'un tratto... mi rendo conto che per farlo io oggi non potrei trovare parole migliori di quelle usate dall'evangelista Luca “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”(Lc 24,32).
L'ANGELICA FARFALLA

Una variopinta farfalla che oggi ho ammirato mentre volteggiava davanti a me... mi ha fatto tornare in mente un verso dell'eccelso Dante Alighieri, che sono così andato a rileggere dalla sua Divina Commedia: 

« Non v'accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l'angelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi?  »
(Purgatorio, X, 124-126)

A causa di ciò che è facile osservare in natura, fin dall'antichità la farfalla è un'immagine tradizionalmente usata per rappresentare l'anima.
Il bruco che striscia al suolo, o su una pianta, si presta infatti a rappresentare la vita terrestre dell'essere umano la cui anima, quando avrà lasciato sul terreno il corpo esanime, potrà "volare" nella dimensione invisibile... un po' come l'agile farfalla, dopo che avrà lasciato l'involucro indossato finché era “verme”, potrà finalmente librarsi in volo...

Oltre che in varie religioni e filosofie antiche, questa metafora è “di casa” nel Cristianesimo... anche per una significativa caratteristica del Nuovo Testamento, nel quale l'anima viene indicata con il vocabolo greco psychè, utilizzato per ben un centinaio di volte da parte dei vari autori.
Si tratta di un termine che nella lingua greca designa sia l'anima che la farfalla e dunque, fin dalla sua origine etimologica, "suggerisce" il sopracitato parallelismo tra la "metamorfosi"... mediante la quale la crisalide si trasforma nella creatura alata... e il momento in cui l'anima dell'essere umano, lasciando le spoglie del corpo mortale, entra in uno stato "volatile", non più imprigionato dai limiti corporali.

Stimolato da questa immagine metaforica... ripenso oggi al concetto teologico di cui già vi parlai nel post “Dalla fine di tutto... alla vita eterna”, nel quale evidenziavo la differenza esistente tra il principio di “resurrezione spirituale” contemplato dal pensiero escatologico di Anima Universale... e la "resurrezione spirituale-corporale" contemplata invece dalle dottrine di altre Chiese cristiane.
Queste ultime possono evidentemente interpretare la metafora suggerita dal vocabolo evangelico psyché come se, per giungere “a destinazione” nell'Eternità di Dio, la farfalla-anima dovesse ad un certo punto "riesumare" (in un modo non ben precisato) le "spoglie" corporali di quando era “verme-bruco”...
Diversamente da queste dottrine... il mio pensiero spirituale cristiano-ramirico mi fa invece leggere la stessa metafora in direzione “ascensionale” nel senso che... oltre a non tornare indietro a "recuperare" il corpo terreno di quando era "verme"... la psychè/farfalla ad un certo punto dovrà anche abbandonare il suo "corpo leggero/etereo"... che è anch'esso un "corpo"... affinchè l'essenza, cioè lo spirito, possa far ritorno all'Eternità di Dio.

Si tratta, evidentemente, di due prospettive ben diverse ma... al di là delle motivazioni teologiche-confessionali che portano a propendere per l'una o per l'altra... non può essere ignorato un dato di fatto:
Quando gli autori neotestamentari scelsero il termine psyché, erano ovviamente al corrente del significato attribuito a questo vocabolo dal pensiero platonico, che concepiva l'anima come un principio immortale ed immateriale... preesistente al corpo e di natura diversa dallo stesso corpo.
Ora... pur se è evidente che il pensiero religioso per sua natura si differenzia dal pensiero filosofico, ed ogni dottrina teologica segue percorsi diversi dalla mera speculazione razionale... io oggi penso ad un interrogativo che i cristiani che credono nel concetto di "resurrezione del corpo" potrebbero porsi :
Come mai gli autori neotestamentari non hanno usato l'ebraico nefesh, (che secondo l'antica mentalità semitica concepisce l'anima "integrata" con il corpo) o un termine che avesse questo significato... ma hanno invece scelto di usare proprio il vocabolo psyché, cioè una parola che sin dall'antichità greca designa la parte immateriale dell'essere umano, con un significato filosoficamente inconciliabile con l'idea di resurrezione del corpo ?

Lasciando ai fautori della "resurrezione anche corporale" dell'essere umano l'incombenza di "spiegare" questa circostanza (che, nella loro prospettiva, è quantomeno portatrice del "rischio" di fare confusione)... io invece osservo, alla luce del mio pensiero spirituale cristiano-ramirico, che il vocabolo psyché scelto dagli autori del Nuovo Testamento "combacia" perfettamente con la mia prospettiva escatologica... che concepisce la resurrezione della sola parte spirituale dell'essere umano.

Ecco allora che oggi... pur senza annullare le differenze che ovviamente esistono tra la concezione filosofica-platonica di "anima" (che designa in senso lato la parte incorporea dell'essere umano)... e la concezione religiosa di "anima" propria del Cristianesimo ramirico (secondo la quale la parte incorporea dell'essere umano si compone di "anima" e "spirito")...  io posso osservare la metafora suggerita dal termine psyché-anima nel suo significato più naturale :
Posso infatti leggerla come un richiamo simbolico alla "metamorfosi" verso cui è rivolta la parte animica-spirituale dell'essere umano... che, come un'"angelica farfalla", anela ad abbandonare ogni legame con la dimensione materiale, per "alzarsi in volo" verso l'Eternità di Dio.


Il Rabme (pentagono) e la Croce greca
spiccano con evidenza nella struttura
molecolare delle Porfirine. Queste sono
una classe di composti chimici fondamentali
per la vita sulla terra, perché permettono alle
piante di realizzare la fotosintesi clorofilliana
e agli esseri umani di respirare.
La clorofilla inoltre colora di verde il regno
vegetale, mentre l'emoglobina colora
di rosso il nostro sangue.
                      (Ramia Riccardo)

LA MIA "FOTOSINTESI"

Oggi torno a dare un'occhiata alla "coincidenza sorprendente" rilevata qualche tempo fa da ramia Riccardo sulla sua pagina Facebook e, per qualche momento, mi fermo ad osservare l'immagine di questo basilare "mattone" della vita... comune sia al regno vegetale che all'essere umano:
Si tratta di una forma che, evidentemente, per i fedeli di Anima Universale ha un aspetto "familiare", visto che la Croce greca è come se fosse incoronata dal sacro Rabme, il simbolo pentagonale del Cristianesimo ramirico.
Il fatto, poi, che la forma di questo fondamentale "mattone della vita" sia presente nel sangue che scorre nelle nostre vene... ed anche nella clorofilla che si trova nelle piante... mi fa pensare ad un'altra significativa "corrispondenza":
Come sappiamo, la "fotosintesi clorofilliana" è il processo mediante il quale le piante utilizzano l'energia della luce, per produrre gli elementi che vanno poi a costituire i composti della materia vivente (sia animale che vegetale) e per liberare ossigeno nell'aria... e, a ben pensarci, questo processo vitale che le piante compiono sul piano fisico... corrisponde a quanto noi siamo chiamati a compiere sul piano spirituale.
E' infatti usando l'energia della Luce di Dio... che noi possiamo  riuscire a "produrre" ciò che serve alla vita interiore nostra e del nostro prossimo, e anche a liberare nell'aria dei pensieri che siano "ossigeno vitale" per quanti li "respirano". Così... anche percorrendo questa via metaforica... io mi ritrovo al mio odierno punto di partenza:

La Croce ed il Rabme del Cristianesimo ramirico sono infatti i simboli degli insegnamenti spirituali di Swami Roberto... grazie ai quali io ho potuto iniziare ad attivare questa fondamentale "fotosintesi" nella mia vita.

D'altronde, non è certo lì per caso... l'albero che si trova nel cuore del Rabme, e che rappresenta l'essere umano !
Puoi leggere il suo significato nell'apposita pagina del sito web di Anima Universale: Rabme, il simbolo





QUESTIONE VITALE

Sollecitato da un dialogo che ho avuto la scorsa settimana con una signora interessata agli argomenti biblici, riporto oggi nel mio diario un sunto di quel che le ho detto riguardo ad un argomento "vitale"... già a partire dal fatto che si riferisce alla parola Vita (in greco zōē) scritta da Giovanni all'inizio del suo Vangelo.
Dopo aver sintetizzato alla mia interlocutrice una fondamentale premessa evidenziata dagli attuali studi esegetici sul testo biblico (Vedi "Gv 1,3-4, nota esegetica")... ho cominciato a parlarle del 4° versetto del Vangelo di Giovanni nella sua formulazione più corretta, ovvero quella esattamente corrispondente a ciò che l'evangelista ha effettivamente scritto: "[In] Ciò che è stato fatto, in questo Egli [il Logos] era la vita, e la vita era la luce degli uomini" (Gv 1,4)...
Qui di seguito riassumo ciò che le ho poi detto, a partire dall'osservazione di un primo fondamentale aspetto: la stesura originale di questo versetto (contenente anche le parole evidenziate in rosso, di solito attribuite al versetto precedente) mostra un significato sensibilmente diverso rispetto alla traduzione corrente, cioè "In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini".

Nelle parole scritte in origine dall'evangelista, il Logos divino, cioè il Cristo, viene infatti messo in risalto come “la Vita” presente  "[In] Ciò che è stato fatto"... e questo concetto costituisce una biblica "eco" di ciò che Swami Roberto insegna sin dai suoi primi anni di vita... ovvero che il Cristo, il Logos divino, è la Vita... ed è ovunque... “In ciò che è stato fatto” ovvero in ciò che è stato “partorito” da Dio in questa dimensione... come ebbi già modo di dirvi nel post "Cristo... Vita cosmica".

Poi, esiste anche un altro aspetto di questa “vitale questione":
Per avvicinarmici... faccio un "balzo" nella pagina del Vangelo di Giovanni in cui Gesù dice ai Giudei:
"Abramo vostro padre esultò a vedere il mio giorno"
...
e loro gli rispondono  "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?"(Gv 8,56.57).
Questa reazione dei Giudei appare normale, considerando quanto era  inconcepibile per loro l'idea che Gesù fosse il Verbo che sin dal principio “era presso Dio”(Gv 1,1 ) ... cioè che Lui, essendo coeterno al Padre, fosse il Cristo "preesistente" al tempo nel quale loro stavano vivendo.
Però... questo concetto a-temporale del Cristo-Logos, che costituisce una delle peculiarità del Vangelo di Giovanni, oltre ad essere inconcepibile per i Giudei... era anche assente, per fare un esempio, dalle tradizioni cristiane confluite nei Vangeli sinottici, i quali non menzionano il concetto del Verbo preesistente.

All'interno dei quattro Vangeli "canonici" esisteva infatti una rilevante differenziazione... relativa peraltro anche ad altri importanti aspetti... tant'è vero che oggigiorno gli studiosi della comunità internazionale sottolineano una realtà che in passato è stata lungamente negata (se non "nascosta") dalle Chiese cristiane "tradizionali" :
Successivamente alla crocifissione e resurrezione di Gesù non esisteva un solo cristianesimo... come si è creduto per secoli... bensì un “cespuglio” di cristianesimi diversi, assai differenziati tra di loro... che facevano riferimento a Vangeli diversi (compresi quelli che alcuni secoli dopo furono chiamati “apocrifi”, ma che in origine non erano considerati tali).
Tra questi Vangeli, a quello di Giovanni si deve la "novità" di questo concetto... la co-eternità del Logos-Cristo con il Padre... che fu poi ripreso dai primi pensatori e "Padri della Chiesa" per le loro elaborazioni teologiche.

Ebbene... l'osservazione di questo aspetto cristologico fa emergere una “discrepanza” a tutt'oggi esistente:
Mentre infatti questo primo “gradino” che differenziava il Vangelo di Giovanni rispetto al resto della cristianità del suo tempo, è stato poi superato... ed il concetto del "Verbo preesistente" è diventato patrimonio teologico generalmente condiviso... la stragrande maggioranza dei cristiani di oggi non ha invece ancora scalato il secondo “gradino”, che è costituito proprio dalla "questione vitale" affrontata in questo mio post.

Mi riferisco a quanti credono che il Verbo-Cristo, in quanto coeterno al Padre, sia effettivamente "pre" e "post-esistente" rispetto a qualsiasi punto del tempo... ma poi non Lo considerano altrettanto divinamente illimitato rispetto allo spazio, e dunque si trovano a malpartito di fronte a questo concetto espresso dall'evangelista Giovanni "[In] Ciò che è stato fatto, in questo Egli [il Logos] era la vita" (Gv 1,4).
Invece... il Pensiero cristiano ramirico mi permette di leggere queste parole del Vangelo nel loro significato più naturale : Cristo è la Vita... presente nell'ovunque di questa dimensione.
Questo è infatti ciò che Swami Roberto insegna, sin da bambino.

P.S. - In fondo... a ben pensarci... la reazione dei Giudei di ieri, che consideravano inconcepibile il fatto che Gesù affermasse "Abramo vostro padre esultò a vedere il mio giorno"(Gv 8,56)... non era poi cosi' differente dalla reazione di quanti oggi considerano inconcepibile la realtà del Cristo presente in ogni forma di Vita.


A VOLO D'APE :-)

Dal biblico Libro dei Proverbi mi sono oggi annotato una norma comportamentale ispirata al regno animale: “Va' dalla formica, poltrone, osserva le sue abitudini e diventa saggio” (Prov 6.6-8) ... ad affermare un modello che, oltretutto, nella Bibbia “dei Settanta” (la prima traduzione in greco della Bibbia Ebraica) viene ulteriormente integrato con questa aggiunta :
“Oppure va' dall'ape e impara: e com'è industriosa! E che lavoro mirabile essa fa” (Bibbia dei Settanta, VI, 8).
Al riguardo, Clemente d'Alessandria (Santo e “Padre della Chiesa” del II sec.d.C.) commentava “perché l'ape ronza sui fiori di tutto un prato per ricavarne un solo miele” (Stromata, 1)... richiamando dunque una capacità alla quale anche l'essere umano deve ambire, ovvero quella di trarre nutrimento dalle differenti esperienze della vita, al fine di rielaborarle spiritualmente nel “miele” di una nuova consapevolezza.
Anche al di fuori del cristianesimo,  questo simbolismo trova “eco” nella tradizione religiosa dei dervisci bektashi (una corrente del sufismo), dov'è presente la metafora dell'ape che rappresenta il derviscio, e del miele che rappresenta la realtà divina che egli cerca... mentre nell'Ebraismo è possibile riscontrare una tradizione assai significativa che traspare da una particolarità linguistica.
In ebraico l'ape è infatti designata con il vocabolo Dvoràh... che ha la stessa radice consonantica, dvr, del termine Davar, che significa "parola"... in una corrispondenza tradizionalmente intesa come una allusione a ciò che i credenti in Dio dovrebbero fare: alla stregua di tante api, anche loro dovrebbero "impollinare" il mondo con parole portatrici di vita.

Ora... dopo questo biblico volo d'ape :-) con il quale ho sorvolato le tradizioni religiose cristiana, islamica sufi, ed ebraica... posso "posarmi" all'interno del Tempio dei cristiani ramirici, che è a forma di "otto sacro... com'è “a forma di otto” anche la “danza oscillante” che le api compiono nell'alveare, per comunicare alle loro compagne la direzione verso la quale mettersi in volo...
Con questa immagine che "ronza" :-) nella mia mente, mi viene naturale pensare alle persone che riconoscono nel Sacro Tempio di Anima Universale la loro casa spirituale:
Quelle tra loro che sono capaci di accogliere la Divina Conoscenza ascoltata durante il Darshan di Swami... e poi sono anche capaci di esserne testimoni FEDELI nelle azioni concrete delle loro vite... diventano un po' come delle “api” :-)... che possono “impollinare” di divino amore la vita di quanti le incontrano. 


ANIMA... e SPIRITO

Avendo letto il post l' angelica farfalla che ho pubblicato qualche settimana fa, una persona mi ha contattato dicendomi di voler approfondire un po' la questione... ed ha cominciato con il chiedermi se ci fossero dei passaggi delle Scritture alle quali far riferimento, per riscontrare la distinzione tra anima e spirito che il Pensiero religioso di Anima Universale opera in seno alla “dimensione” incorporea dell'essere umano.
A titolo di esempio, ho allora cominciato col metterle in evidenza un paio di passaggi neotestamentari...
“Immagino che Lei si ricordi del brano di Luca, da cui sono tratte le prime parole del Magnificat?”...
“Si certo – mi fa lei... l'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”(Lc 1,46-47)
“Ecco - ho aggiunto – già qui troviamo i due termini distinti... anima (in greco psychē) e spirito (in greco pneuma)... di cui stiamo parlando”...
Ho poi continuato dicendole che il mio Pensiero religioso mi fa leggere questo celebre versetto nel senso che Maria “magnificava”, cioè esprimeva una lode solenne con la sua parte animica-cosciente... ed “esultava”, cioè gioiva nel profondo del Suo eterno Spirito, in tripudio di fronte all'Eterno Salvatore.
Poi... le ho anche ricordato un eloquente passaggio paolino "Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo"(1 Tess 5,23).

« Si - mi fa lei - però resta il fatto che svariate dottrine religiose, anche di matrice biblica, non fanno la distinzione che fate voi... tra "spirito" e "anima" ».
Questa sua considerazione mi ha portato ad aprire una parentesi di carattere generale... che ho iniziato evidenziandole come alla base di molte delle parole che nelle differenti culture e fedi designano l'anima, si trovino dei concetti come "respiro", "vento", "soffio vitale".
Per farle un esempio, le ho nominato il vocabolo in uso presso l'Induismo ed il Buddismo... “atman” [(che in sanscrito significa “respiro”, “anima”, “principio di vita”... ed è collegato alla forma verbale aniti (“egli soffia”)]... la cui “aria” linguistica giunge in occidente e si fa riconoscere nell'assonante termine italiano “atmosfera”, o anche in quello tedesco atmen ("respirare")... e, dal punto di vista concettuale, palesa la sua affinità con il vocabolo “anima” (dal greco ánemos, "vento").
« Un fattore che induce molti a non fare distinzioni tra "anima" e "spirito" - le ho poi aggiunto - sta nel fatto che la "piattaforma" concettuale alla base del vocabolo "anima"... è un po' la stessa che si trova anche alla base del termine “spirito”... [(dal latino “spiritus”("soffio", "respiro", "spirito vitale")]... a sua volta pressoché equivalente al greco "pneuma"... nonché all'arabo "ruh" e all'ebraico “ruah”("vento", "respiro") ».  
Ho poi continuato dicendole che questa vicinanza semantica tra i due termini può portare a perdere di vista delle differenze che invece rimangono... anche dal punto di vista delle Scritture cristiane... e, tanto per farle altri esempi, le ho ricordato un paio di passaggi nei quali l'evangelista Giovanni ha usato il termine "spirito" (e non "anima") :
"Dio è spirito"(Gv 4,24)... “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito.”(Gv 3,8)...
« Ecco - le ho precisato allora - da qui traspare il concetto di spirito eterno, senza limiti spaziali e temporali, che è il significato cristiano-ramirico che io attribuisco a questo termine... ben diverso da "anima", che designa invece l'invisibile "intermediario" che permette alla nostra individualità spirituale eterna di "abitare" nel nostro attuale corpo.

In conclusione di questo odierno dialogo, ho infine indicato alla mia interlocutrice il modo per conoscere meglio il Pensiero spirituale di Anima Universale riguardo a questi temi... compresa la possibilità di partecipare agli incontri di approfondimento che hanno luogo nel Monastero.


“SEPARATI” DI IERI... E DI OGGI

Durante la mia odierna “passeggiata” evangelica, ho fatto sosta nella pagina di Matteo in cui Gesù apostrofa pesantemente gli scribi e i farisei, definendoli tra l'altro  “ipocriti”, “stolti e ciechi”, “sepolcri imbiancati” (Mt.23,13-32).
Questi “famigerati” versetti... resi memorabili per la forza con cui il Cristo esprime la sua avversione verso ogni forma di religiosità esteriore ed ipocrita... mi fanno oggi pensare in particolare ai “farisei”, il cui nome deriva dall'aramaico pĕrīshayyā  (che significa “separato”), ed è dunque collegato al fatto che queste persone formavano, per l'appunto, un gruppo “separato” rispetto al resto della gente comune.
Com'è noto... Gesù stigmatizzò a più riprese la loro religiosità sclerotizzata, fondata su una zelante ma esteriore osservanza delle regole e dei precetti della Legge mosaica, in base alla quale discriminavano moralmente... e consideravano "impuri"... quanti non si ponevano al loro stesso "livello".
Ben diversamente da loro... il Cristo annunciò invece l'Amore di Dio-Padre rivolto ad ogni essere umano, senza discriminazione alcuna e al di là di ogni umano principio di "merito"... tant'è vero che, per esempio, agli albori del cristianesimo Pietro diceva alla sua comunità: “Dio ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo”. (At 10,28)
Alla luce di tutto ciò... è paradossale che oggi ci siano delle Chiese cristiane che, pur ritenendosi eredi spirituali di Pietro, contraddicono clamorosamente queste sue parole e, ancor di più, contraddicono lo spirito del Vangelo... nel momento in cui considerano degli esseri umani “profani o impuri”... meritevoli, per esempio, di essere scomunicati.

Si tratta, evidentemente, di una riesumazione della mentalità farisaica operata da quanti... attuando questa religiosa “discriminazione” (dal latino “discrimen-Inis”, che significa infatti “separazione”)...  diventano quegli "essi" a cui si riferiva lo stesso Pietro quando diceva:
"Io adoro il Dio dei miei padri, seguendo quella Via che essi chiamano setta...”(At.24,14).
Proprio lui... Pietro... chissà cosa direbbe di quei suoi “successori” che costituiscono i "separati" di oggi, che "chiamano setta" quanti "adorano Dio" in un modo diverso dal loro.
   

IL MIO GIOIELLO

Stamattina, mentre mi trovavo all'interno della Cupola del Tempio di Anima Universale...  ripensavo al post "Tornando un po' bambini", nel quale vi accennai alle analogie esistenti tra la vita di Gesù e quella di Krishna.
Al di là dell'assonanza meramente fonetica dei due nomi Khristòs e Krishna... e alle comune esperienza di essere sopravissuti ad una strage di bambini (Gesù sfuggito a quella ordinata da Re Erode, e Krishna a quella ordinata dal Re Kamsa)... un'altra di queste analogie mi è stata "suggerita" dal fatto che mi trovavo all'interno dell'area liturgica a forma di “8 sacro” che caratterizza il Tempio dei Cristiani ramirici.

Il numero 8, in quanto simbolo del Nuovo Testamento (che viene dopo il 7, simbolo dell'Antico) è infatti un numero rappresentativo di Cristo (vedi il mio post sul Monte delle 8 beatitudini)... ma lo è anche di Krishna, 8° Avatar della tradizione induista nonché 8° figlio dei genitori Devaki e Vasudeva.

Restando in Oriente... sono poi 8 anche i raggi della ruota buddhista del Dharma, ad indicare l'Ottuplice sentiero insegnato dal “Risvegliato”, e queste corrispondenze... che fanno del numero 8 una sorta di denominatore comune che collega tradizioni religiose tanto lontane... mi fa oggi pensare ad una delle peculiarità di Anima Universale:
Pur senza annullare le ovvie distinzioni teologiche che differenziano Cristianesimo, Induismo e Buddhismo... la mia Chiesa insegna infatti a coltivare ciò che unisce gli esseri umani tra loro, e non invece ad alimentare ciò che li divide... come in realtà fanno quanti magari proclamano “con la bocca” il noto principio cristiano “ut unum sint”, ma nei fatti diffondono la cultura della discriminazione.
Pensando a tutto ciò, risuona nella mia mente il mantra buddista Oṃ Maṇi Padme Hūṃ, che significa “Gloria al gioiello nel fiore di loto”... e che mi ricorda tra l'altro come anche questo fiore di loto sia simbolicamente rappresentato con 8 grandi petali.

Ecco allora che oggi il Tempio a forma di 8 sacro in cui mi trovo mi appare un po' come il “fiore di loto” nel quale si trova il “gioiello” della Divina Conoscenza... grazie alla quale lo splendore della gloria di Cristo ha ricominciato ad illuminare la mia vita interiore.
Proprio Lui, che guardava prima di tutto all'interiorità dell'essere umano... abolendo ogni barriera nei confronti di “pagani” ed "eretici" e combattendo ogni forma di emarginazione... ha dimostrato con la Sua vita di essere un'anima universale.

Om Christos Yeshua, Om


NASCERE DI NUOVO

Oggi ho parlato con un fedele di un'altra Chiesa cristiana che mi ha detto di aver letto il mio post “Questione... di come” nel quale... qualche tempo fa... mettevo in relazione il brano evangelico del "cieco nato" (Gv 9,1-12). con il concetto cristiano-ramirico di reincarnazione.
Lui ha cominciato con il dirmi che, essendo  “isolato”, questo episodio è di per sé insufficiente a "contrastare" tutto il resto del Vangelo nel quale non c'è nessun'altra traccia del concetto di reincarnazione.
Per suffragare questa sua considerazione, ha aperto il libro che portava con sé (“Cristianesimo e reincarnazione”, Editrice Elle Di Ci, Torino, 1997) ed ha cominciato a leggermi un passaggio in cui l'autore don Piero Cantoni, nell'ambito di una serie di osservazioni volte a sostenere la sua tesi "antireincarnazionista", scrive anche: “L'unico punto in cui sembra attestata, in modo inequivocabile, una implicita credenza nella reincarnazione è l'episodio della guarigione del cieco nato in Gv 9,1-12”.
« Ecco vede – ha subito aggiunto il mio interlocutore – don Cantoni, che in questo suo libro spiega la sua posizione contraria alla reincarnazione, scrive che il punto di cui ha parlato anche lei è l'unico passaggio in cui, nell'intero Nuovo Testamento, "sembra attestata, in modo inequivocabile, una implicita credenza nella reincarnazione"... »
Gli ho allora detto: “e riguardo all'episodio di Nicodemo narrato sempre dall'evangelista Giovanni, lui cosa ha scritto?”...
Scorrendo rapidamente il capitolo, il mio interlocutore ha trovato questo passaggio:
« Anche l'episodio di Nicodemo è un “luogo classico” dell'interpretazione reincarnazionista – e poi, dopo la trascrizione del testo di Gv 3,1-10 (*vedi in fondo alla pagina) don Cantoni continua così – Non troviamo qui, nell'espressione “rinascere di nuovo” una esplicita indicazione della reincarnazione, e proprio sulle labbra di Gesù? Per giunta con un rimprovero al fariseo Nicodemo che, come rabbi in Israele, dovrebbe essere bene informato su queste cose. Il che lascia anche pensare a una dottrina da considerarsi come ovvia nell'ambiente dei farisei.
In questo caso può indurre in errore la traduzione della
Volgata latina, seguita da tante traduzioni in volgare: renasci denuo, “rinascere di nuovo”, perché il testo greco comunemente accolto nelle edizioni critiche ha gennēthē ánōthen, “nasce dall'alto”
... »

Quando il mio interlocutore è arrivato a leggere queste parole, l'ho interrotto per dirgli:
“Peccato che don Cantoni, scrivendo quest'ultima frase, dimostri di essere ignaro di ciò che è per esempio attestato anche dal celebre esegeta Rudolf Schnackenburg il quale, oltretutto, era cattolico proprio come lui.”
Per fargli capire a cosa mi riferissi, gli ho accennato ai contenuti della "nota esegetica su Gv 3,3-4" (nel mio blog “Sui sentieri del Vangelo di Giovanni”) in cui... facendo riferimento tra l'altro anche alla posizione di R.Schnackenburg... ho messo in evidenza come l'espressione greca gennēthē ánōthen” usata dall'evangelista abbia come sua traduzione storicamente attestata, e logicamente corretta, proprio quel “nasce di nuovo” che molti studiosi oggi vorrebbero impropriamente escludere... compreso don Cantoni, che con la sua sopracitata considerazione cerca di cavarsela superficialmente a "buon mercato".
« Vede – gli ho poi aggiunto – se invece di far passare Nicodèmo come un uomo che grossolanamente fraintende le parole di Gesù... si dà credito all'evangelista che lo presenta come un nobile giudeo, Maestro di Israele... allora bisogna pensare che lui, esperto nelle Scritture, avesse una preparazione culturale sufficiente a fargli capire bene le parole che ascoltava. Da questa prospettiva, il fatto che lui reagisca a ciò che Gesù gli ha detto, rispondendo “Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?” è a dir poco significativo ».
Ho poi continuato il discorso sottolineando come i sostenitori dell'ipotesi dell'equivoco in cui sarebbe caduto Nicodèmo esprimano in realtà una loro soggettiva e opinabilissima posizione, perché invece... restando a ciò che l'evangelista ha scritto... la conclusione a cui si giunge è esattamente opposta: Nicodèmo ha reagito chiedendosi se un uomo "Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?" proprio perché Gesù aveva parlato della necessità di nascere "di nuovo".
Anche perché... come ho evidenziato nella mia nota esegetica sopra citata... il vocabolo greco ánōthen (traducibile sia “di nuovo” che “dall'alto”) usato dall'evangelista, non ha come corrispettivo un vocabolo che, nella lingua aramaica parlata da Gesù, potesse avere anch'esso questi due significati... per cui, anche da questo punto di vista, l'equivoco che molti vorrebbero sostenere manca in realtà del presupposto fondamentale... perché la parola aramaica equivocabile proprio non esiste.

E se di equivoco non ha senso parlare... allora le parole di Nicodèmo attestano che Gesù ha espresso proprio la necessità che un essere umano nasca “di nuovo”... ed è a questo concetto che lui reagisce ponendo una questione riguardo alla rinascita “dal grembo di una madre”.
Il dialogo con il mio interlocutore di oggi si è concluso qui e, quando ci siamo salutati, lui mi ha detto che... ci avrebbe pensato sopra un po'.
Se volete, potete farlo anche voi, magari proprio andando a dare un'occhiata al brano Il colloquio con Nicodemo” nel mio blog “Sui Sentieri del vangelo di Giovanni”.


(*Trascrizione del testo di Gv 3,1-10)
« Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei.
Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: "Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui".
Gli rispose Gesù: "In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce di nuovo, non può vedere il regno di Dio".
Gli disse Nicodèmo: "Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?".
Rispose Gesù: "In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 
Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito.
Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere di nuovo.
Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito".
Gli replicò Nicodèmo: "Come può accadere questo?". 
Gli rispose Gesù: "Tu sei maestro d'Israele e non conosci queste cose?»




I NOSTRI FRATELLI "ANIMALI"

Oggi ho incontrato un ragazzo che ha letto il mio post « Umane "bestie" » e, incuriosito, mi ha chiesto se potevo dargli qualche altro ragguaglio biblico in riferimento al fatto che, oltre all'essere umano, anche gli esseri viventi del regno animale hanno una loro individualità spirituale.
Ho allora iniziato a parlargli di uno dei concetti biblici basilari, quello contenuto nel termine ebraico rûah (tradotto nell'italiano “spirito”)... “Che sta ad indicare – gli ho detto - lo Spirito divino... come pure lo spirito vitale degli esseri umani, ma anche degli animali”...
“Sì – mi fa lui – ma il fatto che Dio doni la Rûah sia agli esseri umani che agli animali affinché vivano, non significa poi che gli animali abbiano necessariamente una individualità spirituale che va oltre la morte corporale”...
“Se è per questo – gli ho detto allora –  di per sé il concetto biblico di Rûah non implica l'esistenza post-mortem neanche per gli esseri umani...
Gli ho infatti ricordato, a titolo di esempio, il passaggio di Qohelet: “La sorte degli uomini è la stessa di quella degli animali: come muoiono questi, così muoiono quelli. Gli uni e gli altri hanno uno stesso soffio vitale, senza che l'uomo abbia nulla in più rispetto all'animale” (Qo 3,19)...
Dal momento che lui osservava come si trattasse di una visione “pessimistica”, da ritenersi superata dalle successive concezioni bibliche che introducevano il concetto spirituale di "vita eterna" (vedi il mio post "Dalla fine di tutto... alla vita eterna") allora gli ho detto:
« Sì, appunto, ma il testo biblico... che ha accolto solo tardivamente il concetto di “vita eterna”... non dice che questa "vita eterna" spetti solo agli uomini, e non agli animali. Invece, se si legge per esempio il salmista che scrive: “uomini e bestie tu salvi, Signore” (Sal 36,7) ... emerge un comune "orizzonte" ultraterreno. »
Dopo questa considerazione... il nostro odierno discorso è arrivato alla sua conclusione.
« In ogni caso - ho detto al mio interlocutore al momento dei saluti - al di là di questi ed altri pensieri teologici, ciò che più parla "a favore" della dignità spirituale dei nostri amici animali, è il calore con cui sanno riscaldare le nostre vite ».  

« I nostri fratelli "animali" ci amano con gesti sorprendenti.
Comunicano con noi attraverso il loro sguardo.
È telepatia e empatia che raggiunge il cuore di quanti si lasciano coccolare da questi amici
che hanno il "compito" di farci sentire più buoni. »

(Swami Roberto)





TUTTO CIÒ CHE RESPIRA

Oggi sono tornato a leggere l'ultima parte dei Salmi, una raccolta di 150 preghiere composta lungo l'arco di un millennio (dal secolo XI al II a.C.) nella quale è espresso un sentimento religioso che riunisce gli Ebrei ed i Cristiani nella celebrazione delle stesse frasi di lode a Dio.
Mi sono infine soffermato sull'ultima pagina... una vera e propria conclusione in bellezza terminante con quest'ultimissima riga che è, in sostanza, l' “amen” dell'intera raccolta dei Salmi :
“Tutto ciò che respira dia lode al Signore” (Sal. 150,6).
Mentre la leggevo pensavo a come... in questo “Tutto”... vadano ovviamente compresi anche gli animali, il cui respiro terreno è un “segnale” del “soffio” (in ebraico "rûah") dello spirito che è in loro e che il salmista accomuna a noi esseri umani nella lode da elevare al Signore.
Eppure... nella tradizione cristiana molti di coloro che hanno celebrato queste parole, lo hanno fatto pensando che gli animali non abbiano la prospettiva di una esistenza spirituale ultraterrena...

Ben lungi da questo modo di pensare, che ancor oggi vanta purtroppo molti seguaci, il Cristianesimo ramirico riconosce da sempre l'individualità spirituale dei nostri fratelli animali... e dunque la loro prospettiva di una esistenza che continua anche dopo la loro morte corporale... al punto che Anima Universale ha una prerogativa più unica che rara nel panorama cristiano :
Il 29 ottobre di ogni anno noi celebriamo una preghiera per i gli animali defunti, proprio per aiutarli a raggiungere la loro pace eterna.

«ECCOMI! CI SONO»
Questa è una delle espressioni più belle al mondo.
Quando senti la nostalgia di una persona cara che è morta, ma anche del tuo gatto o del tuo cane che tanto ti hanno amato, tu ripeti queste parole: «Eccomi! Ci sono».

Sarà come se te lo dicessero loro, accarezzandoti con tenerezza, dalla dimensione ove sono ora…
e vedrai che una pace soprannaturale ti avvolgerà l’anima.

         (Swami Roberto)



PIENEZZA... E PERFEZIONE

Alcuni anni fa, nel post "12 porte", avevo iniziato a parlarvi dei 12 chakra, ovvero delle "porte" animiche che mettono in comunicazione la nostra realtà corporea con il nostro spirito e che...
sull'esempio della "donna vestita di sole” coronata “di 12 stelle" (Ap.12,1)... siamo anche noi chiamati a far "brillare", come se fossero 12 astri che illuminano il nostro cosmo interiore.




Qualche tempo dopo, avevo continuato questo percorso nel post "la mappa del tesoro", in cui avevo messo in relazione i chakra delle 5 piaghe di Cristo... rivelati dagli insegnamenti di Swami Roberto... con il Rabme, il simbolo sacro del Cristianesimo ramirico, la cui figura pentagonale "emerge" nell'ambito del processo di trasfigurazione del discepolo di Cristo... che compie il passaggio dal "quadrato" che rappresenta l' "uomo vecchio"... al "cerchio" che rappresenta l' "uomo nuovo".

In questo mio viaggio nella "dimensione" animica percorro oggi un'ulteriore "tappa", focalizzata proprio sul numero 12, ottenuto sommando ai 7 chakra tradizionalmente individuati lungo la colonna vertebrale dell'essere umano, i 5 chakra rivelati dagli insegnamenti di Swami Roberto, e corrispondenti alle 5 piaghe di Gesù sulla Croce.

Mentre penso a come sia proprio la Luce di Cristo, qui rappresentata dal numero 5, a far sì che l'insieme delle nostre 12 "porte" interiori possano "risvegliarsi" diventando un po' come i 12 discepoli al seguito del nostro Sé spirituale...  mi trovo di fronte ad un'immagine che si presta a rappresentare questa rinascita  interiore...

La incontro semplicemente compiendo il passaggio dalla geometria "piana" a quella "solida"... dove si trova il poliedro regolare a 12 facce.
Si tratta del dodecaedro il quale... "Coincidenza" :-)... prende forma grazie al fatto che queste facce hanno ciascuna 5 lati e sono dunque 12 pentagoni coesi tra di loro e pertanto... ai miei occhi... mostrano in ogni direzione spaziale il Sacro Rabme di Anima Universale.

Questa figura mi fa venire allora in mente come, in senso biblico, al numero 12 siano attribuiti due fondamentali significati:
Nella Torah ebraica esso rappresenta la "pienezza" numerica del popolo di Dio, che si manifesta con particolare evidenza nei 12 figli di Giacobbe (Gen 35,22-26), dai quali derivano le 12 tribù di Israele.

Poi... questo veterotestamentario significato di "pienezza" si riflette anche nei 12 apostoli di Gesù (Mt 10,2ss), ma non solo...
Nell'ultimo libro della Bibbia, l'Apocalisse, Giovanni attribuisce al numero 12 anche il significato di "perfezione" riscontrabile... oltre che nella sopra citata "corona di dodici stelle" che si trova sul capo della "donna vestita di sole" (Ap.12,1)...  anche nelle "dodici porte" della "Nuova Gerusalemme" sopra le quali stanno "dodici angeli" (Ap 21,12) e con al centro della città "l'albero di vita" che "dà frutti dodici volte all'anno" (Ap 22,2).

Ecco... tutta questa "pienezza" e questa "perfezione" io ho cominciato a vederla solo quando ho potuto appoggiare i miei passi sulle "orme" tracciate dagli insegnamenti di Swami Roberto, che mi hanno fatto riconoscere nel pentagonale Rabme di Anima Universale il Sacro Simbolo della Chiesa della mia vita, grazie alla quale ho riscoperto la "Nuova Gerusalemme"... che c'è dentro di me.






P.s. - Su questo argomento puoi vedere anche:

"Rabme, il simbolo" (nel sito web di Anima Universale)
"La mia fotosintesi" (in questo diario)


L'Ultima Cena (Salvador Dalì,
National Gallery of Art, Washington)













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