Il mio incontro con Swami Roberto

Copertina del settimanale "Gente", 27.11.81Era l'estate del 1982 quando vidi il volto di Roberto per la prima volta.
Sul tavolo di casa, mia madre aveva lasciato alcune pagine di un settimanale che parlavano degli avvenimenti straordinari attribuiti al giovane Roberto Casarin, ed io cominciai a sfogliarle.
Osservai per pochi attimi quel viso estatico, con lo sguardo leggermente rivolto verso l'alto, ma non mi soffermai a leggere gli articoli che pure, dando una rapida occhiata ai titoli, evidentemente narravano fatti eclatanti.

Nella spensieratezza dei miei 17 anni, e nell'euforia di quei giorni di festa per la vittoria dell'Italia ai campionati mondiali di calcio, avevo ben altro per la testa.
Di certo, non avevo voglia di sentir parlare di un ragazzo che mia madre mi nominava già da alcuni mesi, da quando aveva seguito l'inchiesta giornalistica condotta da Piero Capello sul settimanale "Gente". Mi aveva detto che Roberto era un giovane straordinario, che riceveva i sofferenti e attraverso la preghiera otteneva guarigioni per gli ammalati, oltre che grazie materiali e spirituali per quanti parlavano con lui. "E' un grande mistico", insisteva mia mamma, "ed ha solo due anni più di te"... ma a me sembrava sinceramente un po' eccessivo che di un ragazzo dall'aspetto così "strano" si tessessero tante e tali lodi.
Di Roberto continuai a sentir parlare molto negli anni successivi, ed il suo nome era associato ad incontri di preghiera con un mare di partecipanti, a discorsi spirituali tenuti in alcuni dei più importanti santuari italiani, ad avvenimenti inspiegabili per la scienza.
PerNoiSonoMiracoli
In quel periodo i miei familiari si recarono più volte a Torino insieme ad alcuni amici del paese, prendendo parte a dei viaggi appositamente organizzati per incontrare Roberto. Ogni volta ritornavano pieni di entusiasmo, decantandomi i carismi di quel giovane del quale cominciavo a conoscere la storia, seppure da spettatore prevalentemente "disinteressato".
Per la verità, avevo notato che alcuni miei conoscenti che abitavano in paese, e che sapevo avere problemi molto gravi di salute, a seguito della frequentazione degli incontri di preghiera guidati da Roberto stavano visibilmente meglio, compresi alcuni casi che i medici avevano diagnosticato come disperati.
Comunque, io in quegli anni avevo in testa altro: le ragazze, gli amici, lo sport che praticavo a livello agonistico... divoravo libri... e poi c'erano i pressanti impegni derivanti dal mio ingresso nel mondo del lavoro. Un incontro con Roberto non era nella mia agenda, nemmeno quando poteva essermi più comodo, considerando che lui veniva sovente a Vicenza e in altre località del Triveneto per ricevere il gran numero di persone che chiedevano di parlare con lui.
Ed io sapevo che si recava spesso anche a Loria (in provincia di Treviso) per far visita ai suoi nonni...

A Longare (VI), nel 1987Nel mio paese il trambusto del “caso-Roberto” era iniziato da quando un gruppo di parrocchiani, tra cui i miei familiari, avevano radicalmente cambiato la loro vita spirituale cominciando a recarsi in varie località del vicentino per partecipare agli incontri di preghiera che facevano riferimento all’ormai “famoso” giovane di Torino.
Negli ambienti parrocchiali, ma anche nelle famiglie, nei bar e un po’ ovunque, si discuteva di “questo” Roberto che era presentato come una figura di grande rilievo da chi lo aveva incontrato, mentre veniva guardato con sospetto e anche denigrato da gran parte degli altri compaesani.
Per quanto mi riguarda, la cosa inizialmente non mi interessava, anche perché da tempo avevo chiuso la “questione-chiesa”.
Roberto… di cui i miei genitori tanto mi parlavano… per me rimaneva semplicemente una sfaccettatura diversa di un campo, quello della religione, da cui ero stato deluso nella mia necessità di trovare il senso dell’esistenza.
Nel mio personale sentire non mi spiegavo come Dio potesse essere imprigionato nelle pastoie di una religiosità in cui la partecipazione alla Messa domenicale era diventata una credenziale da esibire per dimostrare di essere persone per bene… un’occasione per ostentare gli abiti belli… un talismano per scongiurare le ire del cielo… un abitudinario adempimento ai propri “doveri” di fedele in un piccolo paese dove si sa tutto di tutti.

La mia giovinezza trascorsa nell’assidua frequentazione dei gruppi parrocchiali mi aveva lasciato in eredità tante domande irrisolte… e così mi ero via via allontanato dalla chiesa fino ad arrivare a metterci una pietra sopra. Intimamente credevo in Dio, ma non riuscivo a riconoscerLo in tutti quegli orpelli, meccanicismi e contraddizioni con i quali me Lo aveva presentato l’educazione cattolica tradizionalista nella quale i miei genitori mi avevano cresciuto.
Cercavo Dio, e Lo cercavo soprattutto nella forma di una Verità a cui poter poggiare le mie convinzioni razionali... sulla quale poter costruire una strada spirituale che non mi chiedesse soltanto di aderire ad una fede che non sentivo mia.
Non faceva per me un’idea di Dio che non mi desse risposte concrete.
La mia ricerca della Verità procedeva un po’ in tutte le direzioni, passando soprattutto per testi spirituali, filosofici e scientifici che erano il terreno di esplorazione che preferivo; da tempo il mio punto di riferimento erano i volumi della mia personale libreria, che provvedevo a rifornire continuamente con opere di autori di estrazione culturale diversa. Cercavo infatti un filo conduttore che andasse al di là del “muro contro muro” tra le differenti fedi, ognuna convinta di possedere la Verità e quindi di avere l’esclusiva della salvezza a scapito delle altre… con tutte le conseguenza del caso.
PregaSulSagrato
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Intanto, nonostante le critiche di buona parte del paese che sapeva di Roberto solo per sentito dire, i miei familiari continuavano per la loro strada. Ai miei occhi era esagerato l’entusiasmo con cui mi parlavano di quel giovane, ma io comunque “li lasciavo fare”, perché li vedevo sereni.
Anzi, tra di loro c’era ancora più armonia, e quando mio padre aveva iniziato ad accusare problemi di salute, lui e mia madre si erano rivolti a Roberto e le cose erano andate subito meglio.


Swami RobertoCerto, la mia ritrosia ad interessarmi di Roberto non vacillava ancora. Non potevo neanche prendere in considerazione la possibilità che quel ragazzo di Torino con appena la terza media potesse darmi quanto io cercavo nei miei amati libri, e per conseguenza guardavo i miei genitori con una sorta di “superiore” comprensione.
Oltretutto, la loro insistenza nell’invitarmi a conoscere Roberto era stato il fattore che maggiormente mi aveva tenuto lontano dall’interessarmi alle loro scoperte spirituali.
Per lungo tempo dribblai quell’invito, evitando di cogliere anche le occasioni più propizie.
Nei periodi in cui Roberto giungeva a Vicenza per ricevere gli ammalati, accadeva infatti che lui venisse anche a Monteviale, sostando addirittura a casa mia, perché i miei genitori facevano parte del gruppo di famiglie che gli offrivano ospitalità. In ogni occasione io “mi tenevo alla larga” e mi guardavo bene dal disdire quegli impegni che in realtà erano la scusa per evitarlo.
Lo evitai parecchie volte… finché arrivò il giorno in cui, senza volerlo, lo incontrai.
Con grande entusiasmo dei miei, Roberto arrivò insieme ad un gruppo di persone che lo accompagnavano.
Di lui mi colpirono l’aspetto, ancora più giovane della sua età, e due occhi verdi che sembravano vedere al di là di ciò che guardavano… ma soprattutto rimasi sorpreso dalla sua semplicità disarmante.
Io gli rivolsi alcune parole di circostanza e poi me ne restai in disparte. Era circondato da una piccola folla di persone che mostravano di non voler perdersi alcuna sua parola… di non voler sprecare nessuno di quegli istanti che avevano la possibilità di passare in sua presenza.
Da parte mia, continuavo a non capacitarmi delle attenzioni di cui era fatto oggetto quel ragazzo e pensavo tra me che io al suo posto non avrei sopportato una “marcatura” così asfissiante. Mi sembravano tutti delle “sanguisughe”.
Quando Roberto se ne andò, incrociai per un attimo il suo sguardo, ed ebbi l’impressione che il sorriso che mi inviò come cenno di saluto volesse significare… “a presto”.

 Dopo quell'unico incontro a casa dei miei genitori, non rividi più Roberto per molti anni.
A pelle non mi aveva fatto una brutta impressione... un bravo ragazzo che però non reputavo all'altezza di soddisfare il mio bisogno di spiritualità e quindi di risposte.
I miei, sia pure a malincuore, negli anni avevano dovuto rassegnarsi all'evidenza che quel "loro" Roberto non era affar mio.
Un po' alla volta cominciò però a diventarlo... affar mio... con l'inasprirsi delle "chiacchiere" di paese.
I miei genitori erano sottoposti ad una gragnuola di critiche di ogni genere... a volte palesi ma molto più spesso subdole... a causa di quella loro scelta inaccettabile perché controcorrente. "Quelli vanno dal santone... hanno perso la testa. Chissà quanti soldi si faranno spillare da quell'impostore"...
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Questo accanimento mi infastidiva non poco, perché il proliferare di ogni sorta di "maldicenza per partito preso"... mi mostrava il lato peggiore di quella mentalità di vecchio stampo che già avevo voluto lasciarmi alle spalle quando avevo abbandonato l'ambiente parrocchiale.
Oltretutto, le accuse contro Roberto erano aumentate nel tempo, in conseguenza dell'insuccesso delle manovre "diplomatiche" con cui alcuni parrocchiani avevano cercato di ricondurre "all'ovile" le pecorelle smarrite. Roberto veniva descritto come un mostro e si era guadagnato anche gli epiteti di rovina-famiglie... plagiatore... falso profeta... istrione... satanista... il pataccaro di Dio... e sicuramente me ne dimentico qualcuno.
Mi colpiva il fatto che a parlare così fossero proprio le persone che neanche lo conoscevano.
Evidentemente a Monteviale, nel cuore di un Veneto che continuava a conservare la sua caratteristica di "Sacrestia d'Italia", non era tollerabile che qualcuno si sognasse di avere un'idea religiosa diversa.



TrissinoIn realtà fu proprio questa gretta campagna diffamatoria a spingermi a vederci più chiaro. Da una parte molti gridavano al mostro e dall'altra io constatavo che la frequentazione di Roberto ai miei aveva fatto un gran bene.
Giorno dopo giorno vedevo che quella loro scelta tanto osteggiata aveva portato con sé dei frutti innegabili: palesavano una serenità che non gli era mai appartenuta prima e dimostravano una fede in Dio rinsaldata, senza alcun danno al portafoglio. Iniziai così a "simpatizzare" per quella loro "causa" perché mi colpiva il coraggio e la coerenza con cui avevano saputo proseguire nella loro strada, animati da una determinazione che non aveva dato segni di debolezza neppure di fronte ad un'ostilità incredibile.
Un giorno aprii un libro su Roberto che da tempo vedevo appoggiato sul comodino di mia madre.
Ancora non sapevo cosa Roberto insegnasse di preciso, e mi ricordo che pensai: "Vediamo un po' perché ce l'hanno così tanto con lui".
Lessi quelle pagine d'un fiato e, con mia grande sorpresa, scoprii tutta una serie di lucide e profonde riflessioni che toccavano proprio i temi che mi stavano a cuore, ma in un modo totalmente diverso rispetto a quello che fino ad allora avevo conosciuto nella mia personale ricerca, una pluriennale esplorazione spiritual-intellettuale che mi aveva lasciato fondamentalmente insoddisfatto.
In alcuni passaggi di quel libro Roberto affrontava con chiarezza proprio le contraddizioni che erano state la causa del mio allontanamento dalla pratica religiosa cattolica; altri suoi pensieri posavano il classico "dito nella piaga"... ovvero mettevano in luce alcune "dolenti" caratteristiche del mio modo di essere.
Concentrati in quell'unico libro trovai degli spunti di riflessione e delle risposte che anni di precedenti letture non avevano saputo darmi: sembrava un libro "magico".

periodicocristonelluomorid1Chiesi a mia madre se aveva dell'altro materiale e rimasi sorpreso nell'apprendere che aveva solo alcuni numeri di un periodico e qualche audiocassetta registrata alla buona da lei. Lessi quindi i fascicoli del periodico "Cristo nell'uomo", che parlavano della Chiesa che Roberto aveva fondato ed ascoltai le registrazioni di alcuni suoi discorsi tenuti a Lourdes, a Leinì, in varie località del Triveneto...

Quella sua voce indefinibile, questa volta mi colpì.
Sentii concetti limpidi, parole vere, preghiere ispirate che parlavano il linguaggio del cuore. Mi sarebbe piaciuto poter vedere delle videocassette... ma mia madre non aveva la telecamera.
In breve tempo, compresi che gli insegnamenti spirituali di quel giovane erano proprio il tesoro che per tanti anni avevo inutilmente cercato e che mai avrei pensato di scoprire proprio a casa mia... grazie a due persone semplici come i miei genitori.
Le mie "peregrinazioni" alla ricerca di un pensiero spirituale che potesse darmi delle risposte chiare e convincenti trovavano un punto d'approdo a dir poco inatteso e sorprendente, nelle parole di quel ragazzo che mi aveva guardato dalla copertina di "Gente" 13 anni prima, e che io avevo praticamente ignorato in quell'unica occasione in cui lo avevo visto di persona.

chiesetta8Partecipai per la prima volta ad una preghiera celebrata dai Ramia ad Arso, in provincia di Vicenza, proprio il giorno in cui mio padre ricevette il Battesimo in Anima Universale.
La mia decisione di accompagnarlo gli provocò una grande e graditissima sorpresa, anche se già da alcuni mesi lui e mia madre si erano accorti del mio progressivo avvicinamento alla realtà di Roberto.
Per me quel giorno fu straordinariamente speciale... non solo perché il battesimo di mio papà coincise con il mio ritorno alla partecipazione ad una funzione religiosa, ma anche perché ciò avvenne in occasione di una celebrazione che mi fece sentire naturalmente a mio agio sin dal primo impatto: istantaneamente si sbriciolò quel muro di riluttanza provocato dal ricordo delle tante Messe cui avevo partecipato nella mia giovinezza… soltanto per fare presenza.
Quel giorno segnò la mia riconciliazione con la pratica religiosa. Da allora tornai infatti ad avvertire la necessità di partecipare a quelle preghiere “diverse”, nelle quali le riflessioni e le meditazioni dei Ramia celebranti mi arricchivano di contenuti.
Parallelamente si innescò dentro di me un processo interiore impetuoso, che mi permise di rivisitare in chiave diversa ogni aspetto dell’esistenza.
Non tardai molto a fare una scoperta che stravolse completamente la mia vita: sentii sbocciare dentro di me la vocazione di servire il Signore nel mio prossimo, e vidi chiaramente che avrei potuto realizzare questa aspirazione abbracciando il sacerdozio in Anima Universale.
Con questa “rivoluzione” nel cuore mi recai a Leinì, per re-incontrare di persona Roberto. Erano trascorsi degli anni da quella giornata a Monteviale in cui lo avevo visto senza averlo voluto realmente conoscere, ed ora finalmente era giunto il momento in cui sentivo il desiderio di avvicinarmi a lui per incontrarlo veramente.

volto1Assistetti al mio primo darshan di Swami nell’estate del 1996.
Giunto con grande anticipo a Leinì, ero subito entrato nella chiesa (all’epoca non c’era ancora il Palatenda) per poter prendere posto in prima fila.
Il cospicuo tempo di attesa che mi si prospettava prima dell’inizio della preghiera, letteralmente volò, consumato da un’accavallarsi di riflessioni già proiettate verso quei momenti che mi apprestavo a vivere.
Ad un certo punto Roberto entrò, e per un po’ osservò i presenti soffermandosi di tanto in tanto a guardare più intensamente verso qualcuno… finché il suo sguardo mi raggiunse.
Vidi i suoi occhi trasparenti ed intensi accarezzarmi… e mi ritrovai inabissato nella quiete profonda di ogni pensiero, provando distintamente la sensazione che a quel viso radioso non potevo celare alcun segreto.
Swami mi sorrise dolcemente, e qualche istante dopo interruppe quello speciale silenzio per cominciare la preghiera. Parlò per alcuni minuti al folto gruppo di persone che lo stava ascoltando, ma la mia meraviglia fu grande quando realizzai che le sue parole stavano mettendo a nudo il mio modo di essere, nei minimi particolari. Stava parlando a tutti, ma in realtà era come se parlasse solo per me. Ovviamente la gente non poteva sapere che Swami stava toccando dei lati così precisi del mio animo... che stava parlando della mia interiorità pur se io non avevo mai confidato a nessuno quegli intimi aspetti spirituali.
Uscii dalla chiesa, alla fine della preghiera, sapendo che per me nulla sarebbe più stato come prima.

Fiori

(Una parentesi mai chiusa nel mio cuore)


Era l’autunno del 1996, e da pochi giorni mio padre Vasco era tornato a casa. Il tumore al cervello non gli avrebbe lasciato scampo, al punto che i medici dell’ospedale avevano acconsentito alla richiesta di noi familiari di portarlo a spegnersi tra le mura in cui era nato.

Ormai non riconosceva praticamente nessuno. Lo sguardo spento, l’espressione assente… dalla sua bocca non uscivano più parole di senso compiuto, ma solo suoni incomprensibili, e sempre più flebili.
SwamiRoberto97Una sera nella quale ero rientrato presto dal lavoro per aiutare mia mamma ad assisterlo, mi avvicinai al suo letto prendendo tra le mie mani una foto di Roberto, e rivolsi alcune parole a mio padre parlando come si può parlare a qualcuno che ad occhi semi-aperti staziona stabilmente in un mondo tutto suo.
“Stai sereno, lo sai che Roberto ti aiuta”.
Vidi un inatteso lampo balenare nei suoi occhi, improvvisamente ravvivati, al punto che restai alcuni lunghi secondi in silenzio.
Poi aggiunsi: “Hai capito chi è?”
“Roberto!”, mi rispose risoluto.
Per alcuni lunghi secondi il fiato mi mancò… come risucchiato dalla sorpresa che avevo provato nel sentirgli scandire con chiarezza quel nome.
“Roberto!” fu l’ultima parola che lo sentii pronunciare con consapevolezza, prima che ricadesse in quel suo stato di impenetrabile torpore che lo avvolse fino a quando, di lì a poco, ci avrebbe lasciato.
Le ultime settimane di vita di mio padre erano state ben diverse rispetto a quello che ci si poteva aspettare; il suo caso era uno di quelli che normalmente prevedono sofferenze lancinanti, ma lui non aveva mai lamentato dolori particolari, e la sua tranquillità aveva favorito la serenità di noi familiari che lo accudivamo.
Tutti ci eravamo resi conto che la malattia aveva avuto un decorso totalmente diverso da quello ipotizzato dai medici, e non era certo la prima volta che ciò accadeva, perché già in precedenza c’erano stati sviluppi inattesi dopo che i miei genitori avevano chiamato in causa Roberto.
I problemi di salute di mio papà erano cominciati tanti anni prima, quando improvvisamente aveva accusato dei problemi alla vescica, che i responsi medici avevano indicato essere di natura tumorale. In famiglia ci eravamo tutti molto preoccupati, ma lui e mia madre avevano reagito con coraggio e fiducia chiedendo subito aiuto a quel giovane mistico torinese di cui tanto parlavano. Io non mi ero unito a quel loro slancio, ma avevo constatato che dopo poco tempo le condizioni di salute di mio padre erano considerevolmente migliorate, tanto da consentirgli di vivere normalmente la sua vita.
Successivamente, Vasco aveva dovuto subire l’attacco di una nuova grave malattia, e fu questo il momento nel quale io stesso mi trovai a toccare personalmente con mano ciò che non riuscivo a spiegare. Mio padre aveva infatti cominciato ad accusare una tosse persistente, con una febbre che non se ne voleva andare, oltre ad un generale deperimento che lasciava presagire il peggio. I primi riscontri medici individuarono la presenza di un tumore non più alla vescica, ma ai polmoni, e di punto in bianco ci trovammo tutti ad attendere con grande apprensione i successivi accertamenti, per capire la reale gravità della malattia.
Io vissi quei momenti con grande difficoltà, perché d’un tratto avvertii il peso opprimente delle tante cose che non ero mai riuscito a dire a mio padre, per le quali improvvisamente rischiavo di non avere più tempo. La sua morte avrebbe irrimediabilmente lacerato una parte di me, lasciandomi in preda ai rimpianti.
Intanto, nel dolore di quella situazione era successo che mia madre aveva ancora una volta chiesto aiuto a Roberto, e subito l’avevo vista sollevata a fronte di quello che le era stato detto: “Il medico vi dirà che non ci sono più speranze, che la massa tumorale ha intaccato entrambi i polmoni e non è operabile, che a Vasco restano non più di due o tre mesi di vita… ma voi non rassegnatevi! Unitevi alle mie preghiere, e vedrete che si riprenderà e potrà tornare a lavorare nei suoi campi”.
Inizialmente io avevo accolto queste parole con diffidenza, anche se mi sforzavo di non dare a vedere le mie perplessità.
Quando però andai dal medico per conoscere il responso degli esami, successe un fatto che proprio non mi aspettavo. Mi sentii dire, alla virgola, le esatte parole che Roberto aveva preannunciato a mia madre. Mi trovai in una situazione paradossale: più il medico usava le identiche implacabili espressioni che non lasciavano scampo: “tumore ad entrambi i polmoni… inoperabile… potrà vivere due o al massimo tre mesi”… più cominciai a percepire quella forza che evidentemente già sosteneva mia madre, perché a dispetto della conferma di una situazione assolutamente compromessa, io sapevo anche che le ultime parole di Roberto erano una porta spalancata alla speranza: “tornerà a lavorare nei suoi campi”.
Di fronte a me, vidi chiaramente lo stupore del medico che non si spiegava la reazione di progressivo rasserenamento che vedeva dipingersi nel mio volto. Non capiva come potessi essere confortato da quell’inequivocabile sentenza di morte che mi stava comunicando.
Ciò che successe nei giorni immediatamente successivi fu ancora più inspiegabile: mio padre mise sul suo corpo le maglie benedette da Roberto, e cominciò repentinamente a migliorare. Di punto in bianco scomparvero sia la snervante tosse che lo aveva accompagnato per mesi, sia la febbre. Lo vedemmo riacquistare l’abituale e salutare colorito che gli conoscevamo.
Il cambiamento avvenne in modo talmente rapido e palese che in famiglia non avremmo neanche voluto che andasse a fare le chemio in ospedale; a quel punto apparivano inutili, ma Roberto insistette perché fossero seguite scrupolosamente le indicazioni dei medici, e così facemmo. Neanche a dirsi, le terapie non comportarono alcun effetto collaterale, e pochi mesi dopo mio padre tornò a lavorare nei suoi campi e trascorse uno dei periodi più belli della sua vita. Anche il mio rapporto con lui divenne più intenso, perché il dramma sventato mi aveva scosso al punto che riuscii ad aprirmi nei suoi confronti come mai avevo fatto nei trent’anni precedenti. Riuscii finalmente a dirgli ciò che avevo nel cuore.
Un anno… sì... un anno che noi abbiamo considerato un anno di vita donato dal Cielo a mio padre. Lo ripeto: il migliore, il più intenso che lui ha vissuto.
Poi, purtroppo, giunse il terzo tumore, questa volta al cervello.
Lui, in modo per me soprannaturale, praticamente neanche si accorse di quello che stava succedendo. Scivolò in poco tempo in uno stato di completa assenza, ed in quel mentre io mi scoprii profondamente cambiato. Insieme ai miei familiari, potei affrontare la perdita di mio padre con un senso di serena e profonda gratitudine… perché non aveva sofferto, e perché gli era stato concesso di vivere ben più a lungo di quanto avrebbe dovuto; non solo… aveva vissuto questo arco di tempo regalatogli dal cielo, con una una pace interiore che prima non gli era mai appartenuta.
Lui per primo, e tutti noi in famiglia, sapevamo che questa grazia straordinaria era dovuta ad un protagonista discreto e costantemente presente, che abitava a Torino.
“Roberto”… questo nome pronunciato da mio padre aveva accompagnato l’ultimo lampo di luce che avevo visto nel suo sguardo… e da un po’ di tempo quel nome era diventato molto importante anche per me.

Vasco_Roberto
Mio papà Vasco, con Swami Roberto.
Questa foto mi parla molto: è stata scattata quando ancora io non conoscevo
Swami Roberto, ma mio papà già mi stava indicando la strada da seguire.

angeloL'Estate del '96 era iniziata per me in maniera molto calda... e non soltanto in senso climatico.
Dopo aver re-incontrato Roberto, avevo cominciato a percorrere regolarmente il tragitto Vicenza-Leinì per partecipare ai suoi incontri di preghiera. A distanza soltanto di alcuni mesi dal periodo in cui avevo scoperto il pensiero spirituale di Anima Universale, mi ero accorto che il trascorrere del tempo rinvigoriva sempre più la vocazione che sentivo nel cuore. Percepivo questa chiamata fluire dal mio profondo con una forza inarrestabile, che letteralmente “esplose” spazzando via tutti i miei precedenti progetti.
Dio, che fino ad allora avevo relegato in un angolo, divenne il fulcro della mia vita. Poco per volta Lo stavo conoscendo sempre più, attraverso quegli insegnamenti spirituali che rispondevano puntualmente alle mie tante domande.
Le svariate aspettative che fino ad allora avevano riempito la mia esistenza, si svuotarono rapidamente di ogni significato, e non trovai più alcun senso nelle pur allettanti prospettive professionali che mi ero conquistato.
Vidi con chiarezza che il mio futuro era in quella Chiesa cristiana che corrispondeva perfettamente alle aspirazioni custodite nel mio animo, e decisi di manifestare ai Ramia la mia volontà di diventare sacerdote di Anima Universale.
Iniziai così un periodo di preparazione alla vita monastica, durante il quale tutti i fine settimana mi recavo a Leinì per incontrare i Ramia che mi seguivano nel mio percorso di approfondimento della Conoscenza ramirica. Qui ebbi l’opportunità di ristorare il mio spirito assetato, trascorrendo giornate piene di scoperte, riflessioni e sorprese interiori. Fui guidato ad esplorare terreni per me sconosciuti e gli orizzonti della mia comprensione si spalancarono.
Parallelamente, man mano che la mia decisione di cambiare vita divenne nota ai miei conoscenti… in paese, nel lavoro, nella cerchia delle “amicizie”… l’atteggiamento nei miei confronti cambiò drasticamente. “Ma come? Ti è dato di volta il cervello? Rinunci a tutto per seguire quel santone di Leinì?”. Assistetti ad un totale voltafaccia di una gran quantità di persone che fino al giorno prima mi avevano manifestato stima ed apprezzamento, e di punto in bianco cominciarono a guardarmi di traverso, palesandomi imbarazzo, fastidio, disapprovazione… a volte anche compatimento. In quel periodo vissi sulla mia pelle le sferzate del pregiudizio più ottuso.
Comunque... io un po' capivo il disagio di quelle persone nei miei confronti. Forse al loro posto avrei reagito allo stesso modo. In fondo, pensavo, non c'è da stupirsi del fatto che il nuovo provochi diffidenza in chi non fa nulla per superare i preconcetti... ed è evidente che è sempre più comodo stare dalla parte della maggioranza, per non sentirsi esclusi o per opportunismo.
Mi rendevo conto che se avessi lasciato tutto per fare il prete, il frate, o al limite anche il lama buddista, avrei raccolto elogi in serie per una scelta coraggiosa e difficile. Invece, la “causa” che io avevo voluto abbracciare era sbagliata per partito preso agli occhi di chi non aveva un'informazione a 360°.
In ogni caso, al di là di tutto, la situazione che si era creata non spostava alcunché nei miei progetti. Io avevo la certezza che la verità non era quella raccontata nei bar, perché la realtà che avevo conosciuto direttamente non aveva nulla a che fare con ciò che si diceva di Roberto da qualche pulpito o su certi giornali di provincia.
Sin da quando avevo iniziato ad approfondire la realtà spirituale di Roberto, già avevo chiaramente capito che proprio per la sua innovativa originalità non poteva riscuotere i consensi e gli applausi del mondo. Però, era proprio quello il pensiero spirituale che io da sempre cercavo… un pensiero logico, nuovo, coerente, che denunciava le contraddizioni e le ipocrisie della mentalità comune e che mi prospettava un cristianesimo concreto, che sentivo di voler vivere pienamente.
Io infatti non avevo mai cercato soltanto una dottrina teoretica, bensì aspiravo ad un insegnamento spirituale che mi indicasse il modo per trasformare le mie scoperte interiori in vita vissuta, lontano dai luoghi comuni e dalle apparenze. Ed era proprio il pensiero di Roberto che mi mostrava finalmente una via chiara per dare contorni reali ad un concetto di spiritualità che fino ad allora non ero mai riuscito a tradurre in pratica.
Ora che la dimensione spirituale mi si dischiudeva innanzi con tale evidenza, io volevo semplicemente esistere in essa, senza limitarmi a fare da spettatore della mia vita.
Volevo fare quanto possibile per servire il Signore nel mio prossimo... per imparare sempre più a riconoscere la sacralità della vita in tutte le sue forme... per crescere nella capacità di rispettare l'uguale dignità di ogni essere umano... per maturare un impegno volto a mettere quotidianamente in pratica l'Amore di Dio e per aiutare altri a scoprire ciò che io avevo scoperto.
Pochi minuti dopo la mezzanotte dell'11 gennaio 1997 coronai la mia vocazione, consacrandomi alla missione sacerdotale in Anima Universale ed entrando nella comunità monastica di Leinì. Da allora il Signore ha colmato la mia vita di tesori spirituali in maniera ben più grande di quanto io potessi pensare e sperare, e le parole di Swami Roberto sono i raggi di sole che costantemente mi guidano sul sentiero dell’Amore.
Ognuno nella vita ha un suo percorso...
Io il mio l'ho trovato... e per questo ringrazio Dio.



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